Riprendiamoci il futuro, 04/02: intervento di Aris Della Fontana, Partito Comunista – Svizzera (Video + testo)

Segue il testo dell’intervento pronunciato dal compagno Aris Della Fontana, rappresentante del Partito Comunista (Svizzera), in occasione del seminario “Riprendiamoci il futuro – Ricostruire il partito rivoluzionario”.

Un XXI secolo progressivo in Svizzera? La prospettiva del Partito Comunista

Negli anni recenti, il percorso di rigenerazione del Partito Comunista s’è caratterizzato per il rigetto d’un abito mentale ricercante un fantomatico e grottesco eccezionalismo. Un fenomeno di estetizzazione dell’azione politica che porta a ritenere tutto ciò che ci sta attorno come radicalmente diverso da un’identità, la nostra, ritenuta pura, immacolata, esotica. È, questa, una concezione retorica e declamatoria della politica che cammina di pari passo sia col folklorismo nostalgico e autoreferenziale, sia con la prassi “gruppettara”, sia con l’estremismo e il massimalismo, parolai tanto quanto inconcludenti. Insomma, stiamo gridando forte che non siamo né alieni, né utopisti che fantasticano, né emissari di un mondo che esiste già, muniti delle ricette per ricrearlo; che non abbiamo alcuna messianica missione da compiere, né un ineluttabile destino da divinare.

Equilibrismo, questa la parola d’ordine.

Occorre, da un lato, mantenere intatta la capacità di muovere una critica radicale, senza sconti, alla società odierna, con le sue strutturali, intrinseche contraddizioni. Di fronte ad un presente che ambisce ad eternarsi, generando una perdita di futuro che inghiotte gli individui, dobbiamo suscitare un desiderio di prassi, di alternativa, di avvenire. Dall’altro, però, dobbiamo pure essere consapevoli di camminare su un terreno complesso, intriso di limiti, di costrizioni e di ambivalenze. La realtà ha una sua oggettività: ha delle regole di funzionamento che non possono essere ignorate: esse sono spesse, resistenti, e determinano il campo nel quale possono avere luogo i processi di trasformazione. Insomma, non possiamo plasmare a nostro piacimento, in modo agevole e illimitato, ciò che ci sta attorno.

È vero, tale approccio corre il rischio di divenire una forma di pessimismo, di cinismo; e cioè di degenerare in un realpoliticismo astratto, cocciutamente interessato al solo presente, baldanzosamente tatticista, sedicente concreto e pragmatico, e per tutto ciò incline a etichettare come utopista ogni sguardo che oltrepassi l’anno solare.

Ma è un rischio che va corso, almeno laddove si voglia provare ad intravedere, nella sua plausibilità, la trasformazione sociale. È infatti nell’attenzione all’inverabilità delle proposte e delle prospettive che si riscontra il carattere scientifico d’una prassi politica, e perciò la sua attendibilità. E, per capire in quali limiti è confinato l’universo del possibile, occorre sprofondare nella realtà, leggerne operosamente i processi, saperne ascoltare le pulsazioni e con ciò intravederne le tendenze; il tutto nell’ambito di un’aperta e razionale discussione interna.

Giunti a questo punto, appare pressoché superfluo sottolineare il valore basilare della formazione politica, del sistematico approfondimento e aggiornamento teorico, della riconquista di un pensiero forte. Il rigetto della frettolosità, del pressapochismo e della superficialità, però, non deve tradursi nella fuga nella teoresi: cioè nell’elusione delle responsabilità politiche e organizzative, a seguito della percepita difficoltà d’interagire coi movimenti reali.

Come se fosse possibile condurre e risolvere il conflitto politico esclusivamente nella teoria; come se non fosse altrettanto necessario badare alla produzione di soggettività: ossia alla trasmissione di coscienza critica. Il fatto di riguadagnare una concezione pedagogica del Partito – ovviamente adeguata ai giorni nostri – non è dunque separabile dalla riflessione sulle modalità organizzative della formazione politica stessa, che non meritano di essere relegate all’ambito burocratico-amministrativo. Non è un caso, in tal senso, che lo sviluppo delle diverse fasi del marxismo si sia sovrapposto all’evolversi delle considerazioni teoriche relative alle forme e alle caratteristiche organizzative: si pensi a Marx e alla critica del modello politico anarchico, si pensi a Lenin e al partito d’avanguardia, si pensi a Gramsci e alla concezione del blocco storico, si pensi infine a Togliatti, teorico del partito nuovo.

Veniamo ora a considerare la realtà odierna.

La fase attuale è segnata tanto da una profonda interconnessione delle economie nazionali quanto da un mutamento relativo nell’epicentro dei processi sistemici di accumulazione, che ha visto l’energico affacciarsi di nuovi attori; il tutto attraversato da una vigorosa competizione internazionale. L’Occidente, nonostante si trovi ancora in una posizione di vantaggio, vive un arretramento relativo, che ne sta riducendo i rapporti di forza economici e, con essi, i margini di profitto: tale declino lo stanno per lo più pagando i settori subalterni, in via di impauperimento e, nel mentre, partecipanti d’una sciagurata guerra intestina.

Nel caso elvetico, in virtù di alcune particolarità, questa parabola regressiva si sta presentando in termini alquanto temperati. Ma ciò, per una sinistra di classe all’altezza della fase storica, non esime dalla responsabilità di rispondere con prontezza all’incertezza e al disagio comunque serpeggianti; dalla responsabilità, cioè, di intervenire prima che lo scenario diventi più complicato, meno agibile. A tal proposito, anziché inveire contro i demagoghi, occorre indicare una prospettiva, un tragitto, che risultino tanto sostenibili quanto allettanti. È una questione di credibilità e di serietà; e dunque di egemonia.

Siccome solo il presente custodisce i germi del futuro, riteniamo occorra prospettare un orizzonte confacente alle coordinate della Svizzera odierna. Questo Paese possiede un tessuto economico che, tendenzialmente, è orientato alla produzione ad alto valore aggiunto. Ciò che risulta prioritario è potenziare in termini strategici una tale peculiarità, attraverso la configurazione di una sinergia quadripolare, tra lavoratori, poli formativi, PMI e Stato, con quest’ultimo a coordinare i vari attori, a dettare linee guida, tempistiche e obiettivi dello sviluppo dei distretti tecnologici, e a stabilirne le regole: si tratta, insomma, di adottare una fresca e rinnovata prassi di programmazione, nell’ambito di un’economia mista ad egemonia pubblica. Le Pmi, ad esempio, dovranno sottostare a determinati parametri lavorativi e sindacali, come un salario minimo più che dignitoso, contratti collettivi per tutti i lavoratori, e dovranno essere ecologicamente sostenibili. Ingrediente centrale d’una tale evoluzione, è l’innalzamento del livello culturale e formativo della cittadinanza, e con ciò del suo spirito critico e innovativo, attraverso l’obbligatorietà scolastica fino ai 18 anni, la forte enfasi sull’istruzione di grado liceale e la disposizione dei presupposti per una futura formazione politecnica che sappia superare alla base la divisione fra lavoratore manuale e intellettuale, nella direzione di una società dei saperi. D’altronde la realtà distrettuale possiede le premesse per migliorare i rapporti di forza dei lavoratori, esaltando le loro peculiari capacità, il loro grado di qualificazione, e dunque il loro protagonismo; lo sviluppo della coscienza di classe, nel suo essenziale rapporto con il lavoro produttivo, ne risulterebbe rinvigorita.

Questo è l’unico scenario alternativo alla compressione salariale e alla desertificazione industriale, entrambe conseguenze della volontà di intraprendere la competizione internazionale sul terreno di un’economia a medio-basso valore aggiunto. Ed è, dunque, l’unico scenario che permette di salvaguardare l’occupazione e la dignità dei lavoratori; l’unico scenario che permette di guardare al futuro senza timore.

Ciò, tuttavia, potrà avere luogo nella misura in cui la Svizzera saprà relazionarsi con gli altri paesi su basi paritarie, rigettando una prassi neocolonialista e inserendosi virtuosamente nelle catene di valore transnazionali. La capacità di produrre beni de-standardizzati difficilmente sostituibili, il know-how accumulato nel corso degli anni e il fatto di poter mettere a disposizione servizi efficienti, sono fattori che la Svizzera dovrà far fruttare nel solco di una cooperazione internazionale nella quale i diversi partner, che agirebbero nell’ottica di conseguire vantaggi cooperativi, mettano a disposizione i rispettivi punti di forza. E ciò nella direzione di uno sviluppo complementare, di una prosperità condivisa. Lo sforzo culturale che occorre compiere è quello di rendersi conto che agire nell’ottica di consolidare le posizioni dei partner, e dunque appianare le diseguaglianze, rappresenta un’operazione ben più proficua dello sfruttamento dei vantaggi competitivi che un’economia ad alta intensità tecnologica possiede rispetto alle altre.

All’interno di questo orizzonte i comunisti elvetici intravedono i presupposti per il definirsi d’una funzione progressiva della Svizzera nello scacchiere globale. Questo anche e soprattutto nell’ottica di contribuire attivamente alla strutturazione di un contesto multipolare caratterizzato dalla democrazia internazionale, che faccia dell’indipendenza e dell’autodeterminazione dei popoli non tanto lo strumento con cui attuare una sterzata sovranista, autarchica, quanto l’opportunità per costruire solidi ponti di dialogo fra i paesi nell’ambito di un rispetto reciproco. Del resto, un tale scenario di mondializzazione universalista in fieri, radicalmente alternativo alla globalizzazione imperialistica e dunque particolaristica, è la conditio sine qua non per immaginare, in futuro, di poter parlare di trasformazione socialista della società.

La prospettiva che ho delineato comporta un’attività politica immane, perché il suo campo d’azione è vastissimo e densissimo. Essa appare ancor più colossale nell’attuale fase storica, segnata dalla debolissima capacità egemonica delle forze di classe, il che è causa d’una carenza strutturale di militanza e di personale politico. Per questo motivo abbiamo optato per concentrare le nostre energie su alcuni ambiti prioritari: il consolidamento organizzativo; la formazione politica della gioventù, per creare quadri con orientamento di massa; la contro-informazione e l’approfondimento teorico; la cooperazione internazionale; l’approccio a settori professionali ritenuti particolarmente confacenti alla transizione prima considerata; un lavoro istituzionale che, invece di scadere nel cretinismo parlamentare, intercetti e rappresenti il dissenso, e che sia in grado di dare vita ad una proposta politica critica ma costruttiva, applicabile, utile, la cui concretizzazione si basi sulla ricerca di momenti di collaborazione, di un fronte: infatti avere le idee chiare non costringe ad essere dogmatici o settari: non è incompatibile con un’etica dell’ascolto e con una ricerca di convergenze nel rispetto delle diverse prospettive.

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