di Alessio Arena
Esiste la possibilità che la letteratura esprima in una sintesi superiore a quella della saggistica il risultato della comprensione o intuizione del flusso della storia. Partecipe delle contraddizioni del proprio tempo, la creazione letteraria le riflette, più o meno direttamente, nello sviluppo di un tessuto espressivo capace di comunicarle al lettore con la sfumata nettezza data dall’incontro tra intelligenza e sensazioni.
Le epoche di passaggio, di crisi organica, sono normalmente il momento di più alta espressione di ciò, agitate, insegna Gramsci, dal contrasto tra l’agonia di una società morente e il prendere forma di qualcosa di nuovo che si appresta a nascere.
Gli anni immediatamente successivi alla fine della II Guerra Mondiale furono appunto il momento della storia recente in cui trovò più drammaticamente espressione la contraddizione tra la putrefazione del mondo che aveva prodotto la carneficina, con la pervicace – e in larga misura vittoriosa – resistenza delle sue istituzioni e potentati al trapasso rigeneratore, e il bisogno degli uomini di un rinnovamento della società e della morale.
Oggetto della nostra analisi saranno i contributi allora offerti, in condizioni socio-culturali e storiche diverse ma convergenti, da due autori interpreti dell’ansia di un’epoca le cui problematiche irrisolte ancora condizionano il nostro presente.
Il primo è Osamu Dazai. Giapponese, di nobili origini, Dazai condusse un’esistenza controversa e contraddittoria, segnata dal rigetto per l’ambiente di nascita e dall’incapacità di trovare posto nel mondo che gli si trasformava attorno. Estraniato fino all’alienazione, egli concluse la propria traiettoria letteraria con la pubblicazione di un romanzo, Lo Squalificato, che a posteriori suonò come il rintocco a morte per il suicidio di poco successivo, nel giugno 1948. La sua biografia è colma di punti oscuri, a partire non a caso dalla breve adesione ai gruppi comunisti dell’opposizione clandestina al regime militarista alleato della Germania nazista e dell’Italia fascista. Tale adesione, conclusasi con un allontanamento che lascia aperto il dubbio che lo scrittore si sia macchiato della delazione alla polizia degli antichi compagni, appare significativa di un percorso umano ambivalente, evidenza della sospenzione dell’uomo Dazai tra due appartenenze che lo avrebbe lacerato fino a ucciderlo.
La più completa espressione dell’elaborazione artistica di un simile strazio è rappresentata dal romanzo Il sole si spegne, del 1947. Si tratta della vicenda di una giovane donna aristocratica, Kazuko, testimone del collasso dell’universo materiale e ideologico che aveva dato forma alla sua educazione. La protagonista vive dolorosamente a contatto con la madre, “l’ultima signora del Giappone”, eterea incarnazione di una società tradizionale mitizzata e sublimata, travolta dall’irrompere distruttivo della realtà del Dopoguerra.
Il libro si apre con il trasloco delle due donne in una casa di campagna, conseguenza del tracollo economico subito dalla famiglia dopo la morte del padre, ma anche simbolico arroccamento della madre nel luogo lontano dal mondo in cui sarebbe andata a morire. Kazuko, accompagnandola, assurge al ruolo di figlia della vecchia società chiamata a seppellirla. L’amore per la madre stride in lei con una distanza che si manifesta via via in una mutazione fisica e psicologica, nella maturazione che la porterà a dar luogo nella propria vita quotidiana a una rivoluzione morale che la congiunga al grande moto della storia. La rivoluzione prende forma nel concepimento del figlio illegittimo di uno scrittore decadente e corrotto, emblema della caduta dei valori tradizionali. Il concepimento del bambino avviene infatti in concomitanza con la morte della madre, esprimendo una transizione irreversibile.
Proprio la capacità di attuare la sua rivoluzione morale sarà per Kazuko l’ancora di salvezza, mentre il mondo nuovo esigerà come tributo la vita di Naoji, il fratello tornato dalla guerra, immagine di Dazai trasposta nelle pagine del romanzo, che scriverà nel suo addio: «Non posso tornare nel mondo che ho abbandonato, e tutto ciò che mi offre il popolo (con una cortesia nauseante permeata di perfidia) è un posto nella galleria degli ospiti».
Naoji appare dunque concentrato nel suo dramma interiore, preda della dicotomia folle che lo dilania, ma proprio per questo incapace di stare dentro la vita che fluisce. Kazuko, al contrario, trova nella consapevolezza del carattere rivoluzionario dell’amore la sua ragione di vita e il suo contributo alla trasformazione in atto nel mondo: «Un bastardo e sua madre. Vivremo in lotta continua contro la vecchia moralità, come il sole». Perché: «Anche se Maria mette al mondo un bambino che non è di suo marito, se ha un lucido orgoglio, diverranno una madre santa, un santo bambino».
Resta, sotteso al significato della vicenda, un limite spiegabile proprio con l’identificazione tra Dazai e Naoji. La rivoluzione di Kazuko infatti, pur concepita nel flusso collettivo, è un percorso personale di carattere romantico, non esente da un nobile ma limitante individualismo. Essa concepisce la moralità al di fuori dei rapporti materiali esistenti, il legame con i quali si direbbe al più intuito ma non realmente compreso. Un mondo è finito ma, al di fuori della nuova percezione individuale del rapporto con esso, nulla è delineato.
In Aragon, poeta e scrittore francese attivo nella Resistenza, dirigente fino alla morte del Partito Comunista Francese, questo limite si annulla. L’amore diventa fatto collettivo proprio nella sua qualità di fondamento e giustificazione di una spinta rivoluzionaria prettamente politica. Esso entra nella politica come paradigma interpretativo del mondo, elemento conoscitivo e visione non vagheggiata, ma lucidamente perseguita di un’umanità in tutto e per tutto nuova.
Recuperando, ma in certo modo negando al contempo la tradizione dei trovatori provenzali, l’intera opera poetica di Aragon verte intorno a una figura fondamentale, vero elemento trasformatore della percezione del mondo: Elsa Triolet, scrittrice d’origine russa e sua compagna di vita. L’incontro con lei, avvenuto nel novembre 1928, sarebbe più tardi stato rievocato così dal poeta: «La mia vita si è improvvisamente rovesciata / una sera al bar della Coupole».
Il contenuto del rovesciamento è espresso nella forma più appassionata in alcuni versi che non mancarono di destare polemiche alla pubblicazione: «Sono sordo a ogni pianto che non venga dalla tua bocca / Non comprendo i milioni di morti se non sei tu a gemere». Oltre l’equivoco facilmente immaginabile generato da una disattenta lettura di questi versi, il reale contenuto concettuale si delinea con nettezza: il poeta conosce il mondo attraverso l’amore per Elsa, lo interpreta usando la grandezza del sentimento come chiave di lettura delle contraddizioni e proprio a misura di quel sentimento desidera trasformarlo.
Non c’è qui ombra d’individualismo romantico. E non soltanto perché l’amore per Elsa dà forma alla visione rivoluzionaria del poeta, ma perché la figura stessa della donna, la sua mente, il corpo stesso si collocano nel tempo e nello spazio dentro il precipitare delle grandi questioni sociali e la rivolta dell’uomo contro la pretesa ineluttabilita della barbarie espressa nella guerra: «Era nel bel mezzo della nostra tragedia / E per tutto un lungo giorno seduta allo specchio / Lei si pettinava i capelli d’oro / […] / Lei apposta si straziava la memoria / Era nel bel mezzo della nostra tragedia / Somigliava il mondo a quello specchio maledetto /Il pettine divideva i fuochi di quel riflesso / E quei fuochi rischiaravano gli anfratti della mia memoria».
Elsa Triolet dunque, come personaggio letterario, nel momento stesso in cui è fortemente se stessa e destinataria della passione espressa, trascende i propri limiti fisici, si fa emblema della Liberazione, si fonde col panorama amato della terra di Francia, incarna il rigetto per il ruolo secondario attribuito alla Donna dalla società tradizionale. La centralità poetica di Elsa diventa così negazione e ribaltamento dei meccanismi sociali di dominazione e oppressione, fino all’affermazione secondo cui «Il futuro dell’uomo è la donna». «Dichiaro che l’uomo è nato puro / La donna per l’amore / Del vecchio mondo sta cambiando tutto / In primo luogo la vita e poi la morte / E tutte le cose condivise / Il pane bianco i baci appassionati».
Ecco dunque la divergenza profonda che la nostra analisi si proponeva di evidenziare, tra le prospettive dei due autori prescelti. Per entrambi «l’uomo è nato per l’amore e la rivoluzione» ed entrambi comprendono la profondità del cambiamento in atto. Ma mentre la rivoluzione di Dazai si risolve nell’esemplificazione individuale del trapasso della vecchia morale, in Aragon essa unifica il contenuto di rottura della storia personale e del mondo. Il confine tra lotta politica e amore scompare, perché vi è tra le due cose una unità profonda. Si ama per vivere e si trasforma il mondo secondo l’amore e in funzione di esso.