Rivolta popolare e repressione: cosa sta succedendo in Cile?

Negli ultimi giorni il Cile è stato scosso da una rivolta popolare di vaste proporzioni. Contro di essa, il governo di destra di Piñera, sostenuto dagli eredi della sanguinaria dittatura del generale Pinochet, hanno scatenato una violenta repressione, costata fino a ora la vita a diciannove persone. In un’angosciante replica d’immagini che evocano il più lugubre passato del paese latinoamericano, si sono tornati a vedere i blindati dell’esercito per le strade, mentre dirigenti e militanti delle forze popolari venogono trascinati via dalle loro case nel cuore della notte dalle forze di polizia.

I nostri contatti in Cile ci hanno fatto pervenire questo articolo di Manuel Cabieses Donoso, storico dirigente della sinistra di classe (titolo originale: Asamblea costituyente para un nuevo Chile). Lo sottoponiamo alle compagne e ai compagni come un utile contributo alla comprensione degli eventi di questi giorni. Alle compagne e ai compagni cileni stiamo trasmettendo l’espressione della nostra fraterna solidarietà, che presto tradurremo in iniziative concrete.

* * *

La dimensione e la profondità della crisi sociale e politica che il Cile sta vivendo non si risolverà abbassando le tariffe dei trasporti pubblici, come intendono fare il governo e quasi tutta la “classe politica”.

La crisi è molto più profonda e abbraccia ampi settori sociali. Si tratta di una ribellione contro l’oligarchia e i suoi privilegi. Il paese modello del neoliberismo in America Latina sta naufragando.

Il detonatore è stato l’aumento del prezzo del biglietto della metropolitana di Santiago. Gli studenti delle scuole superiori – come in altri momenti della nostra storia – hanno preso l’iniziativa di respingere questo abuso ai danni dei miserabili stipendi delle famiglie lavoratrici. Il gesto degli studenti ha risvegliato un vulcano sociale la cui furia – a volte cieca e terribile – si è scatenata nel paese. Ciò che sta accadendo in città e villaggi – dove la metropolitana non c’è nemmeno – non ha nulla a che fare con il punto di partenza. Si spinge molto oltre e comprende rivendicazioni sociali e politiche rinviate per quasi mezzo secolo.

Ciò che accade ha tutte le caratteristiche di un’insurrezione popolare, spontanea e priva di direzione. La rivolta si è diffusa sfidando il coprifuoco e la brutale repressione dei carabineros e delle forze armate. Dimostra l’insospettabile profondità raggiunta dall’odio per i privilegi di una minoranza che si è radicata nelle istituzioni lasciate in eredità dalla dittatura.

Il superamento della crisi non consiste solo nel revocare l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico e nel promettere alcune concessioni nei settori della sanità, dello stato sociale e dell’istruzione, che sono per lo più impossibili da realizzare nel quadro della camicia di forza costituzionale imposta dal modello stabilito dalla dittatura.

Questa è certamente l’origine della crisi: la dittatura delle Forze Armate e del grande padronato nazionale e straniero, che ha distrutto il patrimonio democratico che fino al 1973 avevano accumulato le lotte popolari.

Questa crisi sociale e politica va crescendo sin dal 1990. Il ritorno a una democrazia mediatizzata e a una giustizia “nei limiti del possibile”, ha accumulato frustrazioni che sono alla base della rabbia che si esprime nelle strade.

Il popolo ha condotto un’eroica lotta di resistenza contro la tirannia. I suoi partiti, sindacati e organizzazioni sociali hanno messo a repentaglio vite per rovesciare la dittatura e porre fine al terrorismo di Stato. Tuttavia, le manovre dietro le quinte sponsorizzate dal Dipartimento di Stato USA e dal Vaticano hanno ostacolato questo obiettivo e hanno permesso solo una democrazia da quattro soldi.

I partiti della Concertación (coalizione del centrosinistra cileno, N.d.T.), che avevano promesso un’Assemblea Costituente e la fine del modello di economia di mercato, una volta giunti al governo non hanno fatto nulla più che mettere qualche toppa alla Costituzione illegittima. E subito dopo si sono trasformati in servitori di quel modello, imposto col sangue e il fuoco dall’oligarchia.

È troppo tardi perché i partiti che hanno gestito il paese in questi anni promettano di abbandonare la via del tradimento. La paura di essere spazzati via dall’indignazione della gente li porta a promettere cambiamenti che in trent’anni non hanno nemmeno tentato di realizzare.

L’indignazione per le disuguaglianze sociali si è accumulata lentamente e, sebbene abbia prodotto qualche segno di mobilitazione per l’istruzione, la sanità, i salari, la sicurezza sociale, l’ambiente, i diritti delle donne, il popolo Mapuche, come pure nell’astensione elettorale, ecc. non ha ottenuto nessuna risposta dai politici trincerati ne La Moneda e in Parlamento. L’indignazione del popolo, privo di canali democratici per risolvere i suoi problemi, è esplosa con una furia che ha colto di sorpresa politici di tutti i colori e  autorità di tutti i livelli.

È illusorio pensare che il paese possa tornare alla “normalità” che imperava una settimana fa. Piuttosto, questo ottobre potrebbe passare alla storia del Cile come un grande momento di lotta popolare. Tuttavia, i suoi risultati non sono ancora visibili a causa della natura della rivolta, spontanea e carente di direzione.

La vecchia politica, con il suo fardello di corruzione e demagogia, deve essere sostituita da forze politiche e sociali non compromesse con il sistema.

Non saranno le briciole sociali ad aprire un canale per superare questa crisi. Il Cile ha bisogno di un profondo cambiamento istituzionale, ha bisogno di iniziare una nuova era governata da principi, in cui la solidarietà e l’uguaglianza siano le regole d’oro della convivenza dei cittadini.

È più che mai urgente convocare un’Assemblea Costituente, eletta dal popolo, per elaborare una nuova Costituzione politica da approvare con un referendum libero e sovrano.

È necessario agire con energia per abbattere gli impedimenti legali che ne ostacolano la convocazione.

È una questione di vita o di morte per la democrazia. Se non agiamo in questo modo, si aprirà la strada a un’alternativa di estrema destra. La rivolta popolare, che oggi punta in una direzione positiva che richiede giustizia sociale,  se frustrata può diventare l’argilla malleabile del fascismo.

Ci troviamo nel momento giusto per impedire una tale manovra e per trasformare questa insurrezione popolare in una grande vittoria della democrazia.

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