Mentre qualche giorno fa Donald Trump su Twitter “si augurava” la permanenza di Conte quale presidente del consiglio italiano, ieri sera la votazione sulla piattaforma Rousseau ha prodotto un bulgaro 80% in favore dell’accordo con il PD.
Di Maio lo chiama un esempio di cittadinanza digitale, qualsiasi cosa questa affermazione significhi: la realtà dei fatti resta che anche i pessimi meccanismi della democrazia liberale e borghese risultano essere di gran lunga più garantisti rispetto alla piattaforma di votazione dei grillini. Altro che spazio di democrazia diretta: come affermato dal garante della privacy, i proprietari della piattaforma possono impunemente e senza lasciare traccia modificare l’esito delle votazioni. Questo fa pensare quando, dopo anni di giustificato odio della base grillina nei confronti del PD, incredibilmente abbiamo un esito così sproporzionato nell’esprimersi in favore ad un accordo di governo con quel partito. Ci sembra invece una mossa della nuova casta grillina che, senza arte né parte, vuole evitare di tornare nel mondo reale, una volta assaggiate le comodità del palazzo.
Effettivamente quanto accaduto in questa ultima (pronostichiamo penultima) crisi di governo ha, a tratti, dell’incredibile. Salvini, che aveva pronosticato una facile vittoria nei seggi, rimane alla porta infuriato. Anche nel PD non tutti sono contenti: in ostaggio di un gruppo parlamentare fedele al megalomane Renzi, Zingaretti non ha potuto che ratificare ciò che avrebbe volentieri evitato. La nuova segreteria del PD avrebbe infatti preferito tornare al voto così da sostituire le poltrone renziane con altri più fedeli alla nuova linea. Renzi riesce quindi a tornare miracolosamente alla ribalta.
Può essere anche che sia possibile per i dem (così come lo è stato per la Lega) giocarsi la partita dell’assorbimento di una parte dei pentastellati i quali, stando alla loro retorica, riescono a passare senza soluzione di continuità al governo con chiunque perché “non esistono più né destra né sinistra” – per quanto poi, alla prova dei fatti, storicamente l’anima del movimento sia divisa nettamente tra chi tende più a una parte e chi più dall’altra.
Si parla di discontinuità o quantomeno tale vorrebbe essere la vulgata proposta dal PD. Il nuovo contratto di governo sfoggia un vocabolario orientato a sinistra: lavoratori, genere ambiente. Mentre il PD schiera ministri sopratutto tecnici e di secondo piano, il 5* prova a riabilitare la sua anima di sinistra con qualche ministro che si vorrebbe preannunciare come fuori dal coro (es. all’Istruzione). Fatto sta che è assai arduo, quand’anche per una persona dotata di scarsa coscienza politica, immaginarsi una possibile discontinuità. Quale discontinuità a favore dei lavoratori da chi ha scritto e imposto il Jobs Act? Quale politica espansiva da chi, come scritto nella bozza del contratto di governo, non vuole toccare il dogma del pareggio di bilancio? Anche su temi centrali dell’ascesa della Lega quale ad esempio la questione dell’immigrazione è stato proprio il piddino Minniti a fungere da pieno apripista per gli odierni Decreti Sicurezza. Lo stesso vale l’autonomia differenziata (leggasi: la secessione dei ricchi): non vi è alcuna differenza rispetto alle posizioni sia del PD che della Lega che dei 5* che del resto delle forze politiche. C’è una sostanziale concordanza e subalternità di tutti i partiti in parlamento con i poteri forti.
Comunque dobbiamo rilevare che il presidio del PD alla guida del paese farà forse dormire sonni più tranquilli alle oligarchie capitalistiche tedesche, che si trovano nel pieno dell’accelerazione del processo di costruzione del Quarto Reich. L’elezione di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione Europea costituisce un fatto storico di notevole rilevanza. Espressione della nobiltà tedesca che già fu il nerbo del Reich bismarckiano, ricca, ordoliberista, guerrafondaia e vicinissima alla cancelliera Angela Merkel, von der Leyen rappresenta una summa della classe dirigente tedesca che si impone oggi alla guida della nuova fase della cosiddetta “costruzione europea”, che si annuncia d’importanza decisiva per l’evoluzione degli equilibri mondiali del potere nel prossimo futuro. Il PD è già pronto al più bieco servilismo nei confronti delle politiche lacrime e sangue dell’UE a guida Von der Leyen – pronta a riaffermare con maggiore forza in tutto il continente la incontrastata dittatura del capitale ultraliberista.
Certo, ci è impossibile non gioire dell’auto-uscita di scena, quantomeno momentanea, della Lega di Matteo Salvini dalla compagine di governo. Il suo ruolo di feroce cane da guardia della pace sociale è un pericolo oggettivo per la classe lavoratrice e per tutte quelle compagne e compagni che lottano per la trasformazione sociale rivoluzionaria.
Ma agitare lo spauracchio di Salvini per evitare le urne rischia effettivamente, dovendosi affrontare la manovra finanziaria nel contesto europeo sopra citato, di produrre l’effetto opposto. Questo governo nascente non può che acuire l’attacco ai diritti e alle condizioni della classe lavoratrice del nostro paese. Ci aspettano anni duri: il cane da guardia Salvini tornerà successivamente per salvare il capitalismo da sé stesso. Egli è l’opzione reazionaria di contenimento del collasso sociale a colpi di manganello.
Queste sono le condizioni oggettive del quadro italiano. Sono però le condizioni soggettive che ci chiamano in causa. A noi comunisti il compito di stimolare processi di aggregazione politica su basi radicali. D’altronde, la profonda crisi in cui versa il capitalismo, assieme a enormi rischi, offre anche delle opportunità reali. Per salvarsi da sé stesso, il capitalismo ha un numero limitato di strade da perseguire, e qualsiasi deviazione rischia di far saltare definitivamente i precari equilibri di estrazione violenta del profitto, e di distribuzione dello stesso all’interno della classe capitalista. In fondo, la questione da porre è sempre quella centrale del potere della classe lavoratrice, alla quale dobbiamo essere in grado di consegnare strumenti vincenti per la lotta politica.