La rivoluzione che gli italiani dovranno compiere per tornare ad essere protagonisti nell’era post-covid
Per la nostra tribuna congressuale, una riflessione di Adamo Mastrangelo
Che strano paese che è l’Italia. Passiamo così velocemente, tra un’ondata e l’altra, da picchiare le pentole sui balconi al grido di “ce la faremo” fino a dimenticarci del problema sanitario per invocare l’apertura degli impianti sciistici. Passiamo in una frazione di secondo dagli spot pubblicitari sugli eroi nelle corsie degli ospedali a indignarci se quest’anno Natale non riusciremo a passarlo come un anno fa. Dal commuoverci per le bare anonime nei furgoni militari alla protesta per il veglione di Capodanno. Siamo un Paese strano, un Paese che a volte sembra un paese con la “p” minuscola, quelli di provincia buoni solo a far le feste patronali col santo in spalla. Siamo ad onor del vero la periferia della provincia, in un’Europa guidata dai Paesi con la “P” maiuscola siamo l’ultima ruota del carro, l’ultimo vagone merci del treno, l’ultima pecora del gregge. E in fondo ci va bene così, perché a noi italiani la responsabilità ci spaventa e al sacrificio siamo perlopiù abituati.
Ci ha emozionato far parte della schiera dei “balconisti” della prima ondata, tutti a cantare Volare di Modugno perfettamente puntuali alle ore quindici del sabato, che poi era uguale al martedì. Ci siamo sentiti uniti, come poche altre volte, in quella tragedia che era appena cominciata che ha scosso e sorpreso un po’ tutti, talmente da azzittire le polemiche politiche da quattro soldi dell’arena politica e giornalistica italiana. Per un po’ c’è stato rispetto, umiltà, attesa. L’angoscia era troppo forte per far tornare a galla la porcheria del giorno prima. È bastata però una vacanza di mezzo mese per farci ripiombare nell’indifferenza generalizzata, allo scandalo politico da spiccioli, all’ammazzarsi di bordate sui social e a essere tirati in mezzo tra mascherina-sì-mascherina-no, tra negazionisti e perbenisti. È bastato così poco per tornare ad essere perfetti italiani da cartolina, che hanno preferito avvinghiarsi nelle discoteche sarde, nelle spiagge salentine e negli aperitivi lombardi, senza il minimo senno e senza ricordare ciò che era stato già preventivamente data per certo, la seconda ondata.
Il vero problema, alla base di tutto, è l’educazione. Meglio, la non-educazione. Non è solo ciò che impari dal papà e dalla mamma quando ti sgridano e ti mettono in punizione (ammesso che esistano ancora genitori inclini allo scappellotto), ma l’educazione la impari anche a scuola, la impari anche dalla politica e dai giornali. La scuola (o meglio la non-scuola) è la principale causa del nostro essere perennemente l’ultima ruota del carro dell’Europa; è la non-scuola che non ci educa per capire che ci sono delle priorità (prima la salute e poi il divertimento); è la non-scuola che non ci insegna a scegliere tra la discoteca e la passeggiata all’aria aperta; è la non-scuola che ci avrebbe dovuto educare a ribellarci ai tagli alla Sanità, a non votare più certi schieramenti politici ad approfondire i motivi reali che ci fanno essere uno dei Paesi europei con più morti per covid. Ciò che non capiamo non ci indigna e ciò che non ci indigna ce lo teniamo (senza il diritto, poi però, di lamentarci che è sempre e solo la Germania a decidere per noi). La non-scuola, così come la non-politica, come il non-giornalismo fanno del nostro Stato un non-Stato e infine del nostro Paese un non-Paese.
Dovremmo essere fermamente convinti che questo non-Paese possa trasformarsi in un grande Paese, attraverso un sistema di educazione allo Stato, alla comunità e al sentirsi comunità, fuori o dentro l’Europa, ritrovando un più forte e rinnovato spirito di unità nazionale, basato sul rispetto reciproco e sull’educazione. Non esisterebbero allora le polemiche da bar in prima pagina nei quotidiani nazionali, né i finti giornalisti a condurre talkshow di dubbio gusto, né tantomeno la politica dello scaricabarile. Un grande Paese è fatto da un grande popolo, che soppianta e destituisce il non-popolo, un Popolo al quale non dispiace la responsabilità e che non accetta il sacrificio come abitudine imposta dalle classi industriali e finanziarie. Questo è il compito che attende le organizzazioni rivoluzionarie nell’era post-covid.