Ascoltando Cassandra, o Steve Keen spiega perché potremmo essere diretti verso un’altra crisi finanziaria

Proponiamo questo articolo a firma Bill Barclay, tratto dalla rivista americana “Democratic Left”, che ritiene a nostro avviso utili elementi di divulgazione del funzionamento dell’economia finanziaria e dei meccanismi della crisi.

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“Perché nessuno se n’è accorto?” ha chiesto la regina Elisabetta  alla London School of Economics nel 2008, a proposito dell’entità del debito tossico che ha portato al collasso delle banche di tutto il mondo.

In realtà, socialisti e altri economisti “marginali” se ne erano accorti, ma nessuno che avesse il potere di fermare il disastro li ascoltava. I tentativi ex-post degli economisti mainstream (MSE) di spiegare la Grande Crisi Finanziaria (GFC) vanno da un eccesso di risparmio globale, al fallimento normativo ( di solito avanzato dalle stesse persone che di solito sollecitano una minore regolamentazione), a compratori incapaci di usare il Community Reinvestment Act degli Stati Uniti per costringere i banchieri altrimenti riluttanti a concedere mutui.

Tutte queste risposte hanno in comune una caratteristica: danno la colpa della GCF del 2007/08 a tutto tranne che all’economia – insomma, al capitalismo.  Secondo l’analisi di Steve Keen[1] in un libro poco notato ma avvincente, “Can We Avoid Another Financial Crisis?”, sono tutte sbagliate proprio per questo motivo.

Keen sostiene che una spiegazione della GFC e il modo per evitarne un’altra debbano basarsi su un modello economico che radichi la crisi finanziaria nel funzionamento stesso dell’economia.

Ora, questo può sembrare ovvio ai lettori, ma non lo è per i vostri amici, vicini, parenti e funzionari eletti.

Le problematiche dei modelli della MSE

Il primo terzo di questo breve libro spiega perché i modelli della MSE non prevedevano e non potevano prevedere la GFC. Keen identifica due difetti fondamentali nei modelli della MSE.  In primo luogo, questi modelli trattano l’economia nel suo insieme (macroeconomia) come se fosse composta da una famiglia e da un’impresa. L’impresa cerca di massimizzare i profitti e la famiglia acquista beni e servizi. Keen sostiene che entità complesse come la macroeconomia presentano caratteristiche e dinamiche derivanti dall’interazione delle sue parti, non dai tratti delle singole parti.

Il secondo difetto, forse più notevole, dei modelli della MSE è l’assenza del settore finanziario – banche, denaro e debito.  Vi chiederete: come è possibile? Secondo l’immagine proposta dai principi fondamentali di scienza economica comunemente accettati, il denaro delle banche proviene dai depositi: il denaro entra dai depositanti ed esce quando la banca concede successivamente un prestito, attingendo ai nuovi depositi. In realtà, prevalentemente le banche non funzionano più in questo modo.

Che cosa ha causato la GFC?

Le banche cercano di massimizzare i profitti; lo fanno facendo pagare gli interessi sul denaro che prestano.  Da dove viene quel denaro? Le banche lo creano nel processo stesso di concessione di un prestito: il nuovo mutuatario ha ora denaro da spendere, investire, con cui speculare, e la banca ha una fonte di profitto (supponendo che il mutuatario paghi).  L’espansione del credito attraverso il prestito bancario è l’espansione del debito privato.  Le banche sono fabbriche di denaro; il prestito privato è essenziale per la crescita economica ma determina anche le crisi finanziarie.

L’analisi di Keen segue l’argomento dell’instabilità finanziaria di Hyman Minsky[2]. Quando il bacino dei mutuatari più meritevoli di credito si è esaurito, le banche (e gli altri prestatori) non hanno rinunciato a concedere prestiti, perché ciò avrebbe ridotto i loro profitti e la loro quota di mercato. Si sono invece rivolte verso il basso nella gerarchia del rischio di credito, passando da quello che Minsky chiamava il finanziamento di copertura a quello speculativo e, spesso, allo schema Ponzi[3]. In quest’ultimo caso, che ha determinato la GFC, il mutuatario sarebbe stato in grado di rimborsare il prestito solo se i prezzi dei beni (case) avessero continuato a salire in misura sufficiente a coprire i rimborsi del prestito.  Quando ciò non è accaduto, i mutuatari hanno cominciato a essere inadempienti. Di fronte alla crisi finanziaria, molti mutuatari hanno cercato di vendere la loro casa. I prezzi delle case sono crollati, costringendo altri mutuatari a cercare di vendere.

Ma Keen va oltre Minsky.

In primo luogo, egli sostiene che l’aumento del rapporto debito privato/prodotto interno lordo aumenti anche le disuguaglianze.  Mentre i prestatori ottengono di più, i lavoratori ottengono di meno. Un’accelerazione nel processo di creazione del credito si traduce in un cambiamento nella distribuzione del reddito a favore dei creditori e contro i debitori, o a favore dei titolari delle rendite e contro i produttori.

In secondo luogo, e più importante, Keen sostiene che non solo il livello del debito privato, ma anche il rate of change[4] è la chiave per comprendere le crisi finanziarie.  Quando il rapporto debito privato/PIL supera il 150%, si realizza il presupposto per la crisi finanziaria.  Ma è il rate of change nel rapporto debito privato/PIL che scatena la crisi: quando tale rapporto cresce in modo significativo nell’arco di cinque anni, una crisi finanziaria è inevitabile.

Possiamo evitare un’altra crisi finanziaria?

La risposta a questa domanda dipende in gran parte dall’esito della precedente crisi finanziaria. Gli Stati Uniti per oltre sei decenni non hanno vissuto una crisi finanziaria. Tuttavia, dopo il 1980 il rapporto tra debito privato e PIL ha cominciato a crescere.  Dal 2000 all’inizio della GFC, il rapporto è passato dal 133% al 170%, con un’accelerazione del rapporto debito/PIL di oltre il 30%.

Dopo la GFC il processo si è invertito, con un rapporto debito/PIL che è sceso sotto la soglia del 150% nel 2014-2016.  Da allora, però, il processo si è arrestato. Il rapporto debito/PIL statunitense è rimasto al 150% negli ultimi tre anni.  Ma la composizione del debito privato è cambiata. All’inizio della GFC, il rapporto debito/PIL delle famiglie ha raggiunto il 99% (soprattutto mutui), mentre il rapporto debito/PIL delle imprese era solo del 70%.  Da allora il settore delle famiglie ha registrato un calo, con un rapporto debito/PIL che è sceso al 75%. Ma il debito delle imprese ha ripreso la sua tendenza al rialzo ed è ora a sua volta al 75% del PIL.

Significa che è imminente un’altra crisi finanziaria?  Non secondo l’analisi di Keen. Anche se il rapporto debito/PIL rimane elevato, non cresce a un ritmo significativo.  Ma significa una crescita lenta. Stiamo per concludere il tredicesimo anno consecutivo di crescita del PIL reale al di sotto del 3%.  Keen sostiene che è probabile che questo continui.

Cosa si può fare? Qui Keen è meno chiaro.  Egli sostiene che, sebbene le crisi finanziarie possano essere inevitabili, l’impatto di tali crisi può essere notevolmente ridotto.  In primo luogo, i modelli economici delle banche centrali devono prestare molta attenzione al rapporto tra debito privato e PIL. In secondo luogo, dopo la crisi, lo Stato può intraprendere programmi economicamente espansivi – si pensi al Green New Deal – per contrastare i vincoli alla crescita economica imposti dall’eccesso di debito privato.  Dubitiamo fortemente che ciò avvenga, cosa che lascerà la nostra economia bloccata.

Seguono importanti ramificazioni politiche: se la torta economica crescerà più lentamente, ci saranno più conflitti sulla sua distribuzione. Questi potrebbero produrre conflitti di classe, ma sono ugualmente possibili anche conflitti di tipo nativistico, come quelli che viviamo oggi.  A più di dieci anni di distanza, la nostra politica è ancora definita dalla GFC. È tempo di cambiare il copione – e questo dovrebbe essere il tema delle elezioni presidenziali del 2020.

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[1] Steve Keen è professore di economia e direttore della Scuola di Economia, Politica e Storia della Kingston University.

[2] Economista statunitense collocabile vicino al filone dei post-keynesiani, noto per la sua teoria dell’instabilità finanziaria e sulle cause delle crisi dei mercati.

[3] Modello economico di vendita truffaldino ideato da Charles Ponzi, che promette forti guadagni alle vittime a patto che queste reclutino nuovi “investitori”.

[4] L’oscillatore rate of change indica la forza del mercato misurando il tasso di variazione dei prezzi rispetto ai loro livelli effettivi.

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