Sono passati cinquant’anni da quella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975 in cui Pier Paolo Pasolini fu assassinato all’Idroscalo di Ostia.
Cinquant’anni in cui le circostanze della sua morte non hanno mai trovato piena chiarezza, e in cui le sue parole hanno continuato a rivelarsi profetiche, brucianti, necessarie.
Pasolini non è stato soltanto uno scrittore o un regista. È stato un intellettuale comunista, nel senso più alto e militante del termine: un interprete del suo tempo che ha saputo leggere le trasformazioni del potere e denunciarne i nuovi volti.
Un comunista inquieto ma fedele al popolo
Iscritto giovanissimo al Partito Comunista Italiano e poi espulso nel 1949, Pasolini non rinnegò mai il marxismo, ma lo visse fuori dai dogmi.
Si definiva “un comunista che ama i suoi nemici come se stesso”¹: un militante della verità, anche quando questa era scomoda.
Il suo punto di vista rimase sempre quello delle classi subalterne, degli esclusi, delle borgate, dei contadini.
In Le ceneri di Gramsci (1957), Pasolini dialoga idealmente con il fondatore del comunismo italiano moderno.
Scrive:
“Io non sono che un intellettuale che, dopo un lungo silenzio, torna al suo mestiere di testimone; e come tale, sento il bisogno di rivolgere la parola a Gramsci”².
Da Gramsci ereditò l’idea che la battaglia politica è anche e soprattutto una battaglia culturale: che la rivoluzione passa attraverso l’educazione del popolo, la formazione di una coscienza collettiva, la conquista dell’egemonia.
Come scriveva nel 1974:
“Il potere si è fatto totale e dolce, onnipresente e invisibile. Il nuovo fascismo è il consumismo.”³
Il neocapitalismo: il nuovo fascismo della società dei consumi
Pasolini fu tra i primi a comprendere che, negli anni del boom economico, l’Italia stava entrando in una fase nuova del capitalismo.
Questo “neocapitalismo”, a suo giudizio, non si limitava a dominare la produzione o l’economia: entrava nelle vite, nei linguaggi, nei desideri.
“Il potere di oggi non reprime, ma persuade. Non uccide, ma omologa.”⁴
Era un potere che trasformava la cultura in merce e la libertà in conformismo.
La televisione, in particolare, rappresentava per Pasolini lo strumento principale di questa mutazione antropologica:
“La televisione è l’atto di forza più repressivo e più totalitario della storia dell’uomo”⁵.
Nel suo ultimo articolo pubblicato in vita, Il romanzo delle stragi, scrisse che “il vero fascismo è il consumismo che distrugge ogni autenticità”⁶.
Era una diagnosi culturale e politica che andava oltre l’Italia degli anni Settanta: una critica strutturale al capitalismo avanzato, che Pasolini considerava la più radicale forma di dominio della borghesia.
Cinquant’anni dopo, quella diagnosi è diventata realtà.
Viviamo in una società dove il controllo passa attraverso l’informazione, la pubblicità, l’intrattenimento e i social media: strumenti di consenso e uniformità che hanno dissolto le identità popolari.
Pasolini aveva previsto tutto questo con spaventosa lucidità:
“Io vedo la mutazione antropologica del popolo italiano. È un popolo che non ha più volto.”⁷
La verità e le trame del potere
Nel 1974, sulle colonne del Corriere della Sera, Pasolini pubblicò uno degli articoli più coraggiosi della storia del giornalismo italiano: Io so.
Scriveva:
“Io so i nomi dei responsabili di ciò che viene chiamata la strategia della tensione… Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che si scrive, di immaginare ciò che non si sa o che si tace”⁸.
Non aveva le prove giudiziarie, ma aveva la coscienza politica.
Denunciò l’esistenza di un potere parallelo, fondato sull’intreccio tra interessi economici, militari e politici, in un’Italia ancora prigioniera degli equilibri atlantici e delle paure della guerra fredda.
Non parlava da complottista, ma da intellettuale marxista che aveva capito come la borghesia difende se stessa: non solo con la violenza, ma anche con la menzogna, la manipolazione e la rimozione della memoria.
Come scrisse poco prima di morire:
“Siamo in mano a un potere che si traveste da democrazia per meglio distruggere la democrazia.”⁹
Un’eredità per il presente
Oggi l’Italia che Pasolini descriveva sembra aver realizzato fino in fondo le sue paure.
Viviamo in un Paese in cui l’informazione è concentrata, la scuola impoverita, la politica subordinata al mercato.
Le disuguaglianze crescono, la cultura si fa intrattenimento, e il linguaggio della sinistra appare spesso svuotato di senso popolare.
Pasolini ci ha lasciato una lezione: non esiste liberazione politica senza liberazione culturale.
Il socialismo, per lui, non era solo un modello economico, ma una rivoluzione morale e linguistica.
“Bisogna tornare a educare il popolo. Non ad ammaestrarlo, ma a dargli la coscienza di s锹⁰.
La sua eredità è la stessa che fu di Gramsci: la convinzione che il compito della sinistra sia costruire egemonia, cioè senso comune, cultura, visione del mondo.
Non un ritorno al passato, ma una ricomposizione del presente attraverso la verità, la solidarietà, la dignità del lavoro e la libertà del pensiero.
Pasolini oggi
Ricordare Pasolini non è un atto di nostalgia. È un gesto politico.
Significa riprendere la sua lotta contro il potere che seduce, contro la cultura che diseduca, contro la rassegnazione che neutralizza ogni conflitto.
Significa guardare la realtà con quello stesso sguardo lucido e ferito, e riconoscere che la cultura è ancora un campo di battaglia.
“Io continuo a credere che il reale, se lo si guarda bene, è rivoluzionario.”¹¹
Cinquant’anni dopo, Pasolini è ancora con noi: con chi difende la cultura dal dominio del profitto, con chi crede nel popolo come soggetto della storia, con chi non ha smesso di lottare per una società più giusta, più libera e più umana.
1-2 novembre 2025 – Cinquant’anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini
Per la verità, per la libertà, per la rivoluzione culturale.
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Note
- P.P. Pasolini, Lettere luterane, Garzanti, 1976.
- P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Garzanti, 1957.
- P.P. Pasolini, “Il nuovo fascismo”, in Corriere della Sera, 9 dicembre 1973.
- Ivi.
- P.P. Pasolini, Scritti corsari, Garzanti, 1975.
- P.P. Pasolini, “Il romanzo delle stragi”, in Corriere della Sera, 14 novembre 1974.
- P.P. Pasolini, intervista a Furio Colombo, “Siamo tutti in pericolo”, La Stampa, 1 novembre 1975.
- P.P. Pasolini, “Io so”, Corriere della Sera, 14 novembre 1974.
- P.P. Pasolini, Lettere luterane, cit.
- P.P. Pasolini, Scritti corsari, cit.
- Ivi.










