Come bassi salari, costo della vita e disuguaglianze stanno spingendo il Paese verso il collasso demografico — e perché i migranti sono parte della soluzione, non del problema.
Il declino demografico italiano deriva da bassi salari, precarietà e costo della vita alto, non da scelte individuali.
Le politiche neoliberiste e i tagli ai servizi hanno aggravato disuguaglianze e spopolamento.
Il governo Meloni non affronta le cause strutturali, favorendo i ricchi e indebolendo il welfare.
Servono redistribuzione, salario minimo e investimenti pubblici per invertire la rotta.
I migranti, infine, sono una risorsa essenziale per lavoro e pensioni, non una minaccia.
La crisi demografica è una crisi del lavoro e della giustizia sociale
Negli ultimi anni l’Italia sta scivolando in un declino demografico strutturale. Non si tratta di un semplice “trend naturale”, ma di una crisi sociale e politica, effetto diretto di decenni di politiche neoliberiste che hanno precarizzato il lavoro, eroso i salari e privatizzato i servizi pubblici.
Nel 2024 i nati residenti in Italia sono stati 369.944, in calo rispetto ai 379.890 del 2023 e ai 393.333 del 2022 (fonte: ISTAT, Indicatori demografici 2024).
I decessi, invece, restano stabilmente alti — circa 651.000 nel 2024.
Il risultato è un saldo naturale negativo di oltre -280 mila unità: più morti che nati, anno dopo anno.
La denatalità non è un mistero culturale, ma una reazione economica razionale: con salari stagnanti, affitti insostenibili e precarietà diffusa, sempre più giovani scelgono di non avere figli o di rimandare.
Il tasso di fecondità è sceso a 1,18 figli per donna (2024), uno dei più bassi d’Europa.
Emigrazione e disuguaglianze territoriali
Parallelamente cresce l’emigrazione giovanile: nel 2024 quasi 191 mila italiani si sono trasferiti all’estero, e circa la metà di loro ha meno di 35 anni.
Molti altri emigrano internamente, dal Sud verso le grandi città del Nord, aggravando il divario territoriale tra un Mezzogiorno spopolato e un Settentrione saturo e costoso.
Le regioni del Sud — Basilicata, Molise, Calabria, Sicilia — vedono crollare la popolazione attiva e chiudere scuole, ospedali, uffici pubblici.
Il risultato è una spirale: meno servizi → più emigrazione → meno popolazione → meno investimenti.
Una desertificazione sociale che ricorda gli effetti di un lento ma reale esodo.
Invecchiamento e squilibrio tra attivi e pensionati
L’Italia è uno dei paesi più anziani del mondo: un terzo della popolazione ha più di 60 anni.
Il rapporto di dipendenza anziani/attivi (quanti over 65 per ogni 100 persone in età lavorativa 20–64) era al 40,8% nel 2022 e raggiungerà circa il 66% entro il 2050, secondo l’Ageing Report UE 2024.
Ciò significa che ogni lavoratrice e lavoratore dovrà sostenere sempre più pensionati: un equilibrio insostenibile se i salari restano bassi e la base contributiva continua a ridursi.
Senza un’inversione di rotta, le scelte dei governi neoliberisti (di ogni colore) saranno sempre, fatalmente le stesse: ridurre le pensioni, alzare l’età pensionabile, o tagliare altri servizi pubblici.
Lavoro povero e costo della vita: la radice della crisi
L’Italia è uno dei pochi paesi OCSE in cui i salari reali sono diminuiti negli ultimi 30 anni.
A parità di potere d’acquisto, un lavoratore italiano medio guadagna meno oggi che nel 1990 (fonte: OECD Employment Outlook 2023).
L’inflazione e l’aumento del costo dell’abitare hanno aggravato la situazione: giovani e famiglie spendono fino al 40% del reddito per l’affitto o il mutuo.
A questo si sommano:
- precarietà contrattuale e part-time involontari;
- carenza di servizi per l’infanzia e cura (solo 1 bambino su 4 ha accesso all’asilo nido pubblico);
- welfare territoriale fortemente diseguale tra Nord e Sud.
In queste condizioni, fare figli diventa un lusso di classe.
La crisi demografica è dunque il riflesso della crisi della riproduzione sociale: senza un reddito stabile, nessuna prospettiva di futuro.
Le politiche del governo Meloni: scelte di classe che aggravano il problema
Il governo guidato da Giorgia Meloni ha scelto di rafforzare le disuguaglianze, non di combatterle.
Le sue politiche economiche e sociali — presentate come “incentivi alla natalità” e “sostegno alle famiglie” — non toccano minimamente le cause strutturali del declino.
- Tagli alla spesa pubblica: la Legge di Bilancio 2025 prevede nuove strette su sanità e scuola, con un definanziamento reale dovuto all’inflazione. Questo significa meno asili, meno ospedali, meno servizi: proprio ciò che rende impossibile conciliare lavoro e genitorialità.
- Riforme pensionistiche regressive: l’innalzamento progressivo dell’età pensionabile e la riduzione del tasso di sostituzione non sono fatalità, ma scelte deliberate per evitare di aumentare i contributi dei redditi alti o di tassare i profitti.
- Flat tax e condoni: misure che favoriscono i redditi più alti e riducono le risorse per lo Stato sociale, aggravando la crisi del welfare.
- Mancato salario minimo: il governo ha respinto ogni proposta di introdurre una soglia legale di salario dignitoso, lasciando milioni di lavoratori poveri in condizioni di precarietà.
Invece di agire sulla redistribuzione, il governo punta su un nazionalismo demografico e su una retorica natalista che scarica la responsabilità sui singoli, mentre i veri nodi — salari, servizi, tasse sui ricchi — restano intatti.
Fiscalità giusta e redistribuzione: l’unica via d’uscita
Affrontare seriamente il declino demografico significa cambiare le priorità economiche.
Serve un prelievo fiscale progressivo che sposti il peso dal lavoro ai grandi patrimoni e ai profitti finanziari.
Una politica socialista deve rivendicare:
- Tassazione straordinaria sui patrimoni superiori a 1 milione di euro, con aliquote crescenti.
- Aumento dell’imposta sui dividendi e sulle rendite finanziarie: i profitti di borsa e le distribuzioni societarie devono contribuire al finanziamento del welfare.
- Ripristino di una patrimoniale immobiliare progressiva sulle grandi proprietà sfitte e speculative.
- Tassa sugli extraprofitti bancari ed energetici destinata a sanità, scuola e servizi di cura.
Queste risorse possono finanziare un piano pubblico per:
- il salario minimo legale,
- l’estensione gratuita degli asili nido,
- un programma nazionale per la casa popolare,
- e la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Solo una redistribuzione radicale della ricchezza può rendere possibile la vita per le nuove generazioni.
L’immigrazione come risorsa, non minaccia
L’unica variabile che oggi mitiga il declino demografico è l’immigrazione.
I lavoratori e le lavoratrici straniere rappresentano circa il 10,7% della forza lavoro e contribuiscono con miliardi di euro ai bilanci INPS, pur spesso subendo sfruttamento e discriminazione.
Eppure, la propaganda del governo alimenta paura e ostilità, mentre si chiudono i canali legali d’ingresso e si promuovono decreti repressivi.
Senza migrazione, il mercato del lavoro e il sistema pensionistico collasserebbero.
I migranti non sono un problema: sono già parte essenziale della società italiana e vanno riconosciuti come soggetti di pieno diritto, lavorativo e politico.
Una proposta socialista per la rinascita demografica
Per invertire la rotta, serve una politica di giustizia sociale e redistribuzione:
- Salario minimo legale non inferiore a 10 euro l’ora.
- Fine della precarietà e rafforzamento dei contratti collettivi nazionali.
- Piano casa pubblico: affitti calmierati, edilizia popolare, stop alla speculazione immobiliare.
- Investimenti massicci nei servizi di cura (asili nido, scuole a tempo pieno, sanità territoriale).
- Riforma fiscale progressiva e patrimoniale per finanziare welfare e pensioni dignitose.
- Riconoscimento dei migranti come parte della classe lavoratrice e abolizione delle leggi discriminatorie.
Conclusione: contro la propaganda dell’odio, per una solidarietà di classe
Il declino demografico non è una fatalità. È l’esito di scelte politiche consapevoli: tagliare i servizi pubblici invece di tassare i ricchi, precarizzare il lavoro invece di garantire diritti, criminalizzare i migranti invece di integrarli.
Rovesciare questa tendenza significa rimettere la giustizia sociale al centro.
Serve un nuovo patto di solidarietà tra lavoratori, giovani, donne, pensionati e migranti — contro l’élite che accumula ricchezza e scarica i costi sulla collettività.
Solo una società che redistribuisce ricchezza, garantisce diritti e valorizza tutte e tutti potrà tornare a vivere, crescere e costruire futuro.
Fonti principali
- ISTAT, Indicatori demografici – Anno 2024; Natalità e fecondità della popolazione residente (2023–2024, dati provvisori).
- Commissione Europea, 2024 Ageing Report – Italy Country Fiche.
- OCSE, Employment Outlook 2023.
- INPS, Rapporto annuale 2024.
- Reuters, Financial Times, Le Monde, analisi 2024 sul declino demografico italiano e europeo.










