Il 22 ottobre 2023 segnerà il primo anniversario dalla nomina di Giorgia Meloni alla Presidenza del Consiglio. Alcuni media iniziano a suggerire l’ipotesi di una possibile fine della “luna di miele” tra il governo attuale e l’elettorato. Ma Giorgia Meloni è davvero in difficoltà?
Iniziamo analizzando un dato di realtà. Come abbiamo precedentemente sottolineato, Fratelli d’Italia non ha mai goduto di un ampio consenso nel Paese. Il risultato della Meloni è da relativizzare al dato dell’astensione ormai dilagante, sintomo di un disinteresse e di una rassegnazione da parte di larghi strati di popolazione- un fenomeno particolarmente marcato al sud e fuori dai centri cittadini. Facendo i conti, solo un avente diritto su quattro ha scelto il centro destra, e solo uno su sei la Meloni. Quindi, possiamo parlare al massimo di una crisi all’interno del suo elettorato, cioè di una minoranza.
Quali sono allora i tasti dolenti per la Meloni nei confronti del suo proprio elettorato? Una fonte di preoccupazione per la sua tenuta riguarda certamente il tema dell’immigrazione. L’instabilità geopolitica e regionale in diverse nazioni africane, unita alla catastrofe ambientale, rende l’Europa un obiettivo per centinaia di migliaia di persone in cerca di rifugio da guerre e fame. Questo è un problema epocale che non può essere risolto con slogan elettorali, come conferma l’impennata nel numero di sbarchi dall’inizio del suo governo. In questo quadro drammatico, l’Italia ha innegabilmente bisogno di cooperazione con gli altri paesi europei, che possono rifiutarsi di accettare altri migranti (come ha già fatto la Germania), intensificare i respingimenti alle frontiere (come fa quotidianamente la Francia), o opporsi ad una ridiscussione dei meccanismi di allocazione dei rifugiati. Tuttavia, proprio un confronto mediaticamente acceso con le istituzioni europee potrebbe consentire a Meloni di guadagnare tempo con il suo elettorato.
Anche il margine considerevole che il governo ha in termini di misure repressive contro le persone senza documenti suggerisce una maggiore cautela nell’analisi nell’annunciare la fine della “luna di miele”. Come annunciato dalla prima ministra, il governo investirà nel potenziamento dei Centri di Permanenza e Rimpatrio, vere e proprie carceri dove si potrà essere detenuti fino a 18 mesi. Difficile anticipare quanto la retorica dell’invasione e la linea dura del governo pagherà in termini elettorali (e se, soprattutto, questo porterà alla fine ad una più marcata radicalizzazione sul tema di alcune fasce dell’elettorato), ma il punto di rottura sembra ancora lontano.
Un altro punto potenzialmente critico per la Meloni riguarda il peggioramento delle condizioni di vita della popolazione residente. L’impatto che avrà l’eliminazione del reddito di cittadinanza a favore di misure più restrittive basate su politiche di attivazione dall’efficacia dubbia (ma con l’obiettivo di disciplinare la forza lavoro non qualificata) sarà probabilmente disastroso dal punto di vista sociale. Tuttavia, il sostegno del suo elettorato potrebbe non essere scalfito in maniera significativa, considerato che la stragrande maggioranza dei beneficiari del reddito già nutrivano le file ampie dell’astensionismo.
Più sensibile il tema dei tassi di interesse. La tendenza all’aumento dei tassi di interesse sui mutui continua inesorabile. Una realtà drammatica per le famiglie che hanno preso un mutuo per comprare la loro prima casa. Come confermano i dati più recenti, nel caso di mutui a tasso variabile, queste famiglie si trovano ora a pagare mediamente 212 euro in più al mese rispetto all’anno precedente, con un aumento percentuale medio del 44%. La proposta contro gli extra-profitti delle banche può migliorare l’immagine del governo, ma questa tassa mal concepita e con incerti effetti sulle banche più piccole e sui risparmiatori darà del filo da torcere alla Meloni che prova a bilanciare la sua tendenza populista con gli interessi delle lobby aziendali che lo sostengono, che non tollerano l’idea di tasse improvvisate come questa.
Anche se la tassa sugli extraprofitti si dovesse rivelare un flop, a rassicurare sulle sorti della Meloni c’è comunque il fatto che il governo è perfetto interprete di una certa cultura di destra ormai diffusissima nel paese. L’insieme di politiche repressive già approvate o pianificate avrà un impatto duraturo sulle nostre libertà individuali, sociali e politiche. La tendenza è drammatica: si vorrebbero affrontare problemi sociali e psicologici, frutto di un sistema economico fortemente iniquo e basato sulla violenza, con misure punitive invece che preventive.
L’ultimo giro di vite riguarda i minori. Come è noto, il Consiglio dei ministri ha recentemente approvato un decreto che introduce misure più severe contro la criminalità giovanile. Questo significa che sarà più semplice per i minori finire in carcere. Le misure vanno dall’ammonimento da parte del questore già a partire dai 12 anni di età all’arresto immediato per il reato di spaccio, anche in casi di lieve entità. Inoltre, si prevede una pena fino a 2 anni di carcere per i genitori che non mandano i loro figli a scuola, con l’obbligo di controllo parentale gratuito su tutti i dispositivi. Il governo sta quindi confermando la sua linea di approccio repressivo, trascurando le iniziative di prevenzione.
Giorgia Meloni non si sta solo premurando di reggere il confronto domestico. Sebbene le sue mosse internazionali siano spesso sottovalutate, fanno parte di un coerente disegno strategico. Sullo scacchiere internazionale, il governo si è da subito schierato su posizioni filo-atlantiste, posizionando l’Italia in trincea nella guerra contro la Russia e cercando una legittimazione negli ambienti della Casa Bianca. Questa strategia si traduce in Europa alla guida dei conservatori europei. Un risultato positivo dei conservatori alle prossime elezioni europee potrebbe modificare profondamente gli equilibri della destra continentale a favore della loro egemonia, riducendo il ruolo dei popolari e aprendo una nuova stagione atlantista. In Italia, tra l’altro, questo nei fatti emargina Salvini nel suo tentativo di guadagnare la testa dei popolari a guida berlusconiana.
Ma a chi già annuncia la fine della luna di miele tra Giorgia Meloni e il suo elettorato, vorremmo soprattutto ricordare un dato politico fondamentale: qualsiasi sia la crisi che può attraversare il consenso della Meloni, la mancanza di un’alternativa politica reale la rende di fatto l’unica in grado di governare il paese.
È sotto gli occhi di tutti che le condizioni di estrema marginalità in cui versa la sinistra di classe non le permettano realisticamente di candidarsi ad un ruolo di alternativa politica, almeno entro la finestra temporale rappresentata dalla durata della legislatura. Guardare agli altri attori in campo, d’altronde, non genera più ottimismo. Non importa quanti discorsi rivolti a sinistra pronunci la Schlein: il partito democratico rimane così profondamente inviso all’elettorato italiano che solo un suo completo (e quindi praticamente impossibile) rinnovamento potrebbe riaccendere l’interesse delle classi popolari. In più, il continuo rischio di caduta della Schlein e ri-‘normalizzazione’ del PD da parte dei presidenti di regione, rende molto difficile immaginare una alleanza stabile con i 5S di Conte per la costruzione di un campo progressista. Insomma, la sopravvivenza della imponente carcassa politica del PD nel campo del centro sinistra rende di fatto impossibile la costruzione di una alternativa politica alla Meloni.









