È mancato Ennio Morricone, compositore emblematico della musica italiana e in particolare della musica per il cinema. Gli rendiamo omaggio con un breve stralcio di un saggio dedicatogli da Luigi Pestalozza nel 1998, in occasione del settantesimo compleanno. Un modo di rendere pienamente l’internità di Morricone al nuovo modo di far musica nell’Italia del Dopoguerra, segnata dalla spinta alla ricerca dell’altro possibile.
Fronte Popolare partecipa al lutto per la scomparsa di un grande artista, che ha segnato di sé la nostra identità culturale collettiva.
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Scrivo per i settant’anni di Ennio Morricone, sulla musica italiana del nostro tempo. Anzi, in particolare, sulla nuova musica che negli anni dal dopoguerra a oggi ha rifondato in Italia il modo di pensare e di fare la musica di ogni genere. Ma qui è la musica di Ennio Morricone che mi spinge a questo, che mi suggerisce il tema, per come di quella nuova musica italiana, di quel nostro tempo musicale, è stato, è parte. Ossia penso a come la sua musica linguisticamente va oltre ogni ordine linguistico precostituito, per cui nel caso, per esempio di quella per film, va oltre ogni sua convenzione, la riconcepisce e la reinventa come parte di una generale questione di musica drammatica nemmeno soltanto di spettacolo, o di spettacolo a sua volta formalmente aperto, in questa fase di trasformazione di tutti i rapporti non solo musicali, a ogni soluzione formale. In altre parole si può immaginare la musica proprio per film di Morricone fuori da un contesto o processo che va da Hyperion di Maderna in teatro all’ultimo Nono non teatrale? Ma dentro questa partecipazione a una storia musicale particolarmente italiana (c’entra anche che sia stato Armando Gentilucci a registrare il passaggio dall’avanguardia al molteplice), c’è un elemento comune che Morricone pratica nella sua musica in maniera particolarmente qualificante – si tenga per esempio presente come la sua melodia sempre seducente in realtà lo è per come si tiene sempre sospesa, aperta nello spazio e nel tempo sonori, ma in quanto elude sistematicamente la centralità tonale dell’intervallo tonica/dominante dominante/tonica – che si carica perfino di un carattere nazionale, peraltro anch’esso condiviso per come addirittura affonda in una lunga storia musicale italiana, fino alla musica del cambiamento, di oggi. Ed è la melodia per come anzi la si ascolta in senso addirittura nazional-popolare cioè davvero in senso gramsciano, o dunque per come in essa, nella sua stessa trasversalità armonica che altera l’idea/prassi abituale di armonia, si ascolta la melodia nella nostra storia musicale, direi da Monteverdi a Dallapiccola, Maderna, Nono, se il fattore popolare comune attraverso quei secoli di melodia italiana, sta nella ricerca quantomai evidente in Morricone e nei suoi contemporanei della nuova musica italiana, di una comunicazione aperta a ogni ascolto, anzi ascoltatore: mentre il comune fattore nazionale sta in quel risultato ma connaturato al continuo cambiamento anche di rottura della forma melodica. In altre parole nella musica italiana fino a oggi, e qui c’è il suo carattere nazionale, la nuova forma della stessa melodia persegue sempre il rapporto popolare, nel senso di portarsi sempre dentro il problema della massima, indiscriminata apertura comunicativa. Salvo che allora si ritorna a Morricone, alla sua musica che a cominciare dalla melodia del resto a essa perfettamente organica, in tutti i sensi condivide il coniugarsi nella nuova musica italiana di comunicazione e innovazione, e cambiamento, o dunque è parte della sua storia, sulla quale infine, proprio anche per queste ragioni morriconiane, scrivo.
*da Luigi Pestalozza, “Morricone: una storia musicale italiana presente”