Juniorfrancesco D’Agostino- El Salvador
In un periodo storico in cui si parla della guerra in Ucraina e della tensione militare e economica crescente tra N.A.T.O. e Russia, dall’altra parte del mondo si registrano numeri di morti altrettanto preoccupanti.
Siamo in El Salvador dove, nella sola giornata di sabato 27 marzo, si sono registrati nella capitale 84 morti ufficiali, anche se potrebbero essere molti di più. Le vittime sono quasi tutte civili comuni, cadute per mano delle “pandillas” che hanno voluto mandare un messaggio al Governo.
La risposta immediata del Governo, per mano del presidente Nayib Bukele, è stata dichiarare lo stato di emergenza per un mese, che di fatto sospende la libertà di associazione, impone il divieto di assembramenti e conferisce pieno potere alle forze dell’ordine di eseguire arresti senza mandato trattenendo i sospettati in detenzione preventiva per periodi più lunghi. Inoltre, il decreto si ripercuote anche sulle prigioni, peggiorando ulteriormente le già difficili condizioni dei reclusi. Infatti, tutte le celle restano ora chiuse 24 ore su 24 vietando anche la corrispondenza con l’esterno e il diritto a vedere un avvocato.
In questa settimana, da quando vige il nuovo decreto, sono state arrestate più di 4000 persone, ma a ben vedere non sono solo appartenenti alle famigerate pandillas. Tra gli arrestati risultano anche tante persone comuni, colpevoli di non poter giustificare la loro presenza in strada (venditori ambulanti, senza fissa dimora, ecc) agli innumerevoli poliziotti e militari presenti a pattugliare.

Ma qual è il messaggio che le pandillas hanno voluto inviare al governo?
Le pandillas esistono da quasi 30 anni, nate negli Stati Uniti da migranti salvadoregni e insediatosi in El Salvador a cavallo degli anni 2000 in seguito all’espulsione dagli Stati Uniti. Le loro principali attività riguardano spaccio, estorsione e vendita di armi, oltre che al controllo del territorio. Le più importanti sono la “Mala Salvatrucha” (più comunemente conosciuta come MS) e la “18”, ma se ne contano più di 20 per tutto il Paese.
Vista la loro forte influenza sui territori da loro controllati quasi tutti i governi che si sono succeduti hanno sempre stretto accordi con queste realtà. In particolare, quest’ultimo, guidato da Bukele, leader del partito Nuevas Ideas ma iscritto ufficialmente al partito Gana dell’estrema destra, presenta tra i suoi membri persone vincolate alle pandillas e quindi al crimine organizzato. Da questo accordo le pandillas ricevono molti benefici, sia in termini economici sia in termini giudiziali, con protezione dall’estradizione ai principali leader richiesta dagli Stati Uniti.
Quanto successo sabato scorso si inserisce in questa dinamica, perché da qualche tempo pare che il Governo non pagasse le pandillas che hanno quindi voluto mandare un messaggio. La risposta del Governo, più mediatica che realmente efficace, sta comunque rafforzando la posizione e l’immagine del presidente, dopo un periodo di forte flessione negli indici di gradimento dovuti ad una situazione di peggioramento delle condizioni economiche e sociali del Paese, in quanto sta utilizzando formalmente il pugno duro contro queste organizzazioni.
Bukele si sta dimostrando un gran comunicatore e sta accentrando sempre più potere nelle sue mani in condivisione con le pandillas, che stanno diventando più potenti e stanno allargando la loro influenza negli Stati limitrofi (Guatemala, Honduras e con scarsi risultati al momento in Nicaragua) ma anche in Europa- dove nel 2014 furono arrestati 3 esponenti di spicco in Spagna.
In tutto questo il movimento popolare salvadoregno, composto da diverse organizzazioni sociali, sindacali e politiche si sta organizzando con manifestazioni contro la politica del governo denunciando i vari accordi stipulati. Manifestazioni che vengono sistematicamente represse con l’uso della violenza istituzionale e ora, con questo nuovo decreto, vi è il timore di venire arrestati in quanto oppositori del Governo.