Il 12 dicembre sarà sciopero generale per salvare e cambiare l’Italia!

La proclamazione, da parte della CGIL, dello sciopero generale del 12 dicembre, rappresenta un momento fondamentale di mobilitazione democratica, resistenza e proposta sociale, che sosteniamo senza riserve.

Il Paese attraversa una crisi drammatica, segnata da crescita economica ferma, salari stagnanti e precarietà diffusa, mentre i servizi pubblici – che dovrebbero garantire uguaglianza e tutela dei diritti – sono in evidente sofferenza. Le politiche del governo di estrema destra di Giorgia Meloni aggravano questa condizione, aumentando il peso fiscale su lavoratori e pensionati.

La produzione industriale è in caduta libera, con perdite che minacciano l’occupazione e la capacità produttiva del Paese. Settori fondamentali come l’automotive, la metallurgia e il tessile, in particolare, registrano cali intorno al 10%. Gli ultimi dati confermano che ogni ripresa è fragile e insufficiente a invertire la tendenza strutturale: la crisi industriale continua a scaricarsi su lavoratrici e lavoratori, mentre profitti e rendite restano intatti. È chiaro che senza un piano straordinario di investimenti pubblici e sostegno al lavoro, il futuro produttivo dell’Italia è a rischio.

Al contrario, anche considerando l’impatto dell’inflazione, gli investimenti e le risorse per lo stato sociale sono in continua riduzione. La sanità pubblica vive una crisi profonda. La spesa sanitaria si appresta a scendere sotto il 6% del PIL, i bilanci regionali sono al limite e le liste d’attesa si allungano ovunque. Sempre più persone sono costrette a rinunciare a visite, esami e cure, o a rivolgersi al settore privato, dove la spesa complessiva supera ormai i 41 miliardi di euro l’anno. Assistiamo alla progressiva affermazione un modello che trasforma il diritto alla salute in un privilegio legato al reddito, minando uno dei pilastri della Costituzione repubblicana.

Lo stesso vale per la previdenza e i diritti del lavoro. La sostanziale cancellazione di ogni forma di flessibilità in uscita, cioè della possibilità per le lavoratrici e i lavoratori di accedere alla pensione prima dell’età anagrafica ordinaria in base agli anni di contributi versati, alla natura del lavoro o a situazioni personali particolari, rappresenta un passo indietro significativo. In un contesto segnato da salari fermi, inflazione e carichi di lavoro crescenti, questa scelta penalizza soprattutto chi svolge attività usuranti e chi ha già contribuito a lungo al sistema, aggravando le disuguaglianze generazionali e sociali.

Il Paese vive anche un profondo declino demografico, segnato da bassi salari, precarietà e da un’emigrazione giovanile crescente, con migliaia di giovani costretti a cercare all’estero opportunità e retribuzioni dignitose. Invece di affrontare questa crisi con misure inclusive e solidali, il governo alimenta una retorica discriminatoria e xenofoba contro i migranti, trattati come una minaccia anziché come una risorsa essenziale per la società e l’economia. Un Paese che respinge chi arriva e non trattiene chi parte è un Paese che rinuncia al proprio futuro.

In questo contesto, si consuma la più scellerata e criminale delle scelte, determinata dal servilismo senza limiti del governo Meloni nei confronti degli Stati Uniti, dal fascismo trumpiano e dei suoi alleati (a cominciare da Netanyahu): l’aumento della spesa militare, che salirà a 23 miliardi nel prossimo triennio. In un momento in cui scuole, ospedali e servizi sociali mancano di risorse, destinare miliardi alle armi significa derubare il Paese di risorse fondamentali per affrontare la crisi sociale, e mettere quelle stesse risorse a disposizione delle imprese criminali dell’imperialismo atlantico. Significa, anche, schierare l’Italia con il fronte di forze che, in un momento storico segnato da pericoli per la pace senza precedenti nel recente passato e da crimini spaventosi contro l’umanità, operano per la guerra e per lo smantellamento di ogni barlume di diritto internazionale e di mediazione multilaterale per la soluzione dei conflitti.

Per queste ragioni, sosteniamo una piattaforma che chiede di ridistribuire la ricchezza, rinnovare i contratti, bloccare l’innalzamento dell’età pensionabile e rilanciare la sanità pubblica e lo stato sociale. Le risorse devono essere reperite laddove si concentra la ricchezza — nei grandi profitti, negli extraprofitti, nelle rendite e nell’evasione fiscale — e non a scapito di chi lavora o di chi ha già dato tutto.

Lo sciopero del 12 dicembre rappresenta anche una scelta di difesa della democrazia costituzionale. Partecipare significa affermare che lavoro, pace, uguaglianza e giustizia sociale non sono principi astratti, ma l’unica risposta possibile al declino economico, demografico, morale e sociale del Paese.

Per un’Italia che metta al centro le persone, non i profitti; per un Paese che investa in salute, istruzione, sicurezza e dignità del lavoro, e non sulla guerra, il 12 dicembre saremo in piazza, insieme alle lavoratrici e ai lavoratori!

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