Resistenza, problemi e riforme negli attuali Paesi socialisti

Traduzione di Francesco Delledonne.

Pubblichiamo un passo del documento “Su alcune questioni ideologiche” approvato all’ultimo congresso del Partito Comunista Indiano (Marxista), svoltosi nell’aprile del 2012, in cui si analizza nelle sue linee fondamentali la situazione attuale degli esistenti Paesi socialisti (Cina, Cuba, Vietnam, Laos, Corea), i quali – pur nella unicità della situazione nazionale, dell’entità degli errori commessi e dei problemi da affrontare – hanno attuato e stanno attuando processi di riforme (anche discutibili) con il fine di attualizzare la costruzione del socialismo, colmare il divario fra l’arretrato sviluppo delle forze produttive e i crescenti bisogni materiali e culturali del popolo, per resistere insomma in un contesto internazionale che, a vent’anni dalla caduta dell’URSS, è ancora caratterizzato dalla supremazia economica e militare, indebolita e scossa dalla crisi ma ancora tale, dell’imperialismo a guida statunitense.

Una analisi ed un dibattito, quelli sul socialismo reale e sugli attuali Paesi socialisti, che il Partito della Rifondazione Comunista e i Giovani Comunisti dovrebbero affrontare con più serietà e meno arroganza, invertendo radicalmente la rotta rispetto ai deliri anticomunisti che si leggevano sulla Liberazione di Sansonetti e, più recentemente, rispetto alle infelicissime asserzioni di Ferrero sul Muro di Berlino “da piccozzare” e sulla sua caduta come un evento “da festeggiare”.

Una inversione radicale e un’analisi dialettica che sono tanto più necessari quanto la loro mancanza, quindi il rifiuto di vedere ogni Paese socialista nel contesto della costante aggressione imperialista e dei problemi enormi da affrontare nella costruzione del mondo nuovo, il rifiuto quindi di appoggiare la scelta concreta dell’abbattimento del capitalismo, porta poi a interiorizzare la sconfitta e, quindi, a proporre come modello di uscita dalla crisi del capitalismo un economista borghesissimo come Keynes e quindi a perdere ogni efficacia nella costruzione di una resistenza e di una mobilitazione di massa contro la macelleria sociale del governo Monti.

Un’analisi marxista-leninista e dialettica, quindi, che sia strettamente legata al dibattito su come attrezzare il Partito e il movimento operaio e popolare italiano alle dure sfide che ci attendono.

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SVILUPPI NEI PAESI SOCIALISTI

Nella realtà attuale, in un momento in cui il rapporto di forza internazionale fra le classi si è spostato in favore dell’imperialismo, gli esistenti Paesi socialisti sono entrati in un percorso di riforme economiche per fronteggiare le sfide poste dalla globalizzazione guidata e condotta dal capitale finanziario internazionale. Con la liberalizzazione che risucchia tutti i Paesi del mondo nel suo vortice, queste riforme sono basate sull’integrazione delle loro economie con il mercato internazionale. Il modo in cui questi Paesi stanno affrontando queste sfide, in questo periodo di transizione, è una questione che richiede un serio esame.

Questo processo di riforme sta risultando nella negazione del socialismo, inteso come la proprietà popolare dei mezzi di produzione e l’appropriazione sociale – e non individuale – del plusvalore? In tutti questi Paesi, durante il processo di riforme, sono emerse tendenze negative quali il rapido aumento delle disuguaglianze economiche, della corruzione, del nepotismo, ecc.
Queste tendenze non solo sono state notate dagli stessi Partiti comunisti al potere, ma sono stati intrapresi sforzi concreti per affrontarle, contenerle e correggerle.
La domanda principale che si pone è se questo processo di riforme stia portando all’emersione di una classe sfruttatrice capitalista che sviluppi il potenziale di guidare in futuro una vincente controrivoluzione, oppure se i rapporti di forza nell’ambito di queste riforme, nella realtà mondiale attuale, possano portare al consolidamento e all’ulteriore rafforzamento del socialismo.

Va sottolineato che ogni rivoluzione socialista, basandosi su un’analisi concreta della situazione concreta, sviluppa un proprio approccio riguardo alla socializzazione e al rapido sviluppo, all’interno di uno Stato proletario, delle forze produttive in modo da confermare il socialismo come sistema superiore al capitalismo. Come ciò possa essere attuato è specifico della realtà concreta che la specifica rivoluzione si trova davanti e dei rapporti di forza fra le classi, sia interni che esterni.

REPUBBLICA POPOLARE CINESE

Fino ad un certo punto, quello che si trova nella Cina socialista dopo le riforme è un riflesso delle posizioni teoriche assunte da Lenin riguardo al capitalismo di Stato durante il periodo della NEP. La questione principale è quella dello sviluppo delle forze produttive in una economia arretrata, per portarle fino ad un livello che possa sostenere una costruzione socialista su vasta scala. Lenin, nel suo tempo, sulla base della concreta situazione internazionale e interna, tentò costantemente di colmare rapidamente il divario fra le arretrate forze produttive e gli avanzati rapporti di produzione socialisti. Il corso di questa storia sovietica di costruzione socialsita, tuttavia, avvenne in circostanze storiche diverse.

Oggi in Cina ciò che viene ricercato è il raggiungimento della parità fra i livelli delle forze produttive e i rapporti di produzione nel socialismo. Gli avanzati rapporti socialisti di produzione non si possono sostenere ad un livello basso delle forze produttive. Un periodo prolungato con un basso livello di forze produttive darebbe vita ad una rilevante contraddizione fra i bisogni materiali e culturali del popolo, che nel socialismo sono in quotidiana espansione, e le arretrate forze produttive. Il PCC è ginuto alla conclusione che, se questa contraddizione dovesse rimanere irrisolta, il socialismo stesso in Cina sarebbe in pericolo.

Il programma generale del PCC ha caratterizzato così il suo compito: “La Cina si trova nella fase primaria del socialismo, e sarà così per un lungo periodo di tempo. Si tratta di una fase storica che non può essere saltata nella modernizzazione socialista della Cina, la quale è arretrata economicamente e culturalmente. Questa fase durerà più di cent’anni. Nella costruzione del socialismo dobbiamo procedere dalle nostre condizioni specifiche e procedere lungo la via del socialismo con caratteristiche cinesi”.

Il PCC ha portato avanti una concettualizzazione teorica della “fase primaria del socialismo”. Questo è di fatto in linea con ciò che gli stessi Marx ed Engels avevano affermato e che è stato poi accettato da tutti i marxisti successivi: che il socialismo è la fase transitoria fra il capitalismo e il comunismo e costituisce quindi la prima fase della società comunista. Il PCC tuttavia ha fatto un passo ulteriore formulando che, all’interno di questa fase transitoria, ci saranno diverse fasi a seconda dei livelli delle forze produttive al tempo della rivoluzione. Questo è stato esposto in modo sistematico nel 13° congresso del PCC. La Cina, essendo un Paese arretrato, semi-feudale e semi-coloniale al tempo della rivoluzione, si trova in una fase in cui la trasformazione socialista della sua economia deve essere condotta da livelli molto bassi. È questo processo che chiamano “costruire il socialismo con caratteristiche cinesi”.

Per ottenere questa trasformazione, il PCC ha avanzato una ulteriore formulazione teorica, quella della costruzione di una “economia socialista di mercato”. Ad ora è chiaro che fino a che esisterà la produzione di merci, dovrà anche esistere un mercato per scambiare queste merci.
Ciò che si vuole creare in Cina è una economia con un mercato di merci sotto il controllo dello Stato socialista, in cui la proprietà pubblica dei mezzi di produzione rimarrà quella predominante.  Il PCC con ciò intende “innanzi tutto che il capitale pubblico predomina nel capitale sociale totale; in secondo luogo, che l’economia statale controlla la vita economica e gioca un ruolo dominante nell’economia nazionale”. In questo modo intendono prevenire la polarizzazione economica e le disuguaglianze generate dall’economia privata di mercato e assicurare la comune prosperità dei lavoratori.

Queste riforme hanno certamente prodotto degli effetti positivi. L’economia cinese è cresciuta ad un tasso straordinario del 9% negli ultimi tre decenni, e la povertà, misurata in termini monetari, è diminiuita di più dell’80% fra il 1981 e il 2005. Nel dare inizio alle riforme, la Cina aveva pianificato di “raddoppiare il PIL del 1980 e assicurare i bisogni fondamentali del popolo.” Il secondo passo era di “raddoppiare nuovamente il prodotto del 1980 e raggiungere l’iniziale prosperità per la fine del XX secolo”. Questi obiettivi sono stati raggiunti. Tutto ciò è stato possibile non perché la Cina “ha rotto con il passato maoista”, ma perché si è sviluppata sulle fondamenta poste dalla Repubblica Popolare Cinese nei primi tre decenni di pianificazione centralizzata. Ora il terzo passo ha come obiettivo il “raggiungere il livello di PIL pro capite dei Paesi di medio sviluppo per il 100° anniversario della RPC”, nel 2049.

Dopo 33 anni di riforme, la produzione economica totale della Cina ha raggiunto i 5.88 trillioni di dollari nel 2010, cioè sedici volte quello del 1978. Similarmente, la percentuale del reddito pro capite cinese rispetto alla media mondiale è cresciuta dal 24,5% del 2005 al 46,8% nel 2010. Il volume totale delle importazioni e delle esportazioni è cresciuto dai 26,8 miliardi di dollari nel 1978 ai 2,974 trillioni del 2010. L’investimento straniero diretto dal 1979 al 2010 è di 1,048 trillioni di dollari.

Lo stesso processo di riforme in Cina ha subito diversi mutamenti nel corso di questi decenni. Anche se ebbero inizio nel 1978, la caduta dell’URSS e la scomparsa di una forza socialista di controbilanciamento nel mondo determinarono la nuova situazione globale che abbiamo analizzato prima. Allo stesso tempo ci furono disturbi interni come i fatti di piazza Tienanmen. Questi sviluppi determinarono molte “correzioni di rotta” nel processo di riforma.

Fu negli anni ’90 che si ebbe una rapida espansione del settore privato in vari ambiti e un indebolimento del provvedimento dello Stato nella salute, nell’educazione e nei settori sociali delle aree rurali. Il settore privato, nel 2005, costituiva il 50% del valore aggiunto nel settore industriale e impiegava circa il doppio di lavoratori rispetto a quelli impiegati dallo Stato e dalle imprese collettive/cooperative. Tuttavia, studi più recenti (ad esempio quelli redatti per il US Congressional Committee Reports) mostrano come i beni delle imprese statali (SOE) siano cresciuti da un equivalente del 60% del PIL nel 2005 al 62% nel 2010. I settori che le imprese statali (SOE) devono dominare e nei fatti dominano risultavano valere l’80% della capitalizzazione degli scambi borsistici domestici alla fine del 2010. Similarmente, il gettito fiscale derivante da imprese private domestiche è meno del 15% del totale.
Delle 42 aziende cinesi nella lista “Fortune 500” sulle più grandi imprese del 2010, tutte tranne tre sono di proprietà del governo. La lista delle 500 aziende cinesi più grandi comprende 75 settori. In 29 di questi nessuna azienda privata è menzionata e in altre 10 giocano solo un ruolo marginale. Le aziende di proprietà governativa in questi 39 settori dominati dallo Stato controllano l’85% dei beni totali di queste 500 imprese. La dimensione media delle SOE è molto maggiore delle non-SOE, pur risultando essere solo il 3,1% del numero totale di imprese.
In termini di beni medi, le SOE sono 13,4 volte più grandi delle non-SOE. La grandezza media delle SOE industriali è aumentata da 124 milioni di renminbi nel 1999 a 923 nel 2008, incrementando del 589% in soli nove anni. Nello stesso periodo, la media dei beni delle non-SOE è cresciuto solo modestamente del 67%, da 36 milioni a 60 milioni.

Dunque, mentre le imprese del settore privato stanno crescendo nell’industria e nei servizi, va sottolineato che le grandi imprese di proprietà statale controllano i settori strategici dell’economia. Le prime 50 SOE si sono consolidate e tengono le leve di comando nell’economia mineraria, petrolifera, del ferro, delle telecomunicazioni, delle banche, dell’energia, delle ferrovie, dei porti, ecc.

La seconda fase delle riforme è focalizzata sulle aree rurali e sull’ampliato divario fra città e campagna. È solo dopo il 2006 che il governo cinese ha intrapreso passi verso l’abolizione della tassa agricola, l’incremento dei sussidi per il prezzo del grano e l’aumento della spesa nella salute e nell’educazione nelle campagne. Ciò dimostra che l’intervento dello Stato opera ancora per porre rimedio a certi squilibri.

Tuttavia, problemi nuovi e allarmanti tendenze stanno venendo allo scoperto come risultato di questi sviluppi. Principalmente riguardano la crescita delle disuguaglianze, la disoccupazione e la corruzione.

Disuguaglianze:  Nell’intero Paese, urbano e rurale, si nota che nel 2002 il reddito medio del 10% più ricco era 22 volte più grande del 10% più povero. Gli ultimi 18 anni hanno visto un aumento in termini assoluti di 13 volte del divario fra redditi urbani e rurali. Oggi la Cina ha più miliardari di ogni altro Paese del mondo, eccettuati gli Stati Uniti. Nei dieci anni successivi al 1997, un periodo che vide un incredibile boom economico, la percentuale dei salari dei lavoratori nel reddito nazionale è scesa dal 53 al 40% del PIL.

Nel tentativo di porre rimedio a questi squilibri, il governo cinese ha avviato un programma di riduzione della povertà incentrato sullo sviluppo delle aree rurali, in un modo organizzato e pianificato. In linea con l’aumento dei livelli di sviluppo economici e sociali e basandosi sui cambiamenti nell’indice dei prezzi, lo Stato ha gradualmente aumentato la soglia nazionale di povertà per gli abitanti rurali dagli 859 yuan del 2000 ai 1274 yuan del 2010; la percentuale di poveri nel totale della popolazione agricola è scesa dal 10,2% del 2000 al 2,8% del 2010.

Corruzione: Le autorità di disciplina e di controllo hanno investigato 119,000 casi di corruzione nei primi undici mesi del 2010, leggermente di più rispetto ai 115,000 dello stesso periodo nell’anno precedente. Indagine di 108,000 casi fra questi sono concluse e 113,000 persone implicate sono state punite per aver violato le regole della disciplina del Partito o leggi amministrative e, fra questi, 4,332 sono stati dati in custodia alle autorità giudiziarie per aver violato la legge.

Altre questioni: ci sono altri aspetti [le cui conseguenze sono] imponderabili. Uno dei cambiamenti che è stato introdotto nel 2002 è la decisione di ammettere i capitalisti nel Partito. Oggi un certo numero di capitalisti e imprenditori è diventato membro del Partito. L’orientamento politico ed ideologico del Partito può subire nuove pressioni con il cambiamento nella composizione del Partito.

Un altro problema è costituito dall’eliminazione della categoria di imperialismo dall’analisi del Partito Comunista Cinese. In assenza di una direzione antimperialista, può avvenire una attenuazione dell’internazionalismo proletario.

In sintesi: in questi tre decenni di riforme la Cina ha compiuto enormi passi nello sviluppo delle forze produttive e nella crescita economica. Un tasso di crescita medio costante del 10% su un arco di tre decenni è senza precedenti nell’intera storia del capitalismo in qualsiasi Paese. Tuttavia, questo processo ha anche portato chiaramente alla ribalta cambiamenti negativi nei rapporti di produzione e dunque nei rapporti sociali della Cina odierna.

Con che successo verranno affrontate queste contraddizioni e come verranno risolte determinerà il futuro corso della Cina. Gli sforzi di rafforzare e di consolidare il socialismo riceveranno la nostra solidarietà e quella dei comunisti in ogni parte del mondo.

È anche importante analizzare le riforme attuate dal Vietnam, da Cuba e infine dalla Corea del Nord. Esse riguardano essenzialmente la maniera in cui questi Stati si relazionano con il capitale finanziario internazionale e con la globalizzazione, in particolare in un momento in cui la crescita di questi Paesi, prima basata sul fondamentale appoggio e aiuto dell’URSS, deve ora basarsi sull’integrazione con il mercato internazionale determinato dalla globalizzazione. La necessità è di affrontare le sfide che la globalizzazione imperialista pone all’esistenza stessa del socialismo in questi Paesi.

REPUBBLICA SOCIALISTA DEL VIETNAM

Nel 6° del Partito Comunista del Vietnam del dicembre del 1986, la dirigenza del Partito ha introdotto cambiamenti in molti aspetti della vita, in particolare nella vita economica, sotto il nome di “Doi Moi” o Rinnovamento.

Il rapporto del 6° congresso dice: “Nell’organizzare la struttura economica, in primo luogo la struttura della produzione e degli investimenti, spesso siamo partiti dal desiderio di progredire rapidamente e non abbiamo preso in considerazione le condizioni e le abilità pratiche…”. E in seguito viene affermata la necessità dell’esistenza di diverse forme di proprietà durante il periodo di transizione. Successivamente, nel suo 7° congresso, il Partito Comunista del Vietnam ha messo in evidenza molti problemi che sono emersi e la necessità di combattere queste tendenze negative per il socialismo.

[La Repubblica Popolare Democratica del Laos ha avuto uno sviluppo molto simile a quello dei vicini vietnamiti, pur con le sue specificità nazionali e che andrebbe approfondito. ndr.]

REPUBBLICA DI CUBA

Anche Cuba si trova nel mezzo di un processo di revisione e riformulazione delle sue politiche economiche. Dopo la caduta dell’Unione Sovietica e del blocco socialista, Cuba si è trovata all’improvviso privata dei costanti flussi di beni che erano assicurati dall’URSS. L’imperialismo statunitense continua a strangolare Cuba imponendo le sanzioni economiche più inumane nella storia del mondo moderno.

In questo scenario, il Partito nel gennaio del 2011 ha adottato una risoluzione sulle “Linee Guida sulla politica economica e sociale del Partito e della Rivoluzione”, per attualizzare “il modello economico cubano e con l’obiettivo di garantire la continuità e la irreversibilità del socialismo, lo sviluppo economico del Paese e il miglioramento delle condizioni di vita del popolo.

Cuba sta anche lavorando per rielaborare la sua politica sugli stipendi, sulle pensioni, sulla chiusura di imprese statali in perdita, sull’eliminazione dei “benefici gratuiti, dei sussidi eccessivi” e gradualmente delle carte di razione. È stato pianificato di liberalizzare le proprietà agricole e di darle da coltivare in affitto a piccoli proprietari, di creare un mercato di piccoli produttori e di incoraggiare la produzione per le esportazioni. È stato anche deciso di intraprendere passi per migliorare la produttività e la disciplina sul lavoro, e per rilocalizzare la forza lavoro in eccesso. Si pianifica inoltre di introdurre un sistema fiscale in cui le tasse più alte vengono pagate da chi ha redditi più elevati, di fornire incentivi fiscali per aumentare la produzione e di sistema di doppia moneta prevalente nel Paese.

REPUBBLICA DEMOCRATICA POPOLARE DI COREA

La Corea del Nord ha adottato nel 2011 un “Piano strategico statale decennale per lo sviluppo economico” e ha deciso di costituire un “Ufficio Generale dello Stato per lo Sviluppo Economico”, per monitornarne il progresso.

Attraverso queste riforme, la RDPC intende far avanzare le sue forze produttive sociali, senza cui non può raggiungere quei livelli più elevati di sviluppo economico e sociale  che sono così urgenemente necessari per provare la superiorità del socialismo. A parte distorsioni come il culto della personalità, ci sono problemi come la carenza di alimenti che devono essere affrontati.

CONCLUSIONE

Come abbiamo sottolineato in relazione al processo di riforme in Cina, la questione principale che si pone in queste esperienze di riforme nei Paesi socialisti è di come affrontare e contrastare i nuovi problemi e le contraddizioni che stanno nascendo, e ciò determinerà il futuro corso della modernizzazione socialista.

Come affermato nella Risoluzione del nostro 14° congresso, “il socialismo può sostenersi e svilupparsi solo sulla base di una crescente coscienza collettiva del popolo la quale, a sua volta, è basata sulle condizioni materiali create dalla rivoluzione socialista. Questa coscienza collettiva non può essere elevata senza la fermezza ideologica del Partito Comunista al governo”.

http://www.cpim.org/content/partycongress

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