Il movimento notav, Dana Lauriola in carcere, la spirale repressiva nel torinese

Documento della Segreteria Centrale di Fronte Popolare

Nel febbraio del 2012 il movimento notav reagiva con determinazione, in solidarietà a Luca Abbà e contro lo sgombero dei terreni, liberando per alcuni (brevi) minuti i caselli di una delle autostrade più care di Italia, la Torino-Bardonecchia, con lo slogan ‘oggi paga Monti!’.

Otto anni dopo, a fronte di un ammanco dichiarato dalla società autostradale di 700 euro, vengono affibbiati 18 anni di carcere agli attivisti all’epoca denunciati. La cieca volontà da parte della procura di trasformare questa vicenda in una punizione esemplare era già emersa quando, il 30 dicembre scorso, Nicoletta Dosio, insegnante in pensione e storico volto del movimento notav, aveva rifiutato di richiedere gli arresti domiciliari ed era stata comunque tradotta in carcere.

La stessa violenta risolutezza repressiva è stata confermata un paio di giorni fa quando il tribunale ha confermato il carcere per Dana Lauriola, altro volto pubblico del movimento, che è stata condannata a due anni per la stessa vicenda. La procura ha rimandato al mittente la richiesta della compagna di scontare la pena ai domiciliari, adducendo come motivazione proprio il suo ruolo di ‘volto pubblico’ e il suo continuativo impegno in tutti questi anni sul fronte della lotta contro questa inutile e ingiusta opera.

A Dana Lauriola, a Nicoletta Dosio, e a tutte e tutti gli attivisti notav colpiti dalla repressione va la nostra sincera vicinanza. Il movimento notav ha dimostrato di avere radici profonde e salde tra i valligiani ed è stato in grado di sviluppare attorno a sé un ampio fronte di solidarietà. Basta ricordare che, quando gli agenti sono venuti a prelevare Nicoletta per tradurla in carcere, sono stati materialmente bloccati per più di due ore dai molti attivisti che presidiavano permanentemente la casa della compagna. Per questo motivo siamo convinti che, ancora una volta, il movimento notav sarà in grado di sparigliare le carte della repressione e mettere in difficoltà i grandi interessi che spingono per il tav.

Questo ulteriore gravissimo sviluppo nel teatro della lotta notav, che richiede la nostra più ferma solidarietà umana e disponibilità politica, fa parte di una strategia più ampia che sta investendo il territorio. La violenta determinazione con cui agiscono di concerto procura e questura torinese è il segno di un nuovo modo di fare politica da parte dei poteri della città. Una vera e propria svolta di paradigma che, in una situazione di debolezza soggettiva dell’ampio spettro di forze di alternativa presenti in città, vorrebbe definitivamente chiudere la partita di una trasformazione in senso pacificato della città.

È in questo quadro che bisogna leggere le ultime mosse della repressione, che ha subito un’accelerazione impressionante almeno dallo sgombero dell’Asilo occupato, un anno fa. Uno sgombero in grande stile che ha visto la mobilitazione di un vero e proprio esercito richiamato da tutta Italia e che si è protratto per diverse settimane con l’occupazione manu militari di un intero quartiere della città. Allo stesso modo, anche i fatti del 13 febbraio al Campus Einaudi confermano la terribile sinergia tra apparati polizieschi e procura. In quella giornata, la polizia in assetto anti sommossa ha inseguito, manganello in pugno, gli studenti antifascisti fino dentro i locali dell’università e, con il prono consenso del rettore, ha ottenuto lo sgombero di un’intera palazzina (dove si stavano svolgendo esami) per motivi di ‘ordine pubblico’. Per gli studenti erano allora scattate 19 denunce, accompagnate anch’esse da misure pesanti, ancorché solo cautelari. Tutte misure confermate, tra l’altro, in sede di primo riesame. Numerose studentesse e studenti, torinesi di nascita o residenti da molti anni in questa città, ancora oggi non possono avvicinarsi a Torino perché hanno ricevuto divieto di dimora.

Il ricorso all’allontanamento cautelare (prima della condanna) e alla detenzione in carcere (in sede di condanna) sta diventando sistematico. Nella città più sofferente del nord Italia, con un tasso di disoccupazione e inattività giovanile strabiliante, questa è la linea repressiva attraverso la quale si scongiura il rinfocolarsi della protesta sociale. Alla partecipazione attiva degli strati popolari si preferisce un loro definitivo annichilimento. Da una parte, tramite la valvola di sfogo delle urne che sta facendo slittare l’elettorato torinese sempre più a destra; dall’altra, tramite la distruzione mirata di qualsiasi proposta progressiva a opera degli apparati repressivi.

Senza nascondere difficoltà soggettive, una riflessione partecipata e plurale sul tema della repressione è oggi ancora più urgente. All’azione di isolamento e criminalizzazione politica che caratterizza questo cambio di paradigma si deve contrapporre uno sforzo collettivo di uscita dalla marginalità da parte delle forze progressive e rivoluzionarie della città.

È necessario uno sforzo, quanto più concertato, ampio e continuativo, per tornare a essere ascoltati tra le lavoratrici e i lavoratori che chiedono occupazione e tutele, tra le nuove generazioni che si mobilitano istintivamente sui temi dell’ambiente e dell’antirazzismo, tra gli strati più in sofferenza che ora languono nella desolazione delle periferie. Dobbiamo, insomma, tornare ad essere massa critica, o la repressione imbriglierà il tessuto sociale di questa città e di tutto il territorio in un silenzio assordante.

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