La Libia, la Siria, la Palestina, Cuba, l’Africa, l’integrazione latinoamericana e la lotta infaticabile contro l’imperialismo e le aggressioni militari USA e NATO, per la pace e l’amicizia tra i popoli nel “testamento” che raccoglie l’essenziale dell’eredità del Comandante Hugo Chávez Frías in politica internazionale: la sua lettera all’Organizzazione delle Nazioni Unite del settembre 2011. (N.d.R.)
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Palazzo Miraflores,
Caracas, 27 settembre 2011
Signor Presidente dell’Assemblea Generale
Distinti rappresentanti dei popoli del mondo:
Signore e signori,
dirigo queste parole all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, a questo grande foro in cui sono rappresentati tutti i popoli della Terra, per esprimere le verità del Venezuela bolivariano e riaffermare il nostro impegno irrinunciabile nei confronti della giustizia e dell’eguaglianza, questo è, della pace.
La pace, la pace, la pace… Non cerchiamo la pace dei cimiteri, come diceva Kant con ironia, ma una pace fondata sul più geloso rispetto del diritto internazionale. Purtroppo l’ONU, nel corso della sua storia, invece di assommare e moltiplicare gli sforzi per la pace tra le nazioni, ha finito per avallare – talvolta per azione, talaltra per omissione – le più spietate ingiustizie.
Bisogna sempre ricordare che nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite si parla di salvare le generazioni future dal flagello della guerra… Pura lettera morta. Dal 1945 in qua, le guerre non hanno fatto che crescere e moltiplicarsi inesorabilmente. Guardiamo, una volta di più, alla Libia distrutta e insanguinata dalla volontà dei potenti di questo mondo.
Desidero rivolgere un appello alla riflessione ai governi del mondo: dall’11 settembre 2001 ha avuto inizio una nuova guerra imperialista che non ha precedenti storici: una guerra permanente, perpetua.
Dobbiamo guardare in faccia la spaventosa realtà del mondo in cui viviamo. È necessario formulare un insieme di inquietudini a partire dai pericoli e dalle minacce che incombono: perché gli Stati Uniti sono l’unico paese che dissemina il mondo di basi militari? Chi temono per avere un così vertiginoso bilancio destinato ad aumentare sempre di più il loro potenziale militare? Perché hanno scatenato tante guerre, violando la sovranità di altre nazioni che hanno uguali diritti sui propri destini? Come far valere il diritto internazionale contro la loro insensata aspirazione di egemonizzare militarmente il mondo a garanzia di fonti energetiche per sostenere il loro modello predatorio e consumista? Perché l’ONU non fa nulla per contenere Washington? Se rispondessimo, con assoluta sincerità, a questi interrogativi, comprenderemmo che l’impero si è arrogato il ruolo di giudice del mondo, senza che nessuno gli abbia conferito tale responsabilità e che pertanto la guerra imperialista ci minaccia tutti.
Washington sa che il mondo multipolare è una realtà irreversibile. La sua strategia consiste nell’arginare, a tutti i costi, la rapida ascesa di un insieme di paesi emergenti, negoziando grandi interessi, con i suoi soci e seguaci, per dare al multipolarismo la direzione che l’impero vuole. Ma questo non è tutto: si tratta di una riconfigurazione del mondo che si basa sull’egemonia militare yankee.
L’umanità si sta misurando con la minaccia reale della guerra permanente. In qualunque scenario, e la Libia lo dimostra, l’impero è disposto a creare le condizioni politiche per arrivare alla guerra. Nella visione imperiale del mondo, si sta invertendo il celebre assioma di Clausewitz: la politica è la continuazione della guerra con altri mezzi.
Cosa c’è sullo sfondo di questo nuovo Armageddon? Il potere onnicomprensivo della cupola militare-finanziaria che sta distruggendo il mondo per accumulare sempre più profitti; la cupola militare-finanziaria che sta subordinando, di fatto, un insieme sempre maggiore di Stati. Si tenga conto che il modo di esistere del capitale finanziario è la guerra: la guerra che rovina i più, arricchisce pochi in modo inimmaginabile.
Nell’immediato esiste una gravissima minaccia per la pace nel mondo: lo scatenarsi di un nuovo ciclo di guerre coloniali, che ha avuto inizio in Libia, con il sinistro obiettivo di ridare fiato al sistema-mondo capitalista, oggi in crisi strutturale, ma senza porre nessun genere di limite alla sua voracità consumista e distruttiva. Il caso della Libia deve metterci in guardia riguardo la pretesa di implementare una nuova modalità imperiale di colonizzazione: quella dell’intervenzionismo militare avallato dagli organi antidemocratici delle Nazioni Unite e giustificato in base a menzogne mediatiche prefabbricate.
L’umanità è sull’orlo di una catastrofe inimmaginabile: il pianeta marcia inesorabilmente verso il più devastante ecocidio; il riscaldamento globale lo annuncia, con le sue paurose conseguenze, ma l’ideologia dei Cortés e dei Pizarro riguardo all’ecosistema, come ben dice il notevole pensatore francese Edgar Morin, li porta a continuare a depredare e a distruggere. La crisi energetica e la crisi alimentare si acutizzano, ma il capitalismo continua a passare impunemente tutti i limiti.
Di fronte a questo panorama tanto desolante, il grande scienziato statunitense Linus Pauling, insignito in due occasioni del Premio Nobel, continua a illuminarci il cammino: «Credo che esista nel mondo un potere superiore a quello negativo della forza militare e delle bombe nucleari: il potere del bene, della moralità, dell’umanitarismo. Credo nel potere dello spirito umano». Mobilitiamo dunque tutto il potere dello spirito umano: ora è il momento. S’impone scatenare una grande controffensiva politica per impedire che i poteri delle tenebre trovino giustificazioni per andare alla guerra: per scatenare la guerra globale generalizzata con cui pretendono di salvare il capitale occidentale.
Il Venezuela fa appello alla costruzione di una grande alleanza contro la guerra e per la pace, con il supremo obiettivo di evitare la guerra con qualunque mezzo. Bisogna sconfiggere politicamente i guerrafondai e, ancora di più, la cupola militare-finanziaria che li promuove e li comanda.
Costruiamo l’equilibrio universale preconizzato dal Libertador Simón Bolívar: l’equilibrio che, secondo le sue parole, non può nascere nel seno della guerra; l’equilibrio che nasce dalla pace.
È necessario ricorrere alla memoria dell’immediato passato: il Venezuela, insieme agli altri paesi membri dell’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA), ha perorato attivamente in favore di una soluzione pacifica e negoziata del conflitto libico. Lo stesso ha fatto anche l’Unione Africana. Ma alla fine si è imposta la logica bellica decretata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU e messa in pratica dalla NATO, il braccio armato dell’imperialismo yankee. La logica bellica che ha avuto la sua punta di diamante nelle multinazionali della comunicazione: si ricordi che il “caso Libia” è stato portato al Consiglio di Sicurezza sulla base dell’intensa propaganda dei mezzi di comunicazione, che hanno mentito affermando che l’aviazione libica stesse bombardando civili innocenti, per non menzionare la grottesca sceneggiata mediatica della Piazza Verde di Tripoli. Questa campagna premeditata di menzogne ha giustificato misure affrettate e irresponsabili del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che hanno aperto la strada perché la NATO implementasse, per via militare, la sua politica di cambio di regime in quel paese.
Vale la pena di domandarsi: in cosa si è trasformata la zona d’interdizione al volo stabilita dalla risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza? Per caso le più di 20.000 missioni aeree della NATO contro la Libia, molte delle quali finalizzate al bombardamento del territorio libico, non sono la negazione stessa di tale zona d’interdizione? Annichilita completamente la forza aerea libica, la continuità dei bombardamenti “umanitari” dimostra che l’Occidente, tramite la NATO, sta imponendo i suoi interessi nel nord dell’Africa, trasformando la Libia in un protettorato coloniale.
È una presa in giro affermare che si sia imposto da parte dell’ONU un embargo di armi in Libia, quando la stessa ONU ha introdotto migliaia di armi pesanti per appoggiare l’insurrezione violenta contro il governo legittimo del paese. L’embargo, naturalmente, doveva solo impedire che il governo libico potesse difendere la sua sovranità, convalidando una volta di più il crudele modo di funzionare internazionale secondo il quale la legge s’impone solo al debole.
Qual è il motivo reale di questo intervento militare? Ricolonizzare la Libia per appropriarsi delle sue ricchezze. Tutto il resto è subordinato a questo obiettivo. Nessuno colonizza innocentemente, diceva, con piena ragione, il grande poeta della Martinica Aimé Césaire nel suo straordinario Discorso sul colonialismo.
Ovviamente la residenza del nostro ambasciatore a Tripoli è stata invasa e saccheggiata, ma l’ONU ha fatto finta di nulla, serbando un silenzio ignominioso.
Pretendiamo la cessazione immediata dei bombardamenti sul territorio libico. Egualmente, continueremo a esigere il rispetto del diritto internazionale nel caso di questa nazione sorella: non resteremo muti di fronte all’intenzione perversa di distruggere le basi che gli danno senso e ragione. Per lo stesso motivo, poniamo la seguente domanda a questa Assemblea: perché si concede il seggio della Libia all’ONU all’autoproclamato “Consiglio Nazionale di Transizione”, mentre si blocca l’ingresso della Palestina, disconoscendo non solo la sua legittima aspirazione, ma ciò che già è volontà maggioritaria dell’Assemblea Generale? Il Venezuela ratifica qui, con tutte le sue forze e con l’autorità morale conferita dalla volontà maggioritaria dei popoli del mondo, la sua solidarietà incondizionata con il popolo palestinese è il suo appoggio assoluto alla causa nazionale palestinese, includendo l’immediata ammissione di uno Stato palestinese a pieno titolo nel seno dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
E lo stesso copione imperialista si sta ripetendo nel caso della Siria. Se non fosse perché alcuni membri permanenti del Consiglio di Sicurezza fanno mostra oggi della fermezza che è loro mancata nel caso della Libia, tutto sarebbe definito perché il Consiglio di Sicurezza dia il suo avallo alla NATO per sparare missili e inviare bombardieri contro la Siria.
È intollerabile che i potenti di questo mondo pretendano di arrogarsi il diritto d’ingiungere a governanti legittimi e sovrani le dimissioni immediate. Così è successo in Libia, nello stesso modo vogliono procedere contro la Siria. Tali sono le asimmetrie esistenti nello scenario internazionale, tali sono gli oltraggi contro le nazioni indipendenti.
Non siamo nella posizione di dare un giudizio sulla situazione interna della Siria, in primo luogo per la complessità inerente a ogni realtà nazionale e , in secondo luogo, perché solo il popolo siriano può risolvere i suoi problemi e decidere del suo destino in conformità con il diritto all’autodeterminazione dei popoli, un diritto inalienabile in tutti i sensi. Ma questo non c’impedisce di pensare che sia cento volte meglio sostenere il successo dell’ampio dialogo nazionale convocato dal presidente Bashar Al Assad, piuttosto che imporre sanzioni e gridare come iene in favore di un intervento militare. Dal Venezuela bolivariano sosteniamo, senza ambiguità, gli ingenti sforzi che fa il presidente Bashar Al Assad per preservare l’unità e la stabilità della sua patria, di fronte all’assedio dell’imperialismo vorace.
Signor Presidente, dirigiamo ora la nostra attenzione al Corno d’Africa e avremo un esempio struggente del fallimento storico dell’ONU: la maggioranza delle agenzie di stampa serie sostiene che negli ultimi tre mesi vi siano morti tra i 20 mila e i 29 mila bambini minori di cinque anni.
La grande giornalista Frida Modak, nel suo articolo «Morire in Somalia», porta allo scoperto tutta la miseria che, peggiore di quella che devasta la estesa regione del Corno d’Africa, erode le principali organizzazioni internazionali, e innanzitutto l’ONU: ciò di cui c’è bisogno per far fronte a questa situazione sono 1.400 milioni di dollari, non per risolvere il problema, ma per far fronte all’emergenza in cui si trovano Somalia, Kenia, Djibouti ed Etiopia. Secondo tutte le informazioni, i prossimi due mesi saranno decisivi per evitare la morte di più di 12 milioni di persone e la situazione più grave è quella della Somalia.
Non potrebbe essere più atroce questa realtà, se contemporaneamente non ci domandassimo quanto si sta spendendo per distruggere la Libia. Così risponde il congressista statunitense Dennis Kucinich: «Questa nuova guerra ci costerà 500 milioni di dollari solo nella prima settimana. È chiaro che non abbiamo risorse finanziarie per questo e dunque finiremo per ridurre il finanziamento di altri importanti programmi interni». Secondo lo steso Kucinich, con la somma spesa nelle prime tre settimane nel nord del continente africano per massacrare il popolo libico, si sarebbe potuta aiutare moltissimo tutta la regione del Corno d’Africa, salvando decine di migliaia di vite.
Le ragioni che hanno motivato il criminale intervento in Libia non sono per nulla umanitarie: si fondano sul postulato maltusiano che «c’è troppa gente nel mondo» e che si debba eliminarla, generando più fame, distruzione e incertezza. Generando, contemporaneamente, più profitti finanziari. In questo senso, è francamente vergognoso che nel messaggio di apertura della 66a Assemblea Generale dell’ONU non si sia fatto appello all’azione immediata per risolvere la crisi umanitaria che patisce il Corno d’Africa, mentre si assicura che «è venuto il momento di agire» a proposito della Siria.
Signore e signori, ci esprimiamo allo stesso modo per la fine del vergognoso e criminale blocco contro la Repubblica sorella di Cuba: blocco che l’impero esercita da più di cinquant’anni, con crudeltà e sevizia, contro l’eroico popolo di José Martí.
Fino al 2010 ci sono già state diciannove votazioni nell’Assemblea Generale dell’ONU che confermano la volontà universale di esigere dagli Stati Uniti che cessi il blocco economico e commerciale contro Cuba. Esauriti tutti gli argomenti della sensatezza internazionale, resta solo da credere che tale accanimento contro la Rivoluzione Cubana sia conseguenza della superbia imperiale di fronte alla dignità e al valore che ha dimostrato l’indomito popolo cubano nella sovrana decisione di reggere il suo destino e lottare per la sua felicità.
Dal Venezuela, crediamo che sia venuta l’ora di pretendere dagli Stati Uniti non solo la fine immediata e incondizionata del criminale blocco imposto contro il popolo cubano, ma anche la liberazione dei cinque combattenti antiterroristi cubani sequestrati nelle carceri dell’impero per l’unico motivo di tentare d’impedire le azioni illegali che gruppi terroristi preparano contro Cuba, sotto la protezione del governo degli Stati Uniti.
Signor Presidente dell’Assemblea Generale e distinti rappresentanti dei popoli del mondo, vogliamo reiterarlo: è impossibile ignorare la crisi delle Nazioni Unite. Di fronte a questa stessa Assemblea Generale sostenemmo, nell’anno 2005, che il modello delle Nazioni Unite si fosse esaurito. Il quell’occasione abbiamo rappresentato anche la necessità improrogabile della loro rifondazione.
Da allora in qua nulla è stato fatto: la volontà politica dei potenti si è imposta. Chiaro: l’ONU, per come oggi funziona, serve docilmente i loro interessi. Per noi è chiaro che le Nazioni Unite non migliorano né miglioreranno dall’interno. Se il loro segretario generale, insieme al procuratore della Corte Penale Internazionale, partecipa ad un atto di guerra, come nel caso della Libia, non c’è nulla da sperare dall’attuale forma di questa organizzazione. E non c’è più tempo per le riforme: l’ONU non accetta nessuna riforma; la malattia che si porta dentro è mortale.
Risulta intollerabile che esista un Consiglio di Sicurezza che volti le spalle, ogni volta che vuole, al clamore maggioritario delle nazioni, disconoscendo deliberatamente la volontà dell’Assemblea Generale. Se il Consiglio di Sicurezza è una sorta di club di membri privilegiati, cosa può fare l’Assemblea Generale? Qual è il suo margine di manovra, quando questi violino il diritto internazionale?
Parafrasando Bolívar – quando si riferiva concretamente al nascente imperialismo yankee nel 1818 -, è ora di finirla con il fatto che le leggi le metta in pratica il debole e gli abusi il forte. Non possiamo essere solo noi popoli del Sud a rispettare il diritto internazionale, mentre il Nord ci distrugge e saccheggia, violandolo.
Se non assumiamo una buona volta l’impegno di rifondare le Nazioni Unite, tale organizzazione perderà definitivamente la poca credibilità che le resta. La sua crisi di legittimità si accelererà fino all’implosione finale. Di fatto, così è accaduto all’organismo che fu il suo antecedente immediato: la Società delle Nazioni.
Un primo e decisivo passo perché cominciamo a rifondare le Nazioni Unite sarebbe eliminare la categoria di membri permanenti e il diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza. Egualmente, bisognerebbe massimizzare democraticamente il potere decisionale dell’Assemblea Generale. S’impone anche, nell’immediato, la revisione a fondo della Carta delle Nazioni Unite, con l’obiettivo di procedere alla redazione di una nuova Carta.
Popoli del mondo, il futuro di un mondo multipolare in pace è nelle nostre mani. Nell’articolazione dei popoli maggioritari del pianeta per difenderci dal nuovo colonialismo e raggiungere l’equilibrio universale che neutralizzi l’imperialismo e l’arroganza.
Questo appello ampio, generoso, rispettoso, senza esclusioni, si dirige a tutti i popoli del mondo, ma specialmente alle potenze emergenti del Sud, che devono assumere con valore il ruolo che sono chiamate a svolgere nell’immediato.
Dall’America Latina e dal Caribe sono sorte poderose e dinamiche alleanze regionali, che cercano di configurare uno spazio regionale democratico, rispettoso delle particolarità e desideroso di porre l’accento sulla solidarietà e la complementarietà, potenziando ciò che ci unisce e risolvendo politicamente ciò che ci divide. E questo nuovo regionalismo ammette la diversità e rispetta i ritmi di ciascuno. Così l’Alleanza Bolivariana per i Popoli della Nostra America (ALBA) avanza come esperimento d’avanguardia di governi progressisti e antimperialisti, cercando formule di rottura con l’ordine internazionale imperante e rafforzando la capacità dei popoli di far fronte, collettivamente, ai poteri di fatto. Ma questo non impedisce che i suoi membri diano un impulso deciso ed entusiasta al consolidamento dell’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), blocco politico che federa i 12 Stati sovrani del Sudamerica con il fine di raggrupparli in ciò che il Libertador Simón Bolívar chiamò «una nazione di Repubbliche». E più oltre, noi 33 paesi dell’America Latina e del Caribe ci prepariamo a compiere il passo storico di fondare una grande entità regionale che ci raggruppi tutti, senza esclusioni, dove possiamo disegnare insieme le politiche che dovranno garantire il nostro benessere, la nostra indipendenza e la nostra sovranità, sulla base dell’eguaglianza, della solidarietà e della complementarietà. Caracas, la capitale della Repubblica Bolivariana del Venezuela, s’inorgoglisce sin d’ora perché ospiterà, i prossimi 2 e 3 dicembre, il Vertice dei Capi di Stato e di Governo che fonderà definitivamente la nostra Comunità di Stati Latinoamericani e Caribici (Celac).
Noi venezuelani riponiamo le nostre speranze in una grande alleanza delle organizzazioni regionali del Sud, come l’Unione delle Nazioni Sudamericane (Unasur), la Caricom, il SICA, l’Unione Africana, l’Asean o la ECO e, specialmente, nelle istanze interregionali di articolazione delle potenze emergenti, come il BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) che deve diventare un polo di attrazione articolato con i popoli del Sud.
Desidero terminare ricordando il grande cantore del popolo venezuelano, Alí Primera. In una delle sue canzoni c’interroga così:
Qual è la lotta
degli uomini per ottenere la pace,
e quale pace,
se vogliono lasciare
il mondo così com’è?
Oggi più che mai, il peggior crimine contro la pace è lasciare il mondo com’è. Se lo lasciamo com’è, il presente e l’avvenire sono e saranno determinati dalla guerra perpetua. Al contrario, ottenere la pace presuppone abolire radicalmente tutto ciò che impedisce, per dirlo con lo stesso Alí Primera: «che sia umana l’umanità».
Hugo Chávez Frías
Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela
(Traduzione dallo spagnolo a cura di Alessio Arena)