Che la paura cambi campo

TORINO- Non basterà il fumo degli inquietanti incendi sull’arco alpino intorno alla città a coprire l’atmosfera primaverile che viene avvolgendo Torino. L’inverno politico da cui esce la città non può protrarsi ancora a lungo e i Torinesi, tutt’altro che metereopatici (anche quando si tratta di clima politico), lo sanno bene e si preparano ad un inevitabile risposta solidale alle scelleratezze fin qui propugnate dagli amministratori locali e nazionali e dai loro padroncini.

IMMAGINE - che la paura cambi campo.jpgA Torino, ultimamente, é in atto un tentativo di instaurare un clima di paura diffusa e generale; di chiusura; di punizione verso tutto ciò che non si omologhi ai dettami della pace sociale. A fomentare questo clima ci si son messe tutte le forze politiche rappresentate sulla piazza, oltre al ruolo “superpartes” della questura che, legittimata da un governo che si basa sul terrore, ha messo a disposizione la propria azione repressiva e poliziesca per facilitare i giochi ai vari padroni e padroncini in campo.

Lo sgombero dell’Asilo Occupato e la violenta repressione dei giorni a seguire hanno indubbiamente rappresentato il punto di strappo in questo clima di paura, che però era (ed è tutt’ora) frutto di diversi passaggi apparentemente disconnessi l’uno dall’altro ma la cui somma ha velocemente portato all’esacerbarsi dei rapporti tra chi governa (sui vari livelli) e chi viene governato (nelle periferie della metropoli).

Per prime, si son messe le Madamin del PD a chiedere ai loro mariti imprenditori che, anziché il solito collier di diamanti, quest’anno per natale regalassero loro una quota di super buco della TAV.
Politicamente inutili, si son mostrate alle telecamere  per ostentare la loro ricchezza e gridare a gran voce il loro estremo disprezzo per chi vive una vita semplice e difende la natura.
Poi, una sindaca proibizionista, che ha imposto la chiusura di spazi sociali storici della città, luoghi di svago e di ricreazione oltre che di distribuzione di servizi. Fanno parte delle stesse dinamiche di chiusura le delibere che vietano la riapertura dei locali per la stagione estiva; le svendite di spazi publici a favore di privati, spesso multinazionali; gli ordini di sfratto per morosità in una città col record di case vuote; i tornelli sui mezzi pubblici; gli sgomberi delle occupazioni solidali, la militarizzazione dei quartieri e la costante violenza della polizia.

Infine, il governo che ha scelto Torino come laboratorio di repressione per configurare la propria strategia nazionale di guerra ai poveri. Si è superato qualsiasi limite ed ora a subire la repressione governativa non vi sono più solo quelle esperienze solidali consolidate, ma qualunque azione che potenzialmente possa disturbare l’ordine sociale; anche se si tratta di una passeggiata in bici!

Vediamo una connessione tra i locali del Valentino (o dei Murazzi) che non possono più aprire e le violente cariche della polizia sulla Critical Mass, la scorsa settimana. La costruzione di un clima di chiusura, di paura, di repressione è volto a rappresentare Torino come una città morta. Vogliono mortificare Torino. Silenziare ogni voce sopra le righe e soffocare ogni esperienza non inquadrabile nelle dinamiche del mercato. Vogliono uccidere una città per poi ridisegnarne gli spazi e i flussi a loro piacere (e a nostro discapito).

Ci verrebbe da pensare ad una strana morbosità necrofilo-urbana, se non fosse talmente evidente che si tratta dell’ennesimo tentativo di inseguire il sogno (o incubo?) della città vetrina, dove non ci sono poveri e per le vie passeggiano solo madame e turisti. La famigerata gentrification, di cui si è già molto parlato. Dopo la conversione dei luoghi di produzione in luoghi di consumo, ora la cacciata dei poveri per far spazio ai nuovi ricchi.

Eppure, noi siamo ancora vivi! La città pulsa, arde, come la brace sotto la cenere! Basta un soffio e la fiamma si riaccende.

Ieri in Barriera di Milano è nata una nuova occupazione e non possiamo che esserne felici. Salutiamo questo fiore che sboccia e ci riporta un po’ di primavera.

Tutt’altro che morta, Torino si prepara ad accogliere una manifestazione, questo Sabato 30 marzo, che ha tra i propri obbiettivi anche quello di incanalare e catalizzare questa vita. Farla finita con l’inverno repressivo e aprire una stagione di nuove esperienze solidali e antagoniste. Chiuderla con il clima di paura e, anzi, contrattaccare con la speranza. Per questo, nonostante limiti e contraddizioni, e avendo tutt’intorno un clima di psicosi diffusa e terrorismo mediatico, partecipiamo e sosteniamo la piazza. Abbiamo scelto, e molti altri con noi, di non avere paura. Di non chinare la testa e di rispedire al mittente tutte le ingiurie che ci hanno fatto piovere addosso.

Stanno cercando e cercheranno ancora di arginarci, di acquietarci, di spaventarci. Quello che non sanno è che è ora, davvero, che la paura cambi campo.

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