Al 9 dicembre 2015 risale l’approvazione del cosiddetto Decreto Appropriatezza (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 20 gennaio dell’anno corrente) che sancisce le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale. Si tratta di un provvedimento classista che promuove una nuova stretta intorno al sistema sanitario pubblico italiano, provocandone una ulteriore involuzione.
Tale decreto prevede infatti un considerevole ridimensionamento delle cure prescrivibili gratuitamente da parte del medico di base in quanto le prestazioni sanitarie erogate al di fuori delle condizioni di erogabilità previste dal decreto sono totalmente a carico dell’assistito. Per tutta una serie di settori – esami di laboratorio, dermatologia allergologica, genetica, odontoiatrica, medicina nucleare, radiologia diagnostica – le prestazioni sono dunque erogabili non più in ogni situazione ma in base a precisi parametri legati allo stato clinico del paziente, secondo il principio di rendere minime le prestazioni preventive vigilando il paziente solo se già ammalato.
Ben 140 sono infatti le analisi di laboratorio – del sangue, delle urine e similari – che il Governo ha ritenuto non necessarie (e dunque non più gratuite): ad esempio colesterolo e trigliceridi possono essere prescritti gratuitamente solo ed esclusivamente a chi ha più di 40 anni o a chi presenta malattie cardiovascolari, fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per malattie dismetaboliche, dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci.
Per quanto riguarda le prestazioni odontoiatriche, solo in presenza di condizioni limite molto restrittive – essenzialmente condizioni di vulnerabilità sanitaria e sociale e solo talvolta condizioni di età (derogabilità da 0 a 14 anni) – potranno essere erogate prestazioni quali estrazioni di denti o interventi chirurgici.
Circa invece le prestazioni di radiologia diagnostica, vengono escluse dalla tutela sanitaria gratuita la densitometria ossea e diverse tipologie di risonanza magnetica nucleare e di tomografia computerizzata, se non nel caso di presenza di patologia oncologica o, in teoria, di sospetta tale. Scriviamo in teoria in quanto il sospetto oncologico è totalmente responsabilità del medico che rischia di incorrere in sanzioni economiche nel caso in cui la prescrizione dovesse risultare superflua! Al di là della onestà intellettuale e della profonda dedizione dei medici di base alla loro causa, questo è un fattore fortemente restrittivo e soprattutto discriminatorio per gli stessi medici cui de facto viene ristretto il campo di possibilità di prevenzione del paziente.
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L’obiettivo – neppure celato – di questo permanente attacco alla sanità pubblica italiana, nel cui solco questa controriforma si inserisce perfettamente, è quello di americanizzare il nostro sistema sociale sanitario. Ma in cosa consiste il sistema sanitario presente negli USA? E quali principi lo pongono agli antipodi rispetto al sistema sanitario pubblico italiano nonostante le controriforme che hanno colpito quest’ultimo negli ultimi anni lo abbiano considerevolmente ridimensionato? La sanità statunitense poggia le proprie fondamenta sull’assicurazione privata: il cittadino versa denaro presso una compagnia assicurativa privata – poggiante dunque sul principio della ricerca del profitto – che si occupa poi di farsi carico dei costi relativi alle cure e alle terapie di cui il cliente/paziente necessita.
Il primo problema di un tale sistema consiste nel fatto che chi non può permettersi di pagare una compagnia assicurativa rimane tagliato fuori da qualsiasi cura sanitaria: ben 50 milioni di statunitensi non sono infatti assicurati e dunque non hanno copertura sanitaria alcuna. Già questo elemento è di per sé sufficiente al fine di evidenziare quanto sia classista, ingiusto e discriminatorio il sistema sanitario statunitense, ammesso e non concesso che di sistema sanitario in riferimento alla criminale sanità negli USA si possa veramente parlare.
Il secondo problema che emerge tocca invece coloro i quali la copertura sanitaria se la sono potuta permettere. Innanzitutto, per il fatto che le compagnie assicurative il più delle volte non coprono tutte le spese sanitarie, anche chi con enorme fatica è riuscito a pagarsi la copertura sanitaria rischia la rovina economica a causa del costo dei ticket e dei farmaci. Inoltre per alcune malattie l’assicurazione sanitaria non funziona di per sé, lasciando il malato senza copertura nonostante sia assicurato.
I caratteri che finora abbiamo visto evidenziano quanto poco equa sia la sanità statunitense e quanto criminale sia uno Stato che permetta che una buona fetta di suoi cittadini possa non ricevere cure sanitarie, con tutte le nefaste conseguenze del caso. Tuttavia, al di là del negativo giudizio che abbiamo su di esso, l’ingiusto sistema sanitario statunitense in teoria potrebbe comunque essere gestito ‘correttamente’ ovverosia attenendosi alle sue regole discriminatorie ed alle sue procedure ingiuste: ma ciò non avviene a causa della totale criminale disonestà – governo assenziente e complice – delle compagnie assicurative.
Le criminali compagnie assicurative – perché non può che essere definito criminale chi fa profitto sulla vita delle persone – cercano infatti sempre scappatoie per evitare di dovere sostenere le spese che si renderebbero necessarie per le cure ad un malato. Vengono cercati cavilli burocratici o la presenza di una malattia preesistente o, ancora, si cerca di sancire che la malattia cui l’assicurato è affetto non è mortale, etc. E questo avviene anche quando il malato ha un’assicurazione totale che gli dovrebbe attribuire un trattamento di prima classe! Non a caso il compito di un direttore sanitario di una compagnia assicurativa è quello di farle risparmiare denaro, negando il più possibile le richieste di cura: il medico che sancisce più rifiuti di copertura sanitaria ottiene un premio! Ciò dimostra come, quando vi è di mezzo il profitto, non possono sussistere né correttezza procedurale né moralità ed umanità.
Oltre il danno la beffa. Dopo anni di sacrifici per pagarsi la copertura sanitaria, il malato assicurato statunitense, fedele cliente della sua compagnia assicurativa, può scoprire che le cure di cui necessita non gli verranno prestate perché non sono comprese nella sua assicurazione o a causa di cavilli burocratici e che dunque è destinato a crepare nel dolore o, nella migliore delle ipotesi, di proseguire la sua vita nella malattia, una malattia che magari sarebbe anche curabile con la giusta terapia.
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Completamente antitetico, il sistema sanitario italiano che dobbiamo difendere dai continui attacchi è invece pubblico, gratuito ed universalistico: la salute è un diritto, indipendentemente dal reddito, dalla condizione sociale e dalla cittadinanza. Il malato viene curato sempre e comunque, secondo le linee guida internazionali (dunque la cura non dipende dall’arbitrio del singolo medico) e non è necessario essere cittadini italiani per accedere alle cure in pronto soccorso, è sufficiente essere esseri umani. Chi ha bisogno dell’assistenza sanitaria vi può accedere in due modi: attraverso il pronto soccorso o attraverso il medico di base.
Merita ricordare che tale sistema si andò a definire negli anni Settanta del secolo scorso (istituzione del Servizio Sanitario Nazionale con la legge 833 del 23 dicembre 1978, dicastero della salute di Tina Anselmi). Prima sussisteva un sistema di cassa e mutua legato alla professione: vi era la mutua dei ferrovieri, dei dirigenti, etc., estesa anche ai familiari del lavoratore. Oltre al fatto che sussisteva una differenza tra la mutua delle categorie di lavoro ‘ricche’ e la mutua delle categorie ‘povere’, il problema esisteva per chi non aveva lavoro.
Occorre dunque sfatare alcuni luoghi comuni che fanno sì che i cittadini sotto la giurisdizione della Repubblica italiana non abbiano la percezione di eccellenza del proprio sistema sanitario, luoghi comuni che dipendono tanto dalla mancanza di consapevolezza quanto dalla permanente propaganda delle lobby della sanità privata che sottolineano episodi di malasanità per far filtrare l’immagine di qualcosa che non funziona, al fine di disinnescare qualsiasi opposizione al cambiamento del sistema sanitario italiano in senso statunitense.
Innanzitutto imperversa l’errata convinzione che la sanità italiana sia troppo costosa – un costo insostenibile – e che tale aumento della spesa sanitaria dipenda dai troppi sprechi. Falso: in realtà il sistema sanitario italiano costa meno di quello degli altri paesi (la crescita delle spese sanitarie cresce meno rispetto a quella degli altri paesi) e la spesa cresce non per gli sprechi come vorrebbero far credere la propaganda e i media servi delle lobby bensì perché migliorano i progressi della medicina. Anzi, un esempio di come la sanità italiana – non basata sul profitto in quanto pubblica – permetta di risparmiare denaro può essere esemplificato dal programma di prevenzione “Prevenzione Serena” per lo screening di massa su fasce di popolazione in base all’età per la ricerca preventiva dei tumori: sul piano meramente economico è meglio prevenire il tumore che fornire terapie al malato in quanto tali terapie specifiche rivolte alla cura o al contenimento degli effetti sono di gran lunga più costose di una sistematica prevenzione rivolta a tutti.
Ecco ora un ulteriore luogo comune: il problema della sanità pubblica sono le liste d’attesa. Vero, ma non in quanto la sanità è pubblica bensì per il fatto che elementi di sanità privata (e dunque poggianti sul principio del profitto) vengono fatti coesistere con la sanità pubblica. Spiegandoci meglio, le lunghe liste di attesa dipendono dal fatto che molti medici esercitano la loro attività professionale sia nell’ospedale (pubblico) sia in studio privato riducendo quindi il tempo dedicato all’attività ospedaliera. Si tratta di un enorme conflitto di interessi. Inoltre dietro una siffatta scelta organizzativa si cela una vera e propria scelta politica: indurre i cittadini ad optare per la sanità privata in quanto i tempi di attesa sono inferiori.
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Il sistema sanitario italiano così come si è andato a definire – pubblico, gratuito ed universalistico – è senza dubbio un sistema d’avanguardia che ha tra l’altro permesso alla Repubblica italiana di risultare tra i primi posti nella classifica mondiale dei paesi con il miglior sistema sanitario fino a pochi anni fa. Ma il continuo attacco che da anni subisce dai vari governi che si sono susseguiti e dalle lobby della sanità privata ne ha ridimensionato in parte il suo carattere d’avanguardia.
Certamente uno dei primi fattori che ha ostacolato la piena applicazione e il pieno potenziamento del sistema sanitario italiano è costituito dal fatto che, sin dal varo della 833 del 1978, il dicastero della salute è stato affidato soprattutto a membri del PLI che proprio dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, prima e dopo la sua approvazione, erano stati acerrimi oppositori.
In ogni caso il primo vero e proprio scardinamento del sistema sanitario pubblico avvenne con l’introduzione dei ticket a pagamento la cui quota, paradossalmente, può essere alzata fino a che risulti equivalente al costo delle prestazioni della sanità privata! Ciò ha minato profondamente uno dei principi del sistema sanitario italiano: quello della gratuità.
Il passaggio seguente – che ha scardinato invece il principio di universalismo della sanità italiana – è costituito dalla trasformazione del sistema sanitario da nazionale a regionale: la sanità è diventata competenza delle singole regioni ognuna delle quali si è organizzata in maniera propria e differente.
I soldi del sistema sanitario delle regioni provengono dalle tasse che lo Stato ridistribuisce alle regioni in base al numero di abitanti e in base ai bilanci precedenti di queste, oltre che dalla negoziazione delle regioni con il governo per ripartire i fondi restanti.
L’affidamento della gestione sanitaria alle regioni ha anche comportato il picconamento del principio di sanità pubblica. Infatti, a livello regionale, la sanità è gestita dal direttore generale delle ASL che, nominato dall’assessore, è un vero e proprio manager che gestisce ingenti quantità di denaro in posizione totalmente libera, potendo quindi distruggere le strutture pubbliche a tutto vantaggio di quelle private e senza che i cittadini possano esercitare controllo su di esso. Inoltre diventa sempre meno netto il confine tra sanità pubblica e sanità privata grazie al privato convenzionato – sempre favorito ad esempio dalle giunte regionali della Lombardia – il cui obiettivo è comunque sempre il profitto.
La controffensiva alla distruzione del sistema sanitario italiano deve essere elaborata e dispiegata per evitare l’approdo, in parte già in atto, ad un sistema criminale basato sul profitto sul modello della sanità statunitense. Uno strumento deve essere senza dubbio la controinformazione alla martellante e disonesta propaganda che tenta – ed in parte riesce – di insinuare la convinzione che la sanità privata sia più efficiente e meno costosa, coltivando nell’opinione pubblica una serie di luoghi comuni su cui marciano le lobby del privato per danneggiare l’immagine del pubblico.
Questa battaglia difensiva non può essere disgiunta parimenti dalla rivendicazione del totale ripristino del Servizio Sanitario Nazionale attraverso l’abolizione dei ticket, il ritorno ad una centralizzazione delle competenze in materia di sanità ora affidate alle regioni, il divieto per i medici di esercitare sia nel settore pubblico che in quello privato, affinché la sanità permanga un diritto per ogni essere umano e affinché l’essere umano bisognoso di cure mediche o anche solo della semplice prevenzione non diventi un cliente di una compagnia assicurativa.