Tratto da “Il capitalismo della seduzione” di Michel Clouscard
Non faremo altro che richiamare le caratteristiche del potlatch. Perché tutto il nostro libro non sarà che la dimostrazione che il consumo mondano – nascosto dietro la nozione ideologica di “società dei consumi” – non è che un potlatch. Potlatch della plusvalenza.
Il potlatch è una spesa voluttuaria che permette di stabilire la gerarchia sociale secondo il consumo. Lo studio del potlatch (della plusvalenza) permetterà quindi di completare la definizione delle classi sociali. E di contribuire ad apportare al marxismo il complemento necessario alle classificazioni già note, quelle del processo di produzione.
Proporre i fondamenti economici, sociologici, storici del potlatch equivarrà a definire l’intrusione del piano Marshall nella società tradizionale (in Francia). Il potlatch nasce dal piano Marshall. Il consumo borghese specifico del neo-capitalismo comincia con la penetrazione dell’imperialismo americano. L’americanizzazione della vita francese s’inaugura con il consumo dei surplus made in USA.
Ma, come una certa modernità giovanile ha potuto dire: “Hitler? Non conosco”, l’intellettuale di sinistra, anche lui – soprattutto lui? – rischia di risponderci: “Piano Marshall? Non conosco: non se ne parla mai nel Nouvel Observateur” oppure: “Per definire la modernità, perché risalire così lontano nel tempo?” E in verità per quest’intellettuale la modernità, molto spesso, non comincia che dall’ultimo film alla moda. Il twist? Non lo conosco. Il reggae, sì. E la guerra della coca-cola? Era diventata un conflitto nazionale. Aveva dato luogo a dibattiti appassionati all’Assemblea (l’Assemblea Nazionale, una delle camere del parlamento francese N.d.T.). Quale intellettuale di sinistra si ricorda di quella lotta contro un sin troppo evidente simbolo – allora – di penetrazione commerciale e ideologica?
Quest’amnesia programmata non fa che rivelare l’importanza di ciò che deve essere dimenticato. Il piano Marshall è l’atto etimologico della nostra modernità. Il suo ruolo è fondamentale. Nell’immediato dopoguerra, esso ha innestato un’economia dell’abbondanza su un’economia della carenza e della miseria. Ed ha innestato il modello culturale americano in una società tradizionale, rurale. Quest’acculturazione radicale ha autorizzato un fenomeno radicalmente nuovo: l’immanenza dell’economico e del culturale. Laddove nella società tradizionale, i due termini si collocano alla più grande distanza possibile e conservano un’autonomia relativamente certa, la modernità sarà l’immanenza dei loro rapporti d’espressione. La cultura sarà espressione dei bisogni ideologici del mercato. E’ la definizione della società civile, che Hegel aveva previsto e denunciato.
Altra grande amnesia dell’intellettuale di sinistra: il surplus, il commesso viaggiatore del piano Marshall. La straordinaria gamma dei surplus nell’abbigliamento, nei macchinari, negli alimenti, ecc. Questa dimenticanza si spiega in parte con la modernizzazione della boutique del surplus. Dapprima officina di un prodotto di tali rarità e stranezza da sostenere lo slancio dell’immaginazione e del desiderio, essa è divenuta il luogo stesso della banalizzazione della mercanzia, della mescolanza di mode e prodotti esotici. Questo processo di banalizzazione costituisce la procedura stessa dell’amnesia.
La strategia del piano Marshall – quella del surplus – rivela la natura stessa del potlatch … Definire il potlatch viene a mostrare la strategia di seduzione del piano Marshall.
La conquista del mercato sarà la svendita dei surplus, l’offerta fatta alla gioventù francese dei giochi del macchinismo. Il modo d’impiego della sovrabbondanza, del fittizio. E tutto il resto seguirà, inesorabilmente: l’UDR, la messa in campo del modello di produzione americano (disprezzato…da De Gaulle!).
Questi oggetti – del gioco capitalista: flipper, juke-box, poster – non sono surplus utilitari. Ma dei gadgets. Essi hanno una funzione economica precisa: sono incentivi all’acquisto. Sono stati il surplus pubblicitario del piano Marshall, come regali, come incentivi. Sono degli abbellimenti.
Il poster? L’immagine che si regala al figlio per ricompensare i genitori dei loro acquisti. La decolpevolizzazione dei consumi superiori ai mezzi della famiglia. E il figlio incita all’acquisto, per le immagini. Il padre e il figlio sono le due parti interessate dal piano Marshall. All’uno i surplus utilitari. All’altro i surplus ludici.
In premio, un supplemento d’anima. L’anima del surplus. L’uso del surplus: la ludicità del consumatore, il sogno americano.
Tutti questi gesti ludici saranno modi d’impiego per il buon uso del piano Marshall. Flipper, juke-box, poster iniziano alla civiltà americana del gesto facile, in quanto usi del surplus. Gesto ludico, da consumatore disinvolto che usa e getta: supplemento d’anima della paccottiglia che diventa culturale.
Vendersi per mangiare o vendersi per giocare: il piano Marshall ha entrambi i fini. Due addestramenti. Ma laddove l’indipendenza nazionale potrà essere riconquistata – simbolicamente, d’altra parte – quando il gollismo avrà messo in campo il capitalismo monopolista di Stato, il supplemento d’anima apportato dal piano Marshall sarà diventato il modello promozionale della mondanità giovanile.
I surplus utilitari sono regali. E regali dei regali: le macchine ludiche. Doppia offerta, doppio dono… dell’imperialismo americano: il pane e il gioco, l’utile e il dilettevole, l’oggetto e le sue modalità d’impiego, la macchina e il sogno americano.
L’introduzione del piano Marshall (in Francia) autorizza la rottura con la società tradizionale. E’ l’accesso allo sperpero, simboleggiato dalla piccola offerta fatta alla macchina ludica, la monetina inserita nella fessura. Non c’è né atto d’acquisto né guadagno possibile, ma spesa ostentata per un consumo esclusivamente ludico.
Dunque, differenziazione e gerarchizzazione. Con la gente della III e IV Repubblica (periodo storico compreso tra il 1870 e il 1958, N.d.T.). Con un’ideologia dell’economia soldo per soldo, di piccoli risparmi. Ideologia della privazione (e anche del sacrificio). Morale del merito: il consumo non poteva che riguardare il frutto del lavoro.
L’onest’uomo si ricorderà indubbiamente, non avendo la memoria corta come quella degli arrivisti e dei cinici, di quei testi delle scuole elementari che insegnavano la codificazione della spesa. E la spesa del salario. L’uso del primo salario – dell’apprendista – era anche un rito. Il figlio consegnava fieramente e teneramente il denaro alla madre. Poiché mancava tutto, a cominciare in particolare dai beni fondamentali. A volte, certamente, il figlio usava il frutto del suo lavoro per qualche spesa personale: per comprarsi le scarpe, i vestiti. Si trattava di spese utilitarie.
L’onest’uomo alzerà le spalle con irritazione: “I tempi sono cambiati. Non è più lo stesso.” E’ appunto ciò che diciamo. Con le ragioni della differenza. Le quali può darsi non siano quelle addotte dall’onest’uomo. Ed ecco ciò che lo sconvolge. Ma noi non facciamo la morale; altro non facciamo che indicare delle procedure di consumo.
Quest’accesso a una simbolica dello sperpero è il primo momento dell’arrivismo, della promozione della nuova borghesia. Una nuova gerarchia – attraverso il consumo – è possibile. Attraverso un nuovo scambio simbolico.
Una monetina permette di esprimere il disdegno dei valori tradizionali e il disprezzo per i loro rappresentanti. Com’è facile e anonima questa provocazione! Basta far scivolare la moneta verso la nuova ideologia, verso la sua animazione macchinale.
Si inaugura così una forma di snobismo di massa. Attraverso l’appropriazione simbolica del nuovo consumo ludico e marginale. Straordinario potere totemico e simbolico: esso può snobbare la gerarchia stabilita dall’ideologia dell’economia, del valore, dei meriti, disprezzare la serietà di un diverso modo di produzione.
Questo scambio simbolico autorizza il capovolgimento dei valori: il ludico del neo-capitalismo denuncia il serio – della società tradizionale. E per fare ciò dispone del seguente alibi: questa serietà è – anche – quella della borghesia del capitalismo concorrenziale liberale. La promozione del ludico diventa così la denuncia dell’oppressione borghese!
Il primo venuto può offrirsi questo potlatch: sperperando – sperpero di cui il flipper, il juke-box, il poster sono i migliori simboli – può pretendere di mettersi al di sopra e al di fuori del denaro. Del potere tradizionale della borghesia: si autopromuove così nella nuova simbolica del consumo mondano.
Questa si rivela nella sua essenza: un uso. E non un avere. Il neo-capitalismo – rivoluzione delle rivoluzioni, quella del liberismo – permetterà di godere senza avere. Il neo-capitalismo è questa strategia della seduzione, della sottomissione., che è conquista del mercato e pratica ideologica.
Ogni adolescente – l’ètà legale è di sedici anni – può accedere a questo rito iniziatico (prima, il suo desiderio deve maturare dietro al gelato). E’ il diritto di ogni cittadino.
E’ anche l’inversione radicale della sensibilità adolescenziale. L’apprendistato della vita non è più apprendistato del mestiere, ma apprendistato dello sperpero. (Apprendistato dell’uso simbolico. Impregnamento ideologico ben più che accesso ai mezzi reali della spesa.)
Ciò che è determinante, è la pedagogia del gioco e non quella del lavoro. Milioni di anni-luce separano la sensibilità dell’apprendista – quella della miseria operaia del capitalismo concorrenziale liberale – dalla sensibilità dell’adolescente apprendista del consumo libidico, ludico, marginale. Bisogna marcare in fretta il corpo dell’adolescenza. Prima che sia marcato dal processo del lavoro. Perché lo scambio simbolico – del consumatore – s’interponga inevitabilmente tra l’uomo e la sua produzione.
L’atto di rottura – storica – con la società tradizionale, si ripete – ora simbolicamente – a livello microrelazionale. Lo sperpero – flipper, juke-box, poster – significa ancora la stessa provocazione e la stessa promozione. Ma a livello della vita quotidiana, come radicale banalizzazione di usi consacrati.
L’ultimo beneficiario del potlatch, inaugurato dall’imperialismo americano, ripete il grande dramma macrosociale, la scena originaria del nostro campo socio-culturale: la conquista del nuovo mercato e l’annientamento della società tradizionale. L’atto etimologico, l’atto fondativo del sistema è rimesso in scena. Ma nell’indifferenza generale. Il pudico mantello della banalizzazione ricopre i significati ideologici. Cosa c’è di più inoffensivo di un juke-box? Cos’altro è più innocente di un giocatore di flipper? Gli usi di rottura – con la società tradizionale – e d’integrazione nei costumi del nuovo capitalismo – non costituiscono più un problema. Tutto è acquisito. Tutto sembra giocato. Apparentemente non c’è più opposizione. Inoltre chi si adombrerebbe per degli usi insignificanti? Chi intraprenderebbe una crociata mirante ad attaccare violentemente la banalità quotidiana?
(Traduzione dal francese di Alessio Arena)