Sulla morte di Doddore Meloni, indipendentista sardo, dopo due mesi di sciopero della fame in carcere

Un uomo, un attivista politico, muore dopo due mesi di sciopero della fame mentre sconta una pena detentiva inflitta per il rifiuto, motivato politicamente, di pagare le tasse allo Stato per la piccola attività che gli dava da vivere. Un fatto di enorme gravità, consumatosi sotto la cappa di piombo del silenzio mediatico.

Sia ben chiaro: non si tratta di condividere o meno la causa indipendentista sarda o le scelte personali di Doddore Meloni. Si tratta dell’umanità elementare che diventa fatto politico nel momento in cui si riconosce il bene della vita umana come superiore a ogni altro e su quello si vuole fondare una società: una scelta che appartiene a noi, avanguardia del mondo a venire, ma certo non al Capitale e ai suoi apparati repressivi. Si tratta della necessaria rivolta morale di fronte a uno Stato ostaggio dei grandi predoni e truffatori che siedono nei CdA delle banche e degli istituti finanziari, salvati sulla nostra pelle a suon di miliardi, ma spietato quando si tratta di reprimere il dissenso minuto e ostinato dell’oppresso. Si tratta di tutti gli abitanti di questo nostro paese, sempre più sordi, ciechi e muti mentre il maglio della repressione entra con certosina precisione in ogni aspetto della nostra vita quotidiana e mentre folle sempre più selvagge vengono sapientemente educate a sventolare cappi e invocare misure draconiane contro chiunque metta in discussione l’ordine costituito.

Un uomo è morto dopo due mesi di sciopero della fame in un carcere italiano, passati totalmente sotto silenzio. Anche solo pochi anni fa sarebbe stato inconcepibile. Riflettiamoci tutti con attenzione.

Ai cari di Doddore Meloni, a chi gli era vicino, le nostre condiglianze.

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