In seguito al tragico naufragio dei migranti a Lampedusa, il quotidiano turco Aydınlık, organo del Partito dei Lavoratori (İşçi Partisi), ha realizzato un’intervista al nostro redattore Alessio Arena, a cura del compagno Aytekin Kaan Kurtul, per offrire ai propri lettori una prospettiva marxista-leninista italiana sul tema del rapporto tra capitalismo e flussi migratori. Ne pubblichiamo il testo completo in italiano.
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La tragedia di Lampedusa è stata l’ultimo di una serie di eventi che hanno testimoniato la vittimizzazione di centinaia di rifiugiati che vedevano l’Europa come un’uscita dal caos e dalla povertà che dominano i propri paesi d’origine. Secondo te, quali sono i veri motivi economici e politici dietro queste onde di immigrazione e perchè queste morti non possono essere prevenute?
Credo che in primo luogo sia necessario collocare i flussi migratori nel contesto in cui si generano: quello del capitalismo giunto nella sua fase imperialista. La dominazione dei paesi della “metropoli” imperialista sul Terzo Mondo oggi assume le forme del neocolonialismo, giustamente definito da Kwame Nkrumah, con una parafrasi di Lenin, “fase suprema dell’imperialismo”: all’occupazione diretta delle nazioni oggetto di dominazione si sostituisce il controllo economico e politico. Eritrea e Somalia, i principali paesi di provenienza delle vittime di Lampedusa, presentano da questo punto di vista la specificità di essere due ex colonie italiane su cui il nostro paese esercita un’influenza particolare. L’Eritrea ha ottenuto la propria indipendenza nel 1993 dopo una lunga lotta contro le forze etiopi del Negus prima, del DERG e dei governi che lo hanno sostituito poi: una rivoluzione iniziata con caratteristiche progressiste e poi degenerata, tanto che il regime di Isaias Afewerki intrattiene oggi solide relazioni con i partiti di governo italiani. La Somalia, dal canto suo, è stata l’ultima colonia italiana a ottenere l’indipendenza nel 1960 (una circostanza di cui solo pochi italiani hanno memoria): l’Italia ha imposto a quel paese per i nove anni successivi un brutale rapporto di sudditanza economica e, dopo la rivoluzione socialista del 1969, ha avuto una parte attiva nell’isolare e far degenerare il governo di Siad Barre fino alla sua caduta nel 1991. Da allora la Somalia è precipitata nel caos e nell’ingovernabilità, accentuata dall’intervento militare “umanitario” guidato dalle potenze occidentali a inizio anni ’90. Gli italiani consapevoli ancora si vergognano per gli abusi dei nostri militari contro la popolazione somala di quegli anni.
Naturalmente gli interventi recentemente condotti su mandato occidentale dalle truppe keniote e ugandesi contro la guerriglia islamista non hanno certo aiutato a migliorare la situazione. Questo per richiamare il primo elemento che rende impossibile un controllo della situazione: l’imperialismo nella sua fase neocolonialista distrugge le condizioni per la sopravvivenza di intere popolazioni, alimentando l’illusione di una vita migliore in Europa. E qui subentra il secondo elemento: i flussi migratori hanno una precisa funzione economica in Occidente, perché servono a calmierare il costo della manodopera a vantaggio del padronato. Le nostre campagne, in particolare nel sud, sono piene di lavoratori clandestini impiegati per paghe da fame, e così i cantieri e le industrie. Non si è mai visto un paese capitalista operare per risolvere davvero la questione dell’immigrazione, perché essa serve all’estorsione del plusvalore. Viene da sé che ne deriva un’enorme tensione sociale, moltiplicata dalle difficoltà prodotte dalla crisi economica, che coniugata con il retaggio culturale eurocentrico e razzista ancora presentissimo nel Vecchio Continente erede dell’età coloniale offre ai partiti di destra (Lega Nord, Front National francese, ecc…) un facile terreno per alimentare l’ostilità tra lavoratori autoctoni e immigrati e portare a termine così il proprio lavoro sporco al servizio delle classi dominanti.
Gli interventi della NATO influenzano tali eventi?
Naturalmente. Nel caso specifico di Lampedusa, oltre a Eritrea e Somalia è coinvolta un’altra ex colonia italiana: la Libia messa inginocchio nel 2011 dalla ribellione islamista fomentata in particolare da USA, Francia, Regno Unito, Qatar e Arabia Saudita, e oggi trasformatasi nella “Somalia dell’Africa del nord”. Oggi la Libia è ingovernabile, in mano a bande armate di tagliagole che hanno trascorso gli ultimi due anni a infierire sulla popolazione nera stanziata in territorio libico con le armi fornite dalle “democrazie” occidentali e dai loro alleati mediorientali. Possiamo solo immaginare, causa l’assoluta mancanza d’informazione, le conseguenze di tutto questo sul traffico di esseri umani in cerca di un mezzo per raggiungere l’Europa.
Allargando il discorso, la Libia e la Siria sono soltanto i due casi più noti di un moltiplicarsi esponenziale della politica imperialista delle potenze occidentali. L’Africa in particolare sta pagando il prezzo più alto: dalla Costa d’Avorio bombardata dalla Francia per deporre il presidente Laurent Gbagbo nel 2011 al Mali dell’intervento voluto da Hollande, dall’Uganda al Sudan scisso in due, la strategia occidentale per riaffermare il proprio controllo su intere aree del mondo che tentano di usare in particolare la sponda offerta dalla Cina per emanciparsi da una schiavitù secolare sta ponendo le basi per alimentare fino al collasso i flussi migratori verso l’Europa.
Le norme UE riguardo le immigrazioni garantiscono di fatto i diritti fondamentali (sia economici che politici) dei migranti?
No. L’Unione Europea limita il proprio attaccamento ai diritti umani alle ipocrite dichiarazioni di principio. Si potrebbe aprire un lungo discorso circa se, come e quanto essi siano rispettati per gli stessi residenti e cittadini dei paesi membri, ma senz’altro ciò non avviene per gli immigrati, sia legali che soprattutto clandestini. In Italia il primo passaggio repressivo è stata la legge Turco-Napolitano (tra gli autori, l’attuale Presidente della Repubblica che allora era Ministro dell’interno): è stata questa legge voluta dal centrosinistra ad introdurre i centri di detenzione in cui i clandestini vengono internati prima di essere espulsi. La destra ha completato l’opera con la legge Bossi-Fini, introducendo criteri che rendono difficilissimo immigrare e stabilirsi legalmente nel nostro paese e stabilendo il reato d’immigrazione clandestina, ciò che permette che mentre ai morti di Lampedusa è stata accordata la cittadinanza italiana “postuma”, i loro compagni sopravvissuti sono oggetto di un procedimento penale da parte della Procura. Il colmo dell’ipocrisia! Naturalmente si potrebbero citare altri casi europei: ancora non si è spenta la memoria dell’ordine di sparare sugli immigrati impartito anni fa dal “socialista” Zapatero alle truppe spagnole di stanza a Ceuta.
Nel contesto politico italiano, quali possono essere le soluzioni legislative per prevenire queste tragedie e come dovrebbe essere l’approccio del governo italiano, specialmente nella politica estera?
In questi giorni in Italia si fa un gran parlare della difesa della Costituzione repubblicana e antifascista. Penso che l’approccio italiano dovrebbe ispirarsi al dettato della Costituzione, che impegna la Repubblica alla tutela dei diritti umani per ogni individuo come singolo e nelle formazioni sociali che ne formano la personalità e schiera l’Italia tra i costruttori della pace e della cooperazione tra i popoli. “L’Italia ripudia la guerra”, dice la Costituzione, ma in particolare negli ultimi tre decenni questo principio costituzionale non ha più alcuna corrispondenza nemmeno formale con la politica estera praticata dal nostro paese, che invece ha ormai gettato la maschera e sviluppa un livello di partecipazione alle avventure guerresche della NATO cui fa riscontro un poderoso sforzo ideologico mirato ad alimentare e giustificare ogni guerra. Un esempio: mentre l’Italia partecipava al dilaniamento della Jugoslavia insieme alle altre potenze occidentali, fino ad arrivare alle bombe di D’Alema contro la Serbia nel ’99, l’opinione pubblica italiana veniva investita da una martellante propaganda revisionista circa l’occupazione dei Balcani durante la Seconda guerra mondiale. Scopo: demonizzare gli slavi e rendere la popolazione incline ad accettare iniziative aggressive contro di loro.
In connessione con questo, dovremmo far nostro il principio, costituzionalizzato negli ordinamenti rivoluzionari latinoamericani, secondo cui sul suolo italiano nessun essere umano deve essere considerato illegale per il solo fatto di esistere. L’immigrazione dovrebbe essere consentita in forme legali e i diritti degli immigrati garantiti, sul piano civile e sociale, come quelli degli altri lavoratori. Naturalmente questo presuppone un cambiamento radicale del nostro ordinamento sociale: i problemi dell’immigrazione non possono essere isolati dal contesto in cui sorgono. Come dicevo prima, non si è mai visto un paese capitalista e imperialista risolvere in modo positivo la questione dell’immigrazione, e questo per ragioni strutturali che hanno a che vedere con la natura della società in cui viviamo, fondata sulla rapina e lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non a caso l’unico esempio positivo che ho potuto citare è quello delle rivoluzioni latinoamericane: esse coniugano lotta per l’indipendenza nazionale e affermazione dei diritti umani con la necessità della trasformazione della società, e sono dunque in grado di approcciare la questione in modo coerente, seppure tra mille difficoltà.
Secondo te, come dovrebbe essere l’approccio comunista all’immigrazione in Occidente dai paesi della periferia del capitale?
Trovo insoddisfacente, almeno in Italia, il dibattito in merito. Si trascende facilmente nel pietismo, non si analizza la relazione tra struttura economica ed immigrazione e quindi si danno risposte parziali e inadeguate. Tantopiù che oggi, dopo decenni di diminuzione del fenomeno, ci troviamo di fronte alla necessità di riflettere sui flussi migratori non più prevalentemente dal punto di vista del paese che accoglie, ma nuovamente da quello del paese da cui essi hanno origine. Sono centinaia di migliaia i giovani italiani che hanno lasciato il paese negli ultimi quindici anni, mossi dalla mancanza di prospettive di vita.
Credo che in primo luogo sia necessario restituire declinazione pratica alle categorie dell’internazionalismo e dell’antiperialismo: fuori da una giusta connessione con questi due elementi cardine della nostra teoria rivoluzionaria, un approccio razionale alla quesione non mi pare nemmeno pensabile. L’unità e l’organizzazione di classe devono poi fare il resto: se è vero come è vero che gli immigrati hanno una funzione di “esercito di riserva” nel mercato del lavoro, solo la lotta di classe condotta dai lavoratori autoctoni e immigrati insieme può ribaltare i rapporti di forza e porre le condizioni per una soluzione positiva sul piano interno e internazionale. Sicché lotta contro l’imperialismo e la guerra, fratellanza e solidarietà tra gli oppressi di ogni nazionalità e lotte sociali per migliorare le proprie condizioni materiali di vita si confermano come i molteplici aspetti di un’unica battaglia rivoluzionaria per il socialismo.
Abbiamo testimoniato tragedie simili sia in Turchia che in Grecia riguardo la crisi siriana e soprattutto in Turchia abbiamo testimoniato l’abuso della disperazione dei rifiugiati a favore dei gruppi armati fondamentalisti che lottano contro il Governo Assad. Anche se la Siria è abbastanza lontana dall’Italia, si puo’ parlare di un tale rischio anche in Italia?
Seppure meno coinvolta di Turchia e Grecia, l’Italia è anch’essa investita dalle conseguenze della crisi siriana. I profughi provenienti dalla Siria sono numerosi in Sicilia (circa 5000) e anch’essi vittime della disumanità dei trafficanti di esseri umani. Era composta da siriani la maggioranza dei passeggeri dell’ultimo barcone naufragato a largo delle nostre coste ed è di questi giorni la notizia della fuga di un gruppo di loro dal centro d’identificazione dove erano internati, a Catania. Certamente, quando ad approdare sulle nostre coste sono profughi siriani, la propaganda di regime si dà subito un gran da fare ad attribuire la responsabilità di tutto al governo di Damasco. Nei casi della Libia e della Siria, il livello di mistificazione e di manipolazione dell’opinione pubblica raggiunto dai media italiani è stato senza precedenti: un vero e proprio ribaltamento della realtà che, oltre a rendere il clima favorevole all’allineamento italiano nei confronti della politica di USA e Francia, occulta le responsabilità di una classe dirigente che ha schierato l’Italia tra gli attori più attivi della destabilizzazione della Siria. Va aggiunto che, con la sconfitta diplomatica inflitta da Putin al progetto d’intervento occidentale, la propaganda nelle ultime settimane si è esercitata più nella distrazione dell’opinione pubblica dalla crisi siriana che non nel fomentare smanie guerresche.