L’incrocio di Sesto Marelli tra viale Edison e viale Monza, lo scorso 17 febbraio 2016 pullulava di tute blu e bandiere delle più svariate sigle sindacali confederali. Circa 300 lavoratori presenti in presidio e poi in corteo verso le rispettive sedi di lavoro. Radunati qui per sostenere la lotta in difesa della loro occupazione contro i tagli all’occupazione e l’arroganza padronale delle multinazionali che controllano ABB, Alstom Italia e l’ex Alstom Power oggi di proprietà della General Electric. I numeri sono impressionanti: circa 600 lavoratori rischiano il posto.
Si tratta di aziende con migliaia di dipendenti sul territorio nazionale e miliardi di euro di fatturato. Il loro intento è quello di delocalizzare, licenziare e chiudere, portando con sé brevetti, prodotti intellettuali e professionali nati e sviluppati in Italia. Operano nei settori delle tecnologie legate all’energia e nel trasporto ferroviario occupandosi di sviluppo tecnologico, produzione e attività manutentiva.
Alstom Italia: fa parte del colosso francese, Alstom, che ha ceduto il settore energia a General Electric. Ad oggi impiega circa 330 persone, nel settore della produzione sul sito della cittadina dell’hinterland milanese e altre 900 a Savigliano (CN). In totale ha circa 2700 dipendenti suddivisi in 8 sedi italiane. Industria di eccellenza nel 2000 acquista Fiat Ferroviaria e con essa il brevetto del Pendolino, tanto che oggi, dagli stabilimenti italiani è uscito il PKP, il primo treno ad alta velocità recentemente acquistato dalle ferrovie polacche. Tuttavia i siti italiani sono in gran parte legati al mercato interno, ossia alle commesse per i treni regionali, ma la gara d’appalto per ora è bloccata. E dal momento che nel nostro paese, a differenza che in altri non esiste alcun vicolo per il “contenuto nazionale di lavoro”, Alstom sta pensando di spostare altrove la progettazione e la produzione e di mantenere nel sito alle porte di Milano il service e la manutenzione. Famiglie a rischio? 330.
Abb: ABB, acronimo di Asea Brown Boveri, è un’azienda multinazionale con sede a Zurigo. Presente in numerosi Paesi del mondo, impiega 140.000 dipendenti e opera in massima parte nelle tecnologie per l’energia e l’automazione. A Sesto lavorano in 1000, 5600 sul territorio nazionale. L’intenzione del gigante svizzero è quella di riorganizzarsi globalmente applicando un piano di esuberi. L’arroganza padronale è così forte che i vertici dell’azienda non sono disponibili a discutere con i lavoratori in alcun modo e per il momento hanno già lasciato a casa 7 persone che non hanno accettato di “dimettersi”. I numeri totali della riorganizzazione in questa fase non sono conosciuti.
I dipendenti dell’ex Alstom Power ora General Electric sono in presidio da tempo. Da quando la proprietà americana ha deciso di delocalizzare la produzione dei componenti per centrali elettriche in Polonia e Romania, di licenziare 249 lavoratori e chiudere di fatto la fabbrica di via Edison. Il 26 febbraio ci sarà un incontro al Ministero per lo sviluppo economico. Pare che General Electric voglia investire 700 milioni di euro in Italia tuttavia, fanno sapere dal presidio, ciò non deve passare dalla dismissione della sede nella cittadina del Nord Milano.Sul sito internet dell’azienda americana si può leggere in bella vista sull’homepage:”Zero chance? Eccellente! è quello il genere di occasioni che amiamo!Tutti i giorni, GE sta ridefinendo i confini di ciò che è possibile.” Forse si riferiscono anche ai rapporti con i lavoratori.
Tre situazioni diverse, tre ambiti diversi. Come un libro con la trama ad intreccio tutte si concludono nella constatazione che mancando una politica industriale, economica, sindacale adeguata che difenda l’occupazione e che impedisca alle aziende di comportarsi come se fossero i padroni della vita degli altri, l’arroganza e la supponenza padronale non avranno fine, riproponendo sempre gli stessi film ma con attori differenti.
Fronte Popolare sostiene la lotta per la difesa del diritto al lavoro, per la dignità dello stesso e per la fine dello strapotere padronale.