La vittoria del miliardario Donald Trump, candidato repubblicano, nelle elezioni presidenziali dello scorso 8 novembre, rappresenta un fatto eccezionale nella storia degli Stati Uniti e largamente imprevisto. E questo per la compattezza con cui i centri dirigenti del capitalismo statunitense, gli organi d’informazione e le organizzazioni di massa storiche hanno accordato il loro sostegno alla candidata democratica Hillary Clinton. Clinton ha rappresentato con chiarezza, nel corso della campagna elettorale per le elezioni primarie prima, e poi nella corsa per la Casa Bianca, la candidata che più compiutamente esprimeva gli interessi e le priorità strategiche delle classi dominanti.
E ciò innanzitutto perché Clinton è stata la diretta responsabile dello sviluppo della politica estera della Casa Bianca sotto la presidenza di Barack Obama. La politica estera degli USA negli anni della presidenza Obama è stata tesa a riaffermare il controllo della superpotenza su vaste aree del mondo, ad estenderlo a nuove regioni, a sottrarre spazio ai principali antagonisti (Russia e Cina), a scompaginare e piegare gli esperimenti progressisti in corso in America Latina. Alcune parti integranti di tale strategia sono state:
1- Il rafforzamento della cooperazione con i principali alleati europei (in particolare Francia e Regno Unito, in seconda istanza Italia), finalizzato a ridurre l’influenza della Germania nell’area UE, a limitare le relazioni economiche e politiche tra Europa e Russia (a danno principalmente di Germania e Italia), con la finalità di utilizzare i partner europei come strumento per affermare il controllo del blocco atlantico sull’area euro-mediterranea e in Africa (Libia, Siria, Costa d’Avorio, Mali). Di questa strategia ha fatto parte l’organizzazione del colpo di stato del 2014 in Ucraina, cui risultato è stata la guerra civile in atto nella parte orientale del paese, le cui conseguenze sono servite da pretesto per imporre contro la Russia sanzioni economiche lesive tanto della sua economia, quanto di quella di alcuni paesi europei (Italia). Della riaffermazione del partenariato strategico degli USA con Francia e Gran Bretagna ha fatto parte anche la politica tenuta nei confronti dell’esplosione della crisi della Grecia, che ha avuto come esito un rafforzamento della presenza statunitense nei Balcani a scapito della Germania.
2- La pianificazione di una guerra economica, attuata con il sostegno dei paesi arabi alleati degli USA, finalizzata ad abbattere sui mercati il prezzo del petrolio, a danno dell’economia tanto di un antagonista di primo piano come la Russia, che ha registrato nel 2015 una flessione del PIL del 3,7% con gravi conseguenze sociali, quanto dei paesi progressisti latinoamericani (primo tra tutti il Venezuela). La difficoltà di tenuta registrata da tali paesi ha influenzato anche l’economia cinese, determinando un forte rallentamento nella sua crescita.
3- La pianificazione di una serie di colpi di stato che hanno destabilizzato l’America Latina, aventi come scopo la distruzione dell’asse progressista che vi si era costituito (Honduras, Paraguay e Brasile quelli riusciti). Il combinato disposto di tali colpi di stato, del rafforzamento dell’Alleanza del Pacifico e della sfavorevole congiuntura economica ha determinato un cambiamento generale del clima politico in America Latina, favorevole alla restaurazione reazionaria (Argentina).
A tale strategia sul piano internazionale, l’amministrazione Obama ha accompagnato un sistematico sostegno alla finanza speculativa, finalizzato ad alimentare la circolazione e la valorizzazione dei capitali statunitensi, con l’immissione nei circuiti finanziari di immense quantità di denaro pubblico (salvataggio delle banche, ma anche “programmi sociali” come “Obamacare”), sostentati anche con massicce emissioni di valuta, alla cui valorizzazione si è proceduto tramite il reinvestimento in titoli del debito di paesi esteri o sotto controllo USA, con la conseguenza del collasso delle loro economie (Puerto Rico).
Il fallimento dell’amministrazione Obama, ineluttabile, è stato nel fronteggiare la crisi sociale interna. L’economia produttiva degli USA è stata piagata da decenni di dismissioni e delocalizzazioni che hanno distrutto il tessuto economico degli stati industriali dell’Unione, i quali non a caso hanno decretato in larga parte il successo di Trump. Il disagio sociale ha prodotto un aumento esponenziale dei suicidi, mentre la violenza poliziesca impiegata per sedare le tensioni sociali ha fatto riesplodere tensioni razziali mai sopite, in particolare con la comunità afroamericana. Il movimento Black Lives Matter rappresenta in questo contesto un tentativo di elevare sul piano politico il malcontento della popolazione nera, cui fa riscontro una nuova ondata di razzismo in quella bianca, indirizzato tanto contro i neri quanto contro i latinos, le cui ondate migratorie vengono viste come l’origine del crollo dei livelli salariali.
Se la presidenza Obama ha agito efficacemente a tutela del capitalismo finanziario statunitense, essa ha fallito nel garantire il controllo egemonico sulle classi popolari di tutte le estrazioni razziali. E questo malgrado il controllo che il Partito Democratico esercita sui sindacati e sulle organizzazioni storiche dei neri e dei latini e per la difesa dei diritti civili, mobilitatesi in blocco per la candidatura di Hillary Clinton sin dalle primarie.
A completare il quadro, la scarsa popolarità della stessa Clinton, considerata dalla maggioranza della popolazione come un’espressione dei vizi peggiori dell’establishment politico alla guida del paese da decenni.
La vittoria di Donald Trump appare dunque come un risultato del fallimento della presidenza Obama nell’esercitare un controllo sulla società statunitense scossa dalla crisi.
Malgrado gli orientamenti di Trump in economia siano tipicamente neoliberisti, la promessa di massicci investimenti in infrastrutture e di tutelare la produzione nazionale di beni contro la concorrenza cinese per salvaguardare i posti di lavoro, così come l’annuncio dell’espulsione di massa degli immigrati clandestini e del potenziamento del controllo della frontiera con il Messico, hanno conquistato l’attenzione dei lavoratori bianchi degli Stati più colpiti dalla depressione, che si sono schierati in massa con i repubblicani. Viceversa Clinton non ha saputo raccogliere il consenso di neri e latinos, che ne hanno compreso la compromissione con le politiche repressive attuate nei loro confronti sin dalla presidenza del marito.
Le prospettive della presidenza Trump appaiono incerte. Il sostegno del grande capitale alla Clinton è stato determinato dagli effetti disastrosi che potrebbero avere per gli Stati Uniti alcune direttrici strategiche annunciate da Trump, o le conseguenze di alcune politiche da questi caldeggiate:
1- La guerra commerciale annunciata con la Cina, che rappresenta un’arma a doppio taglio capace di bruciare inutilmente quantità immense di capitali.
2- L’insistenza di Trump nel favorire relazioni con esponenti politici europei contrari o scettici nei confronti dell’Unione Europea, che rischia di destabilizzare quest’ultima a beneficio della Russia.
3- L’intenzione annunciata di abbandonare il terreno in Siria e Ucraina, con la conseguenza di far respirare la Russia e restituirle posizioni perdute nell’area euro-mediterranea.
4- La possibile fine delle sanzioni contro la Russia, capace di rivitalizzare la sua economia e determinare un passo in avanti positivo per il blocco russo-cinese.
5- La possibile, ulteriore esplosione delle tensioni razziali negli Stati Uniti, con la conseguente destabilizzazione degli equilibri interni.
6- La delegittimazione delle istituzioni portata avanti da Trump in campagna elettorale (accuse di brogli), pericolosissima per la tenuta dell’ideologia dominante negli Stati Uniti.
In conclusione, con la presidenza Trump si aprono profonde contraddizioni nel cuore della potenza statunitense. Quanto queste contraddizioni saranno deflagranti, lo determinerà l’influenza che su Trump saprà esercitare la dirigenza del Partito Repubblicano, sin dall’inizio ostile alla candidatura del miliardario e decisa a garantire gli interessi del capitale finanziario contro qualunque minaccia. Gli Stati Uniti di Trump saranno comunque più deboli di quelli di Obama: spetterà alle forze progressiste statunitensi lavorare sulle contraddizioni che prevedibilmente si approfondiranno in conseguenza delle politiche di Trump e spingere su un terreno più avanzato la confusa ricerca di un’alternativa progressista e di sinistra che, nel corso delle primarie democratiche, si è illusoriamente espressa nel voto di grandi masse di popolo a sostegno della candidatura di Bernie Sanders.
Vedi il saluto di Fronte Popolare alla Conferenza nazionale del Workers World Party (USA)