di Alessio Arena
Non si tratta, come qualcuno potrebbe temere o ipotizzare irridendo, del tentativo di dar vita a una nuova frazione organizzata all’interno di Rifondazione Comunista. Il nostro tentativo è esattamente l’opposto: stabilire un confronto con i compagni che compongono il nostro partito al di là della muraglia imposta dal processo di appropriazione della vita e delle strutture di Rifondazione che, ad arte stimolato da Bertinotti, ha raggiunto il suo punto di caduta dopo il congresso del 2008, nel contesto della spirale degenerativa innescata dalla disfatta elettorale e dalla rottura intervenuta nel gruppo dirigente revisionista e asservito al centrosinistra che a quel disastro ci aveva condotti.
Un fenomeno, quello delle aree organizzate, che ha viziato profondamente il processo di rifondazione del comunismo italiano, di cui si pone in antitesi, impedendo che sane dinamiche di selezione dei gruppi dirigenti producano organismi capaci di elaborare una nuova cultura politica per i rivoluzionari italiani del Ventunesimo secolo.
Si tratta, come insegna Gramsci, della questione centrale nella vita di un partito politico alla cui guida deve porsi un «elemento coesivo principale, che centralizza nel campo nazionale, che fa diventare efficiente e potente un insieme di forze che lasciate a sé conterebbero zero o poco più; questo elemento è dotato di una forza altamente coesiva, centralizzatrice e disciplinatrice e anche, anzi forse per questo, inventiva (se si intende “inventiva” in una certa direzione, secondo certe linee di forza, certe prospettive, certe premesse anche): è anche vero che da solo questo elemento non formerebbe il partito, tuttavia lo formerebbe più che il primo elemento considerato [l’elemento diffuso, di massa N.d.A.]. Si parla di capitani senza esercito, ma in realtà è più facile formare un esercito che formare dei capitani. Tanto è vero che un esercito già esistente è distrutto se vengono a mancare i capitani, mentre l’esistenza di un gruppo di capitani, affiatati, d’accordo tra loro, con fini comuni, non tarda a formare un esercito anche dove non esiste».
Il fenomeno correntizio rende impossibile questo passaggio, trasforma le funzioni dirigenti del partito in terra di conquista per la lottizzazione tra bande organizzate, esclude da esse quella grande maggioranza di compagni che alle mene d’apparato preferiscono la lotta politica pura, aperta, dentro la società e contro l’avversario di classe. Esso trasforma funzioni tecniche in posizioni di potere e devia la dialettica interna verso schemi gerarchici che al movimento rivoluzionario non possono appartenere e che ne viziano in modo decisivo l’azione, votandolo alla sconfitta.
E allora come spiegare il paradosso di dotarci di un nostro mezzo di comunicazione autonomo in polemica con il correntismo che domina il partito? Non si tratta forse di un ennesimo episodio di frammentazione?
Indiscutibilmente una contraddizione tra la nascita di Fronte Popolare e il suo obiettivo di contribuire alla riunificazione di Rifondazione sulla base di una comune, rinnovata cultura politica e impostazione teorica, esiste. Ma a questa contraddizione non si può sfuggire, a nostro avviso, in un contesto in cui gli spazi di discussione si sono assottigliati fino a scomparire e in cui conta più il pacchetto di delegati eletti al congresso dell’istanza superiore rispetto al contenuto politico del documento votato per ottenerli, i delegati.
Una sola risposta è possibile, per ovviare a questa contraddizione. Nella prassi. Fronte Popolare non tenterà di creare intorno a sé alcuna rete nazionale, non organizzerà incontri se non per discutere dell’attualità, della cultura, delle idee utili alla rifondazione comunista. Ci porremo in modo aperto e interlocutorio nei confronti di tutte le posizioni presenti non solo nel partito, ma nel complesso del movimento comunista italiano e cercheremo di valorizzare anche la Federazione della Sinistra, malgrado la pesante ipoteca che su di essa grava in virtù della sua concezione burocratica e della permanente conflittualità e incapacità di sintesi tra i vertici dei partiti che la compongono, come luogo d’incontro e di azione unitaria tra militanti cui è data la possibilità di riconoscersi come compagni ed elaborare politicamente insieme, nella concretezza della realtà delle lotte che attraversano l’Italia in crisi.
Ma non è finita. Da antifascisti intendiamo porci dentro la storia nazionale, dunque dentro il conflitto tra le tendenze oscure che hanno caratterizzato la formazione dello stato unitario nel 1861, producendo gli orrori del colonialismo, del fascismo, della restaurazione scelbiana e via, fino al disastro democratico della Seconda Repubblica emblematicamente fondata da Occhetto quanto da Berlusconi e, dall’altra parte, l’insieme delle forze democratiche di diversa ispirazione che, sconfitte nel Risorgimento, hanno dato vita alla Resistenza e alla Costituzione repubblicana, ponendo all’Italia le basi per un nuovo inizio che non si è avuto e la cui concretizzazione rappresenta l’obiettivo cui ispirare una rinnovata azione dei comunisti. Un antifascismo che si manifesta dunque, allo stesso tempo, come rivendicazione della questione dell’eguaglianza esplosa con la Rivoluzione d’Ottobre e portata in tutto il mondo dalla vittoria – conquistata in primo luogo dall’Unione Sovietica – contro Hitler e Mussolini, e come adesione al processo storico italiano concreto, all’idea dell’unità tra le forze materiali che hanno dato vita alla Resistenza e che, sopite, attendono di riemergere e proporre un’alternativa al degrado cui i partiti borghesi (di centrodestra come di centrosinistra) hanno trascinato il paese.
Per fare tutto questo è necessaria lucidità teorica, capacità d’indagine, disciplina militante. Noi riteniamo che spetti a Rifondazione Comunista il ruolo essenziale nel dar forma al soggetto artefice della rinascita delle forze di progresso nel nostro paese. Una responsabilità storica collettiva, assunta nel 1991 nel momento in cui veniva a mancare quel Partito Comunista Italiano la cui esperienza per intero rivendichiamo come nostra e vogliamo venga passata a un vaglio critico per valorizzarne le enormi conquiste e superarne le debolezze infine fatali, che si traduce in responsabilità individuale di ciascun militante verso il partito e verso la comunità. Due forme, queste, di una medesima responsabilità attuale, storica, futura che non tollera né consente forme intermedie.
Di qui l’ impegno con i nostri lettori, il nostro partito, l’Italia a venire che vogliamo costruire.