Come era stato anticipato da varie agenzie di sondaggi, i risultati dell’ultima tornata elettorale aprono la strada ad un governo di destra, con maggioranza assoluta in entrambi i rami del Parlamento. Se la grande astensione e il premio di maggioranza nascosto dal meccanismo dei collegi uninominali hanno consegnato il parlamento alla destra, a dispetto dei titoloni di giornale delle scorse settimane, però, non abbiamo assistito né ad un’ondata ‘nera’ (che avrebbe lasciato la Costituzione della destra) né ad una reazione ‘antifascista’ (cioè un successo inaspettato del PD dovuto alla chiamata per il voto utile contro la Meloni).
Da una parte, il risultato della Meloni è da relativizzare al dato dell’astensione ormai dilagante, sintomo di un disinteresse e di una rassegnazione da parte di larghi strati di popolazione- un fenomeno particolarmente marcato al sud e fuori dai centri cittadini. Facendo i conti, solo un avente diritto su quattro ha scelto il centro destra, e solo uno su sei la Meloni. Dall’altra, nemmeno dove la gente ha votato, si è verificata la corsa al voto utile per il PD – praticamente unico tema della campagna di Letta. Il voto utile, che pure si è verificato in alcuni seggi particolarmente benestanti dei centri delle grandi città del Nord, non ha neppure premiato in maniera univoca il PD, ma è stato conteso dall’agenda antipopolare di Calenda e Renzi.
Un altro dato era atteso, anche se si è verificato in maniera ancora più marcata grazie al tracollo della Lega: la distribuzione di voto interna alla coalizione vincente conferma la leadership del partito postfascista della Meloni, che potrà esercitare il suo peso relativo per la formazione del governo.
Tuttavia, la strada per la Meloni è tutt’altro che in discesa. Se è vero che da sola ha realizzato più del doppio dei voti dei suoi alleati messi insieme, il prossimo governo sarà ipotecato alla tenuta dell’alleanza con Forza Italia e Lega. Forza Italia si è già posta come garante dell’ordine centrista e per la Lega ci si attende presto un cambio di rotta. La leadership di Salvini scricchiola ed è probabile che, una volta fatta la pelle al ‘capitano’, l’asse dei governatori (Zaia in testa) e dei fedelissimi dell’establishment prenda le redini, anche occupando dicasteri chiave nel prossimo governo- dicasteri che la Meloni sarebbe intenzionata a negare alla persona di Salvini, mentre il nome di Giorgetti circola con crescente insistenza.
Fratelli d’Italia, insomma, si ritroverà a governare su un’agenda blindata al centro, che rischia di far precipitare il già fragile consenso attorno alla sua capa, soprattutto in vista dell’inverno sociale drammatico che ci aspetta, di una guerra che non accenna a placarsi, del taglio totale delle forniture del gas da parte russa e della conseguente recessione economica.
Certo, la futura prima ministra ha dimostrato di sapersi muovere ed è probabile che giocherà bene le sue carte. Ci dobbiamo quindi aspettare che provi a mantenere il consenso cercando sponde atlantiste e schierandosi tra i falchi guerrafondai. Potrà poi, in politica interna, fare leva contro i sindacati, gli immigrati, contro le donne, contro i diritti LGBTQ. Insomma, i danni che può fare, sfruttando un clima culturale favorevole, sono considerevoli e il nostro compito sarà quello di costruire un’opposizione, anche culturale, nel corpo sociale.
Se sarà questione di un paio di mesi o di un paio di semestri vedremo, ma è difficile, tuttavia, scommettere su un governo che sopravviva fino alla fine della legislatura. Il Partito Democratico e il cosiddetto terzo polo lavoreranno strenuamente per preparare le condizioni per un governo dalle larghe intese, che potrebbe fare gola sia a Forza Italia che ad una Lega giorgettiana.
Se il PD e Calenda attendono il tracollo della Meloni per governare senza aver vinto le elezioni, il quadro di un futuro tentativo di larghe intese è (per fortuna, aggiungeremmo noi) messo a repentaglio dal buon risultato del Movimento 5 Stelle. La scommessa di Conte è stata oggettivamente vincente: caratterizzando la agenda del movimento nel solco della tradizione socialdemocratica, il Movimento ha eroso molti voti al PD e sta contendendo il suo primato come sponda politica in vari pezzi di società (CGIL, mondo intellettuale, movimenti ambientalisti, ecc.). Se Conte terrà fede a questa agenda, potrà anche provocare parecchi scossoni all’interno del PD, già ridotto al minimo storico di consensi, e di Sinistra Italiana.
Un’analisi dettagliata della composizione sociale del voto a 5 Stelle sarà fondamentale, ma già da subito si può dire che Conte è riuscito nell’impresa di intercettare le aspettative e i bisogni di parte delle classi popolari. Occorrerebbe dirlo in maniera chiara: il M5S ha rappresentato, agli occhi dell’elettorato, la principale opzione progressista.
L’operazione di Conte è frutto di una strategia più articolata. Conte, ci sembra, si sta proponendo come referente della costruzione imperialista europea e, all’interno del composito quadro politico continentale, di quegli interessi più divergenti dall’asse euro-atlantico e che, in questa fase, spingono per aprire una strada alla mediazione del conflitto con la Russia. Un ruolo che il PD non è mai stato in grado di interpretare a pieno, dilaniato da tensioni interne irrisolvibili e che ora approcciano il punto di rottura. Se il Movimento riuscirà ad accreditarsi in questo senso, uno stravolgimento del campo del centrosinistra per come lo abbiamo conosciuto negli ultimi dieci anni sarà molto probabile.
Al nostro interno, dedicheremo le prossime settimane all’impostazione della nostra opposizione al Governo Meloni, che abbia le sue radici nei movimenti sociali, nei sindacati, nelle scuole, nei territori e nei comitati. Crediamo, però, che sia ancora più urgente una riflessione profonda e condivisa sulla sconfitta storica che la nostra area politica sta vivendo.