di Fulvio Lipari
Settimana scorsa Ikea, la famosa multinazionale del mobile, ha gettato la maschera mostrando ai propri dipendenti quale sia il vero volto del profitto. L’immagine di una azienda attenta ad uno sviluppo sostenibile e “green”, sensibile alle questioni di genere, gayfriendly, disposta a sostenere economicamente realtà come Unicef, WWF, Medici Senza Frontiere, ecc, ma soprattutto attenta ai propri dipendenti come una chioccia ai pulcini, ha ceduto il passo all’arroganza e alla violenza tipica del capitale, disposto a passare sopra a tutto pur di vedere accresciuto il proprio margine di profitto.
Con una decisione improvvisa, comunicata ai sindacati tramite una lettera, Ikea ha deciso di disdettare unilateralmente il contratto integrativo a partire dal 1o Settembre 2015. L’unico spiraglio concesso è stata la proroga di un mese delle negoziazioni, a patto che queste portino però i risultati già dichiarati dall’azienda: taglio delle maggiorazioni domenicali e festive, eliminazione dei premi di partecipazione. E’ la prima volta in 25 anni di presenza in Italia che Ikea decide di rompere unilateralmente le relazioni con le rappresentanze sindacali.
Una azione tale, inserita nel contesto più ampio del rinnovo del CCNL con Federdistribuzione (che preannuncia condizioni fortemente peggiorative) e nel contesto degli effetti pratici che l’applicazione del Jobs Act ha su tutti i lavoratori in termini di taglio di diritti e welfare, mostra ancora una volta quanto sia velleitario e fuorviante credere nell’esistenza di un capitalismo dal volto umano.
Se Ikea dovesse applicare l’abrogazione del contratto, che comporterebbe un taglio stimato degli stipendi tra il 15% e il 20% in un sol colpo, si troverebbe ad applicare una disdetta illegale, in quanto l’art.2 dell’integrativo al momento ancora in essere, vieta l’entrata in vigore di un nuovo contratto integrativo in assenza di un accordo tra le parti.
Dinanzi ad una situazione tanto grave i sindacati hanno reagito finalmente uniti e con forza, riunendo i lavoratori in tutti i 21 punti vendita del gruppo, proclamando lo stato di agitazione e indicendo, per sabato 6, uno sciopero nazionale del gruppo per tutta la giornata.
Fin dalle 6 del mattino capannelli di lavoratori si sono formati davanti agli ingressi dei dipendenti. Noi abbiamo partecipato alla mobilitazione del negozio di Carugate, nel milanese, dove le bandiere della CGIL della UIL e dell’USB, le tre sigle sindacali presenti in azienda, hanno fin dall’alba adornato il parcheggio. Verso le 10 del mattino ben 150 lavoratori presidiavano l’ingresso del negozio con bandiere, megafoni, fischietti e volantini da distribuire ai clienti. All’interno solo i manager, i capi reparto, qualche lavoratore interinale e un paio di crumiri.
La mattinata è passata tra interventi e cori, in un clima di incredulità e gioia. Molti lavoratori infatti non avevano mai partecipato ad uno sciopero, per tanti era persino normale pensare che una cosa del genere non fosse possibile.
Verso le 12,00 la decisione unanime è stata quella di fare un corteo interno, lungo tutto il percorso dello store, sotto gli occhi increduli di molti responsabili.
Durante tutta la giornata i lavoratori andavano e venivano, fin verso metà pomeriggio, quando il presidio ha iniziato a scemare. Nonostante questo il negozio ha dovuto chiudere alle 18,00 (per 3 ore prima della normale chiusura) per assenza di personale.
Unità, compattezza, risolutezza, hanno permesso la costruzione di una giornata inimmaginabile per i più, con la partecipazione allo sciopero di alcuni interinali e persino di qualche responsabile!
90% di adesione e 200 lavoratori circa in presidio lungo tutto il giorno su 370 complessivi assunti nel negozio di Carugate sono i numeri di una giornata all’insegna della lotta e della dignità di classe.
In molti c’hanno messo la faccia, spesso per la prima volta, spesso, come nel caso degli interinali o dei responsabili, rischiando grosso.
Fondamentale anche la presenza di un certo numero di solidali. Noi di Fronte Popolare certamente, ma soprattutto delegati dell’USB di Carrefour e CGIL di Apple, oltre al collettivo politico Martesana Libera, che ha dato supporto logistico cucinando per decine di persone all’ora di pranzo. Anche questo deve essere il senso della riuscita giornata di oggi. La solidarietà di classe come arma, perchè capire che l’individualismo imperante, fomentato dai media e da partiti populisti e razzisti come la Lega, che instillano la paura e invitano a rinchiudersi in casa, delegando sempre ad altri, odiando il diverso o chiunque cerchi di alzare la testa, è il primo nemico delle lotte, dei diritti e dell’unità dei lavoratori è un percorso che, seppur lungo, passa anche e soprattutto da giornate di lotta come questa.
Anche il risultato in ambito nazionale è andato oltre ogni più rosea aspettativa, con percentuali di adesione che hanno letteralmente fatto impallidire i manager, convinti che nel commercio e in particolare in una azienda ammantata di socialdemocrazia come Ikea, fosse impossibile sviluppare una vera mobilitazione. Firenze, Napoli e Bologna hanno anch’esse toccato adesioni del 90%, oltre il 70% i negozi di Brescia, Corsico, i due negozi romani, fino ad arrivare a quello di Genova, chiuso dopo poche ore per assenza di personale.
Al termine della giornata un primo risultato è già stato ottenuto, l’azienda infatti ha concesso ai sindacati un incontro per venerdì 12 a Bologna.
Ikea ha ora davanti a se 2 sole possibilità: un passo indietro rispetto alla disdetta del contratto integrativo e la conseguente apertura di un vero tavolo di trattative per la stipula del nuovo CIA, oppure la scelta di un attacco frontale nei confronti dei lavoratori e del loro salario.
Seppur siamo portati a credere che la multinazionale difficilmente farà passi indietro, oggi abbiamo avuto prova che anche nel Commercio, comparto da sempre difficilissimo, qualcosa sta faticosamente iniziando a muoversi. Quanto i lavoratori siano disposti ad alzare l’asticella dello scontro nel caso l’azienda scegliesse la guerra a viso aperto non lo sappiamo, ma certamente quello di oggi è stato un segnale di grande importanza che speriamo possa rappresentare uno sprone per altri lavoratori del commercio vessati e senza diritti, costretti a sacrificare la propria famiglia a turni massacranti e al lavoro domenicale e festivo, per riaffermare i propri diritti e la propria dignità nella lotta.