
La manifestazione del Movimento 5 Stelle del 5 aprile scorso è stata un fatto molto positivo, perché ha dato voce all’opposizione alle “ragioni della guerra” che saturano il dibattito pubblico nell’Unione Europea. Tuttavia, non se ne possono ignorare alcune significative contraddizioni: la posizione di Conte a favore dell’esercito europeo è, in termini strategici, altrettanto pericolosa per la pace di quanto non sia il piano di riarmo “stato per stato” delineato dalla commissione von der Leyen.
La linea che un coerente movimento per la pace dovrebbe sostenere in questo momento è quella di un negoziato regionale sulla sicurezza collettiva, che copra l’Europa (intesa come continente, non come UE) e il Mediterraneo e includa tutti gli attori coinvolti, estromettendo gli Stati Uniti. Una proposta ardua da concretizzare (non più dell’esercito comune, in ogni caso), ma che rispecchia in modo non contraddittorio l’ambizione della prevenzione dei conflitti, che in questa fase sono originati dal rilancio egemonico degli Stati Uniti d’America in Eurasia.
L’ambiguità si manifestava già nel primo colpo d’occhio sulla piazza del M5S: le migliaia di bandiere che univano l’arcobaleno della pace e le dodici stelle in campo blu dell’UE, fatte stampare appositamente per l’occasione, ne erano una plastica rappresentazione. E qui gioverebbe ricordare Lenin, che nel 1915 già ammoniva: in regime capitalistico, gli Stati uniti d’Europa o sono impossibili, o sono imperialisti.
Per una corretta valutazione del quadro in cui ci muoviamo, occorre porsi una domanda preliminare: quale razionalità si può identificare nel piano di riarmo di Ursula von der Leyen? La risposta ci pare la seguente: aprire linee di credito che generino un movimento complessivo di capitali di almeno dieci volte quegli 800 miliardi di cui si parla, in modo da consentire un riarmo in tempi rapidi e su larga scala all’asse franco-tedesco. E con quale finalità? Ovviamente non quella di difendersi dalla Russia, che non ci invaderà mai e che, a distanza di oltre tre anni, non solo non è riuscita a realizzare del tutto nemmeno i suoi obiettivi minimi in Ucraina, ma cammin facendo ha perso praticamente tutta la sua influenza in Medio Oriente ed è stata potentemente ridimensionata, a beneficio principalmente degli USA, sia in Asia centrale che nel Mediterraneo. La razionalità del piano di riarmo europeo sta, appunto, nel permettere a tedeschi e francesi di rilanciarsi imperialisticamente, in termini competitivi, nelle regioni chiave per la spartizione del mondo tra potenze (a cominciare dal Medio Oriente, dall’Oceano indiano e dall’Africa), dove gli interessi europei sono messi in crisi dal rilancio americano sostenuto da India e Israele. Non a caso, Macron ha appena annunciato il riconoscimento francese dello Stato di Palestina: una politica di maggiore apertura al mondo arabo è un preludio necessario a un impegno ambizioso nella regione mediorientale, uno degli snodi strategici nelle rotte commerciali che collegano est e ovest dell’Eurasia.
Questo piano ha due nemici, essenzialmente: Stati Uniti e Russia. E ha un amico: la Cina, il cui progetto della Nuova Via della Seta è stato sostanzialmente strangolato dalle guerre in Ucraina e in Medio Oriente e dall’alleanza strategica tra gli Stati Uniti e l’India fascio-induista di Modi (altro che scontro tra blocco occidentale e BRICS, che esiste sono nella fantasia degli orfani della Guerra Fredda!).
Ma torniamo alla manifestazione del M5S. Un fatto positivo – dicevamo – nonostante le contraddizioni fin qui evidenziate, che ha avuto, tra l’altro, l’effetto di ravvivare i residui di quella che era la “sinistra di classe”, ormai ridotta un pulviscolo social di opinionisti. Con Rifondazione Comunista, l’unico soggetto avente ancora un minimo di struttura, ben visibile in corteo e in assoluto vantaggio nel capitalizzare il nuovo asse con Conte, mentre tutti gli altri si affrettano a guadagnare visibilità e contatti per accreditarsi presso il nuovo interlocutore. Non pare vero: dopo tante listarelle “unitarie” costruite per essere smantellate il giorno dopo le elezioni, dopo tante scorciatoie al consenso cercate e abbandonate, eccone una – di scorciatoia – che può davvero funzionare!
Non fraintendiamoci: il M5S è un interlocutore necessario, in questa fase, per tutto il progressismo italiano. In altra sede, sarà interessante analizzarne in altra sede l’evoluzione dalla prima fase “grillina”, marcatamente reazionaria e conclusasi per effetto dell’azione trasformativa condotta da Conte, a quella attuale.
Colpisce, però, un dettaglio. Tra meno di due mesi, nel nostro paese, si voterà per cinque referendum che sono l’ultimo appello per ricostruire un’identità di classe delle lavoratrici e dei lavoratori italiani. Ed è questo il punto strategico, perché proprio con il totale naufragio dell’identità di classe si spiega perché l’Italia è uno dei pochi paesi dell’occidente in cui fenomeni come l’opposizione al genocidio sionista in Palestina o la lotta contro la marea reazionaria e guerrafondaia non assumono nessun peso politico. In sintesi: non assumono peso politico perché sono fenomeni d’opinione che agiscono a livello puramente fenomenologico, superficiale, “d’opinione”, senza trovare appoggio strutturale in nessuna forza sociale.
Ecco: si guardino i siti internet dei principali partiti della “sinistra radicale”, delle testate informative “d’area”, ma anche le pagine social dei singoli militanti. M5S ovunque, qua e là qualche segno dell’infiltrazione del geopoliticismo che spalanca le porte all’estrema destra (spazio al vittimismo del nazi-golpista rumeno Georgescu in chiave anti-UE, ad esempio – come a dire: “per far dispetto al padrone, mi mozzo la mano destra”). Ma dei referendum quasi nessuna traccia. Una vera e propria diserzione collettiva.
Quale prova più evidente del trapasso intellettuale e morale di un’intera area?









