a cura di Alessio Arena
Pubblichiamo a seguire un brevissimo articolo e l’intervista a Mumia Abu-Jamal realizzati il 15 febbraio scorso dal quotidiano comunista francese l’Humanité come testimonianza del primo incontro che la testata del PCF ha potuto ottenere con il giornalista e intellettuale afroamericano ingiustamente incarcerato negli Stati Uniti dal 1981.
Membro del Partito delle Pantere Nere, formazione politica della sinistra marxista e rivoluzionaria in lotta per la liberazione della popolazione nera degli USA, Mumia Abu-Jamal è stato condannato a morte, riconosciuto reo dell’omicidio di un agente di polizia, un anno dopo il suo arresto. Un processo, il suo, manipolato e condizionato dal clima repressivo in cui vivevano gli americani sotto la presidenza guerrafondaia e reazionaria di Ronald Reagan, lo stesso che, da governatore della California, un decennio prima si era distinto nel sostegno alla persecuzione di un’altra attivista di sinistra afroamericana: la comunista Angela Davis, oggi e da sempre impegnata nella lotta per la liberazione di Mumia. Dal 1982, l’esecuzione del giornalista è stata fissata tre volte per poi essere sospesa ogni volta in seguito alle proteste internazionali. Infine, nel dicembre 2011 la pena è stata commutata in ergastolo.
Mentre negli USA la repressione contro il movimento Occupy ha riportato in piena evidenza la natura autoritaria e repressiva del regime a selle e strisce, per nulla attenuata e anzi inasprita sotto la presidenza Obama, la battaglia per la revisione del processo a Mumia Abu-Jamal, che è una battaglia per la libertà e la verità, continua. La pubblicazione delle testimonianze che seguono vuole essere un contributo a riportare l’attenzione, anche in Italia, su di essa.
Contribuire alla lotta per la liberazione di Mumia Abu-Jamal significa dunque prendere coscienza della natura profonda delle “democrazie liberali” e prepararsi alla repressione che l’inasprirsi del conflitto sociale causato dalla crisi del capitalismo non potrà non provocare.
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DALLA PRIGIONE, MUMIA SCRIVE E SI BATTE PER LA LIBERTÀ
Per la prima volta, l’Humanité ha potuto incontrare il giornalista afroamericano che, da quando è uscito dal braccio della morte, continua a scontare la pena dell’ergastolo in seguito a un processo iniquo. Mumia, che ha accolto il nostro inviato speciale con la parola «liberté» in francese, testimonia ed evoca i suoi… progetti.
Mahanoy (Pennsylvania, Stati Uniti), inviato speciale. Quando entriamo nel parlatorio del centro penitenziario di Mahanoy, Mumia Abu-Jamal è gioioso. Immediatamente il suo sorriso ci colpisce, come il suo passo di danza. È la sua maniera di accoglierci. Ha passato trent’anni nel braccio della morte e non è ancora libero, ma lo è già di più. Può vedere altri detenuti. Nel parlatorio ha potuto incontrare la sua famiglia, suo figlio, che a sua volta è stato incarcerato per diversi anni. Ha potuto toccarli, perché nel braccio della morte le visite si facevano dietro un vetro. Nel 1981 Mumia Abu-Jamal è stato arrestato, accusato dell’omicidio di un poliziotto. Quel crimine, lui l’ha sempre negato. L’anno dopo è stato condannato a morte. Dopo tre esecuzioni programmate ma annullate sulla spinta della mobilitazione internazionale, la pena di morte è stata commutata in ergastolo nel dicembre 2011. Le sue condizioni di detenzione sono migliorate. Ai suoi sostenitori che ci accompagnano e lo interrogano sulla qualità del vitto, lui sorride: «Qui è caldo». E intanto divora i dolcetti al cioccolato del distributore installato nella sala del parlatorio. Intorno al nostro tavolo un padre coccola il suo neonato, un altro detenuto bacia la sua compagna. Mumia è molto informato. Racconta vari aneddoti sull’incapacità del sistema educativo di sviluppare le potenzialità dei giovani. Ascolta un rapper che fa parte dei visitatori e lo intrattiene sui cambiamenti di mentalità nel suo ambiente, dovuti all’industria discografica. Giornalista, continua a esercitare il suo mestiere. In prigione ha scritto svariati libri. Ma oggi, se non si fa nulla, dovrà continuare a esercitare il suo mestiere dalla prigione. «Ormai è la negazione della giustizia che deve essere riconosciuta, e Mumia deve essere liberato», afferma il suo comitato di sostegno francese. Oggi, solo il ministero della Giustizia federale può chiedere una revisione del processo. I numerosi arresti per corruzione di poliziotti implicati nel suo processo iniziale potrebbero costituire un fatto nuovo. «Abbiamo una finestra di quattro anni», indica il portavoce internazionale di Mumia, Johanna Fernandez, che sottolinea il bisogno più che mai della mobilitazione internazionale.
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MUMIA ABU-JAMAL: «HO SEMPRE SENTITO DI ESSERE CIRCONDATO DALL’AMORE»
Mahanoy (Pennsylvania), inviato speciale. Per la prima volta, l’Humanité ha potuto incontrare il giornalista afroamericano che, da quando è uscito dal braccio della morte, continua a scontare la pena dell’ergastolo in seguito a un processo iniquo.
Come si può continuare ad esercitare la professione di giornalista dalla prigione? Come fa ad accedere alle fonti?
Duemiladuecento uomini sono detenuti in questo carcere. Ciò significa che ci sono più di 2.200 storie. Ciascun uomo che ho incontrato aveva qualcosa d’interessante da dire a proposito della sua vita, del suo caso. Non sarò mai a corto di storie. Queste persone sono le mie fonti.
Lei scrive continuamente dei libri. Come fa?
Leggo senza sosta. Anche se, da quando sono uscito dal braccio della morte, ho meno tempo. Ma continuo a leggere molto. Scrivere richiede molta ricerca.
Si può sapere quale sarà il tema del suo prossimo libro?
L’imperialismo: un argomento che mi appassiona.
Molte cose sono cambiate da quando lei è stato imprigionato. Non ha paura di un fossato tra lei e la società attuale?
Dal mio arresto c’è stato un profondo cambiamento tecnologico. Ma quando si incontrano uomini di quattordici, diciassette, diciotto o vent’anni, loro offrono un’idea della loro generazione, del loro mondo. Molti detenuti qui devono scontare delle pene brevi. Tuttavia, per quel che mi riguarda, sono un dinosauro tecnologico…
Quando uscirà, su quale tema le piacerebbe lavorare?
Non mi pongo limiti: imparare nuove lingue, visitare nuovi paesi, respirare aria nuova, aria. Vorrei anche aprire una scuola.
Ha avuto la possibilità d’incontrare altri prigionieri politici?
Si, ho visto dei membri dell’organizzazione MOVE (giornalista, Mumia ha firmato numerosi reportage su questa comunità militante presa d’assalto dalla polizia nel 1978 – NdR). Eddie Africa è qui, ma lo vedo di rado. Russell Maroon Shoats è il prigioniero che ha vissuto più a lungo in situazione d’isolamento in Pennsylvania: circa trent’anni. Era membro dell’Armata di liberazione nera. Abbiamo avuto occasione di passare un’ora, insieme in cortile, con una temperatura inferiore a zero gradi. Portavamo delle scarpe e delle calze leggere e una t-shirt. Faceva un freddo cane. Lui parlava. Io ascoltavo. Parlava delle sue idee, delle speranze che nutriva riguardo al movimento Occupy (fine 2011 – NdR). Secondo lui, ciò rappresentava una tappa nuova nel modo di organizzarsi, perché l’evoluzione delle tecnologie ha trasformato la maniera in cui i militanti, i responsabili e la gente entrano in contatto tra loro. Le vecchie forme di organizzazione degli anni ’30, ’40 e ’50 ne sono state trasformate. È vero per le organizzazioni politiche.
Il partito d’avanguardia subisce la sfida delle tecnologie. Il fatto che i comitati centrali impartiscano degli ordini tramite strutture partigiane è qualcosa di superato. Avevamo organizzazioni segrete che comunicavano tramite avanguardie. Se oggi si può redigere un tweet o inviare qualche riga a migliaia di persone, ciò rappresenta una trasformazione qualitativa dei modi politici di comunicazione. Russell Maroon Shoats mi diceva anche che il movimento Occupy deve superare quello che è all’origine. Deve raggiungere le comunità nera e latina. Con lui ho trovato un punto di vista originale: le tecnologie aprono delle possibilità politiche tutte nuove.
Quale bilancio traccia della presidenza Obama?
Il primo mandato di Obama è stato profondamente deludente. Quando avrebbe dovuto giocare in attacco, ha giocato in difesa con gente che non desiderava giocare con lui. La più grande delusione è che non ha fatto chiudere né Guantanamo né le altre prigioni segrete. C’è una nuova erosione delle libertà civili. Penso che fosse spaventato.
Le condizioni della sua detenzione sono migliorate?
Non sono più né nel braccio della morte, né relegato in isolamento. Ma le persone con cui ho passato il tempo nel braccio della morte mi mancano. Alcuni erano come figli. Altri come fratelli. Mi mancano, e alcuni li amo.
Dove ha trovato la forza per resistere?
Anche nei momenti più neri, ho sempre sentito di essere circondato dall’amore.
(Articolo e intervista di Gaël De Santis per l’Humanité)