Negli ultimi anni, all’interno del territorio cuneese e, purtroppo, non solo, sempre più fabbriche ed aziende hanno deciso di effettuare ristrutturazioni industriali di vario tipo, obbligando lavoratori a sottostare a misure notevolmente pesanti e stressanti a livello fisico e psicologico, quali licenziamenti ed obbligo di mobilità.
Soffermandoci sulla situazione cuneese pare evidente che non si possa effettuare un’analisi che possa considerarsi “campione statisticamente rappresentativo” della situazione industriale a livello nazionale: si dovrebbe analizzare un contesto molto più ampio e complicato. Non è questo il documento che si pone l’oneroso obiettivo di analizzare un contesto lavorativo generale, su scala nazionale. È purtuttavia possibile svolgere un piccolo compendio circa la situazione lavorativa di alcune aziende della provincia Granda che, negli ultimi tempi, hanno evidenziato preoccupanti caratteri di crisi industriale e lavorativa.
Addentriamoci in questo percorso che vuole brevemente riassumere ed approfondire, senza la pretesa di offrire soluzioni concrete a tali problemi, la situazione di alcune fabbriche che, negli ultimi tempi, hanno subito importanti e ingombranti ristrutturazioni aziendali.
ABET LAMINATI (Bra)
Nella giornata di lunedì 21 gennaio 2019 l’azienda Abet laminati, principale realtà occupazionale della città di Bra, con circa 600 dipendenti, ha convocato i sindacati per comunicare che a seguito di una ristrutturazione e riorganizzazione aziendale ha deciso di aprire una procedura di licenziamento collettivo per un totale di 112 dipendenti.
Qui come altrove, i sindacati di categoria Filctem Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil da giorni si confrontano con la dirigenza aziendale per trovare soluzioni alternative ai licenziamenti, senza però ottenere grossi cambiamenti, tant’è che la vertenza pare sia giunta ad un punto di stallo da cui si fa fatica ad intravedere dei cambiamenti, in meglio o in peggio. Vari scioperi e presidi sono stati organizzati dalle organizzazioni sindacali davanti ai cancelli della fabbrica: mobilitazioni condotte a più riprese che hanno bloccato a “singhiozzo” la produzione, per diverse ore del giorno e per diversi giorni, ma che fino a questo momento non hanno si sono volute estendere alle forze politiche che, effettivamente, potrebbero sostenere la lotta.
Uno dei più grandi problemi del sindacato italiano è forse quello della sua chiusura a riccio? Non solo del sindacato si dovrebbe rispondere. Ciascuna forza politica e sindacale che guardi a sinistra sembra in questo preciso momento storico-politico evitare volontariamente e accuratamente qualsiasi ingerenza esterna. Il completo e totale settarismo che anima oggigiorno le varie anime della politica e del sindacato impedisce che l’azione dei lavoratori possa avere risonanza mediatica e, soprattutto, lavorativa, di fronte al padrone e all’azienda.
Nulla di nuovo rispetto a ciò che è successo in tante altre fabbriche dove, da un giorno all’altro, i vertici hanno imposto tagli consistenti che hanno portato al licenziamento o alla mobilità dei lavoratori per effetto, ad esempio, di una delocalizzazione, e le trattative sindacali non hanno fatto il possibile per trovare un accordo soddisfacente per tutelare i propri iscritti.
La logica del capitale e, conseguentemente, del profitto, colpisce in maniera serrata tutte le fabbriche e le aziende del mondo occidentale, schiave della logica economica che vede negli Stati Uniti la propria dimora naturale e centrale.
COLUSSI (Fossano)
Sono del 5 giugno 2018 scorso le prime voci, insistenti, sull’intenzione dell’azienda di rendere lo stabilimento di via Torino un polo d’eccellenza per la produzione di pasta di qualità (cioè potenziare la linea di produzione Agnesi e Misura) sacrificando però le due linee legate invece alle fette biscottate. Con l’anno nuovo la notizia è diventata ufficiale: il destino della linea legata alla biscotteria verrà delocalizzata a Petrignano, frazione di Assisi. In seguito alla ristrutturazione industriale, la società Colussi aveva annunciato il licenziamento di 117 dipendenti dello stabilimento di Fossano (CN). La nota congiunta dei sindacati FLAI/CGIL, FAI/CISL e UILA/UIL sottolinea con insistenza il fatto che non ci siano procedure di licenziamento avviate, cercando di rassicurare i lavoratori e smentendo quanto dichiarato in precedenza dall’azienda. Occorre però sottolineare che a seguito delle vertenze sindacali della primavera 2018 circa 40 dipendenti hanno usufruito degli incentivi per “l’uscita volontaria”. Anche in questo caso il ruolo dei sindacati, almeno fino a questo momento, non si è dimostrato di grande aiuto per i dipendenti. L’azienda, infatti, conferma il piano industriale che prevede la volontà di trasferire le produzioni delle fette biscottate nell’altro stabilimento e la ferma convinzione a proseguire con gli investimenti finalizzati a potenziare il reparto pasta, senza contare che alcuni dipendenti, di fatto, seppur con astuti accorgimenti, hanno lasciato il posto di lavoro.
Oltre al ruolo del sindacato, in questo particolare caso occorre ragionare anche sul ruolo che potevano avere, e che non hanno avuto, le forze politiche della sinistra della provincia di Cuneo. Va sottolineato il fatto che alcuni rappresentati delle forze politiche della Granda erano a conoscenza della situazione della fabbrica, erano al corrente dei licenziamenti e della delocalizzazione dell’azienda. Perché non sono intervenuti in qualche modo? Sicuramente un ruolo essenziale ha giocato il fattore “attesa”, il decidere di prendere tempo per ragionare sul da farsi e capire gli eventuali sviluppi che sarebbero sorti dopo le varie discussioni e vertenze sindacali. Un altro ruolo essenziale, che sembra riapparire magicamente ogni volta che si analizza un simile contesto, è il fattore della divisione politica e del settarismo, già chiaramente evidenziato nel caso precedente. È come se in questo particolare caso alcune forze politiche avessero preferito non agire, non perché disinteressate dalla vicenda, ma per il timore di poter in qualche modo ostacolare l’azione sindacale. In questo caso il sentirsi esclusi da congiunture e linee politiche che non combaciavano con le loro ha fatto sì che si creasse una situazione di stallo, di immobilismo politico. Questa mancanza di risposta ha pesantemente danneggiato i lavoratori che, sempre più, sentendo la mancanza di una vera sinistra, si rifugiano in partiti che tutt’altro fanno che tenere conto delle loro prerogative e dei loro bisogni.
GIORDANO VINI (Valle Talloria)
In 87 rischiano il posto di lavoro, tra Torino ed Alba. Sono le 41 dipendenti ex Giordano Vini, ma a queste vanno aggiunte altre 46 persone impegnate nella sede di Torino che, due anni e mezzo fa, passarono sotto le dipendenze di una società terza specializzata nel telemarketing, la veneta Koinè, e che ora rischiano di perdere il proprio posto di lavoro per effetto del nuovo affidamento che la società langarola ha ora deciso di affidare alla società Comdata, colosso internazionale del telemarketing, che prenderà in carico la nuova gestione a partire dal prossimo primo aprile.
Rischiano perché Comdata si sarebbe detta sì disponibile ad assorbire le maestranze provenienti da Diano d’Alba, ma solo a condizione che queste si spostino presso i suoi uffici di Ivrea, a 150 km dall’attuale sede lavorativa, dove peraltro, oltre alla richiesta di turnazione lavorativa, sarebbero anche costrette ad abbandonare il precedente contratto per passare ad uno meno conveniente, a partire dal venir meno della quattordicesima.
Si tratta, ovviamente, di un’ipotesi impercorribile da parte delle lavoratrici, che nella cittadina hanno il loro nucleo famigliare ed i loro affetti, senza contare l’enorme distanza di circa 300 chilometri che dovrebbero percorrere ogni giorno.
La risposta sindacale non si è ovviamente fatta attendere; infatti, venerdì 15 marzo, a partire dalle 10 del mattino, dipendenti e sindacati saranno in presidio e in assemblea alla Giordano vini, mentre sabato 16 marzo faranno un volantinaggio durante il mercato di Alba.
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Il compito delle forze politiche di sinistra deve necessariamente tornare ad essere quello di un tempo, la lotta serrata ed organizzata contro lo sfruttamento padronale a danno dei lavoratori.
Stiamo assistendo sempre più, all’interno di questo preciso contesto storico-politico, ad un settarismo delle forze anticapitaliste che sempre più va diffondendosi ed accelerando nella sua fase degenerativa.
Fronte Popolare, ancora prima di essere un’organizzazione che vuole dare il pieno sostegno ed appoggio ai lavoratori a cui, in qualche modo, sono stati calpestati diritti inalienabili e fondamentali, si propone il difficile ma doveroso compito di creare un fronte comune di azione politica che finalmente torni ad occuparsi delle questioni sociali e lavorative in maniera completa.
Come sempre, la nostra organizzazione ed i suoi militanti tutti esprimono piena solidarietà ai lavoratori cui sono stati violati diritti fondamentali, ed inoltre invita tutte le forze politiche che si riconoscano, come noi, negli ideali di giustizia sociale e di garanzia e giustizia lavorativa, a partecipare attivamente e collaborare insieme a noi per sconfiggere un cancro che sempre più sta dilaniando ed inficiando il nostro paese. La nostra organizzazione, con i suoi militanti e simpatizzanti di Cuneo, seguirà con rigore gli sviluppi delle fabbriche in questione, cercando di portare solidarietà e lottando assieme ai lavoratori che, giustamente, chiedono rispetto per le loro condizioni.
È tempo di riscatto, è tempo di lottare, è tempo di un Fronte Popolare.