Sahra Wagenknecht: “La Germania nasconde l’ampiezza del dramma, la Cina mostra come funziona l’economia”

 

Come contributo all’analisi sulla crisi economica innescata in Europa dall’emergenza sanitaria, pubblichiamo la traduzione integrale di un articolo della dirigente della sinistra tedesca Sahra Wagenknecht, comparso su Focus Online con il titolo originale Deutschland verschleiert das wahre Drama – während China zeigt, wie Wirtschaft geht. Le posizioni espresse dall’autrice coincidono solo in parte con le nostre, ma riteniamo che il testo fornisca utili elementi d’informazione, valutazione e stimolo rispetto al quadro attuale.

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Le previsioni economiche delle ultime settimane sono state positive. Il governo tedesco è ottimista sul fatto che l’economia si riprenderà rapidamente dalla crisi del coronavirus. Ma non sarà così. Per una ripresa economica è necessaria una nuova politica industriale.

La situazione economica è peggiore di quanto suggerito da molti rapporti. Il presupposto più importante per il benessere in Germania, il nostro elevato valore aggiunto industriale, è in pericolo. Ma il governo federale guarda dall’altra parte, diffondendo un ottimismo infondato e sperperando miliardi in misure spesso inefficaci. Abbiamo finalmente bisogno di una politica industriale saggia e ben ponderata e di elevati investimenti per la modernizzazione delle nostre infrastrutture pubbliche.

La speranza “V”: una rapida ripresa economica?

Non è poi così male, l’economia tedesca sta recuperando più del previsto, siamo sulla strada giusta. Questo è stato il tenore delle previsioni di vari istituti economici nelle ultime settimane. Tutto è iniziato con lo stesso ministro dell’economia Altmaier, che, raggiante di gioia, il 1° settembre ha mostrato una “V” alle telecamere come simbolo di una rapida ripresa e ha rivisto al rialzo le previsioni economiche del governo federale.

Ha affermato che il fondo è stato raggiunto, che la crisi è stata molto meno tragica del previsto e che la ripresa è stata eccezionale. Il ministro dell’economia ha fatto riferimento al commercio al dettaglio, che sarebbe tornato a brillare; anche la produzione industriale sarebbe in ripresa e il commercio estero in aumento. E tutto questo, naturalmente, solo grazie alla buona politica del governo tedesco, come ha più volte sottolineato Altmaier.

Nel 2022 sarà “tutto di nuovo in ordine”?

La maggior parte degli istituti prevede attualmente un crollo economico di “solo” dal cinque al sei per cento nel 2020. Il prossimo anno dovrebbe portare un incremento di quasi lo stesso ordine di grandezza, in modo che al più tardi entro il 2022 tutto tornerà alla normalità. A differenza del governo tedesco, tuttavia, le previsioni della maggior parte degli istituti economici contengono informazioni ponderate, almeno scritte a caratteri piccoli. E ci sono buone ragioni per questo. In fin dei conti, la situazione sembra non essere così soddisfacente come i titoli delle ultime settimane vorrebbero farci credere.

È vero: la recessione economica del secondo trimestre non è stata così profonda come si temeva in origine, come ora sappiamo dai dati statistici. Ciò è dovuto principalmente alla forte ripresa subito dopo la revoca del lockdown. Dopo l’azzeramento delle vendite nei ristoranti o nei negozi di moda, ad esempio, ogni singolo cliente e acquirente significa una forte ripresa.

Per alcune industrie, i mesi estivi hanno poi portato una vera e propria rinascita, perché moltissime persone hanno trascorso le loro vacanze in Germania e hanno speso i loro soldi negli alberghi e nei ristoranti locali. È anche vero che la disoccupazione quest’anno è aumentata solo moderatamente. Il numero di fallimenti aziendali nella prima metà del 2020 è stato addirittura ai minimi storici.

Le apparenze ingannano: il dramma della crisi non è ancora visibile

Tuttavia, questi ultimi due fatti – il numero di disoccupati e il numero di fallimenti di imprese – non sono un segno di stabilità economica. Sono una diretta conseguenza di due misure adottate dal governo federale: un accesso più facile e più prolungato alle indennità per il lavoro a orario ridotto, che consentono alle aziende in difficoltà di mettere i propri dipendenti a lavorare a orario ridotto invece che farli diventare disoccupati, e la sospensione dell’obbligo di presentare istanza d’insolvenza in primavera, che consente ai titolari di aziende insolventi o eccessivamente indebitate di tenere per il momento riservata la loro situazione.

Alla luce del crollo economico senza precedenti di marzo/aprile, entrambe le misure sono state sensate, se non altro per ammortizzare la dinamica auto-rinforzante insita in ogni crisi. Ma entrambe le misure naturalmente significano anche che il vero dramma della crisi non è ancora visibile.

La disposizione speciale del diritto fallimentare scade parzialmente il 1° ottobre e per intero alla fine dell’anno. Quanto sarà grande l’ondata di fallimenti, che poi si propagherà, è attualmente difficile da valutare. Per calmare le acque, si fa spesso riferimento alla percentuale record di capitale proprio, di poco inferiore al 39%, raggiunta dalle piccole e medie imprese tedesche. Un’azienda con molto capitale proprio può ovviamente far fronte a pesanti perdite anche su un periodo di tempo più lungo.

Ma non è tutto a posto. In primo luogo, quel 39% è un valore medio. Ciò significa che ci sono anche molte aziende che dispongono di salvagente molto più piccoli e sono quindi più vulnerabili. In secondo luogo, la cifra proviene da un calcolo che si riferisce solo alle aziende con un fatturato annuo compreso tra i 20 e i 250 milioni di euro.

Hotel, ristoranti e l’industria dei viaggi e degli eventi sono a rischio

Le aziende più piccole spesso lavorano al limite anche in tempi normali e non hanno alcuna possibilità in caso di perdite importanti. E le piccole imprese sono particolarmente numerose in quei settori dell’economia che continuano a risentire pesantemente delle restrizioni legate al coronavirus o dei cambiamenti di comportamento dei consumatori: nell’industria dei viaggi e degli eventi, per esempio, o nel settore alberghiero e della ristorazione.

Non va sottovalutata l’importanza economica complessiva di questi settori, che rappresentano l’8% della ricchezza tedesca. I ristoranti e i caffè da soli danno lavoro a 775.000 persone, quasi altrettante che nell’industria automobilistica.

Innumerevoli piccoli negozi non se la stanno cavando meglio di molti pub, agenzie di viaggio e organizzatori di fiere, tantopiù che anche il commercio al dettaglio è complessivamente in crisi. Se il signor Altmaier avesse tenuto la sua conferenza stampa all’insegna dell’ottimismo solo un giorno dopo, gli sarebbe stato più difficile diffondere il buonumore.

Dopotutto, quello è stato il giorno in cui sono stati pubblicati i dati relativi al commercio al dettaglio del mese di luglio. E c’è stato un altro calo delle vendite dopo la ripresa di giugno.

Il che naturalmente significa anche che il taglio dell’IVA entrato in vigore il 1° luglio, con il quale il governo tedesco contava di rilanciare l’economia e per il quale, in fin dei conti, stava spendendo ben 20 miliardi di euro, si è rivelato un flop.

Guerra di sconti nel settore del commercio al dettaglio, un regalo da miliardi di euro per Amazon

Ciò non è per nulla sorprendente. In questo momento, i commercianti che se la passano male stanno comunque combattendo la guerra degli sconti e abbassando i prezzi. I fornitori online come Amazon, invece, per i quali l’intera crisi costituisce un regalo da un miliardo di euro, hanno incassato anche il generoso dono di Scholz (ministro delle finanze del governo di Angela Merkel e candidato del Partito socialdemocratico alla cancelleria in vista delle elezioni che si terranno nel 2021, NdT).

La scarsa propensione all’acquisto ha comunque altre cause. Tra queste ci sono soprattutto l’insicurezza e le paure per il futuro: chi teme per il proprio lavoro preferisce per il momento risparmiare il proprio denaro. Un ulteriore fattore è il calo effettivo del potere d’acquisto di molte persone: dopo tutto, i salari reali sono diminuiti del 4,8 per cento in primavera e quelli dei lavoratori a basso reddito addirittura del 9%. 

Se, invece dell’insensata riduzione dell’IVA, 20 milioni di famiglie che soffrono di perdite legate al coronavirus avessero ricevuto un assegno al consumo di 1000 euro ciascuna, un assegno che non potesse essere utilizzato per gli acquisti online e con scadenza il 31 dicembre, questo non solo avrebbe certamente aiutato molti, ma avrebbe anche fornito un vero e proprio stimolo economico nei settori che ne hanno urgente bisogno.

Carenza di nuovi ordini nel settore industriale

I dati economici di luglio hanno però smorzato l’ottimismo non solo per quanto riguarda il commercio al dettaglio. Ciò che pesa ancora di più è che nel mese di luglio gli ordini in entrata nell’industria non sono aumentati quasi per niente. E questo con un valore di partenza inferiore del 7% rispetto al livello dell’anno precedente. Senza il commercio estero, anche qui ci sarebbe stato un nuovo declino. Questo perché gli ordini nazionali nell’industria tedesca sono già diminuiti del 10,2% rispetto a giugno.

Questi dati dimostrano quanto siamo lontani da una vera ripresa. Il sospetto che “le speranze di una rapida ripresa possano essere premature” è stato espresso anche dagli esperti del DIHK (associazione padronale tedesca, NdT).

Tanto più che dietro ai “Paesi stranieri”, che attualmente stanno spingendo l’economia tedesca verso l’alto, c’è di fatto un Paese in particolare. Perché molti dei nostri partner commerciali si trovano in una situazione economica ancora peggiore della nostra. Le cifre del contagio, di nuovo in aumento, e le nuove restrizioni difficilmente miglioreranno la situazione.

Non c’è quindi da aspettarsi che spagnoli o americani provino un desiderio incontenibile per le macchine e le auto tedesche nei prossimi mesi. E se si dovesse realizzare una Hard Brexit, ciò significherebbe ulteriori crolli in un mercato importante.

“Il mercato cinese è l’unico in attivo”

Quest’anno, probabilmente una sola tra le economie maggiori crescerà in modo significativo: la Cina. E il commercio con la Cina è attualmente l’unico che cresce davvero. Il “paese di mezzo” è il principale responsabile di gran parte dell’aumento della domanda estera di beni industriali tedeschi. La quota della Cina nelle vendite mondiali delle case automobilistiche tedesche è salita dal 33 al 51%.

Ma per quanto l’economia cinese possa essere solida, le relazioni commerciali con il Paese dell’Asia orientale sono fragili. Ci sono dei pericoli, soprattutto se l’Europa non riuscirà a rendersi indipendente dalle guerre economiche americane. Dopotutto, queste non riguardano solo progetti tedesco-russi come Nordstream II, ma anche sempre più aziende cinesi.

Il fornitore di telecomunicazioni Huawei e la piattaforma video TikTok sono due esempi attuali. Le preoccupazioni di sicurezza sollevate in merito al flusso di dati in uscita e allo spionaggio non possono certamente essere ignorate, ma d’altra parte, naturalmente, esse investono in egual misura le aziende digitali americane. Inoltre, ci sono sempre più prodotti cinesi la cui importazione sarebbe quindi da riconsiderare.

La dipendenza dalla Cina è una seria preoccupazione…

Perché ci stiamo dirigendo verso un’economia in cui – se a ciò non si darà infine una risposta a livello politico – presto ogni spazzolino da denti e ogni giocattolo per bambini trasmetterà i dati personali ai server dei produttori. Eventuali restrizioni commerciali imposte dall’UE porteranno a loro volta a contromisure cinesi. Dobbiamo quindi preoccuparci seriamente se le prospettive delle nostre aziende industriali dipendono in primo luogo dall’ancora di salvezza cinese.

In breve: l’industria tedesca, che già prima del coronavirus era in una fase di tangibile recessione, non sta andando bene. La produzione attuale è dell’11,6% inferiore al livello dell’anno precedente e addirittura del 16,6% rispetto al livello che avevamo all’inizio del 2018.

Ciò che viene minacciosamente evidenziato in queste cifre non è effetto della crisi del coronavirus. Si tratta invece di un problema strutturale che è stato esacerbato dall’attuale crisi economica globale, ma non è affatto innescato da essa. Purtroppo, il fatto che molte aziende industriali stiano ora pianificando licenziamenti di massa, nonostante il prolungamento dell’indennità di lavoro a orario ridotto fino alla fine del prossimo anno, è un dato di fatto.

L’industria automobilistica elabora piani drastici di riduzione dei costi

Ci sono piani di risparmio particolarmente drastici nell’industria automobilistica. BMW taglierà 6000 posti di lavoro e non prorogherà i contratti di 10.000 lavoratori a tempo determinato. Il produttore di autocarri e autobus MAN vuole tagliare quasi un posto di lavoro su cinque in Germania. Alla Daimler sono in pericolo oltre 15.000 posti di lavoro, 4000 solo a Stoccarda-Untertürkheim. La situazione presso i fornitori è altrettanto deprimente. Schaeffler annuncia che saranno tagliati 4400 posti di lavoro – soprattutto in Germania. ZF prevede di tagliare fino a 15.000 posti di lavoro nei prossimi anni, la metà dei quali in Germania. Continental sta ora mettendo in discussione 30.000 posti di lavoro in tutto il mondo, 13.000 dei quali in Germania.

Il processo va avanti da molto tempo, anche se in molti casi senza licenziamenti. Nella prima metà del 2020, a esempio, sono improvvisamente scomparsi 32.000 posti di lavoro nel settore dell’ingegneria meccanica. E già nel 2019 c’è stata una notevole riduzione dell’occupazione nell’industria manifatturiera. Questa tendenza minacciosa potrebbe ora accelerare in modo drastico. IG Metall teme che nel prossimo futuro potrebbero andare persi 300.000 posti di lavoro solo nell’industria metallurgica ed elettronica tedesca.

La deindustrializzazione porta con sé la povertà

Ma i posti di lavoro nell’industria non sono posti di lavoro qualsiasi. Sono per lo più ben pagati e sono tra i pochi posti di lavoro rimasti che permettono anche a chi non è laureato di avere una vita dignitosa. Chi perde il lavoro nell’industria, spesso si ritrova con lavori di servizio mal pagati che non offrono né sicurezza né uno standard di vita accettabile.

Alla fine, è l’insediamento di solide aziende industriali a far la differenza tra una regione prospera e una povera e isolata. Ciò che la deindustrializzazione devastante lascia dietro di sé si può osservare in alcune zone della Germania orientale o anche nel Nordreno-Vestfalia. Il quadro diventa ancora più impressionante quando si visitano le ex aree industriali nel nord dell’Inghilterra, in Italia o nella Rust Belt americana.

Che l’economia tedesca sia finora andata meglio di quella di molti paesi europei confinanti, è dovuto principalmente al fatto che la quota di valore aggiunto industriale nel nostro paese è notevolmente più elevata.

“Convenienza irresponsabile”: l’industria automobilistica si basa sui successi del passato

È proprio questo vantaggio, la nostra componente industriale, che è ora minacciato. E il coronavirus non è il motivo decisivo. Piuttosto, esso risiede nell’irresponsabile compiacimento di gran parte dell’industria automobilistica a riposare sugli allori e sui successi del passato. I problemi sono esacerbati dall’imitazione delle pratiche di gestione anglosassoni, secondo le quali i profitti vengono utilizzati meglio nel riacquisto di azioni e nel pagamento di dividendi che in investimenti orientati a lungo termine e in attività di ricerca.

Pure nella primavera di quest’anno, durante il crollo più profondo che l’economia tedesca abbia mai visto dalla Seconda guerra mondiale, i dividendi sono diminuiti solo in minima parte. Anche aziende che sono nei guai fino al collo preferiscono viziare ancora una volta i loro investitori piuttosto che usare i loro soldi per arginare la marea del declino.

Ma c’è anche una causa politica alla base di tutta questa miseria: la completa sottovalutazione del problema da parte del governo tedesco, che preferisce spendere miliardi per misure più o meno inefficaci invece di elaborare finalmente una politica industriale ben ponderata.

Compito del governo federale: una politica industriale ben ponderata

Questo significa in primo luogo non lasciare più marcire le infrastrutture pubbliche in Germania. Naturalmente, nessuna azienda si stabilirà in regioni dove non esiste una buona rete per le comunicazioni, né Internet veloce, né buoni collegamenti di trasporto.

In secondo luogo, ci sarebbe bisogno di un finanziamento pubblico completo per la ricerca, compreso il sostegno alle giovani imprese nei settori delle nuove tecnologie con un capitale “paziente”, cioè un capitale che non prema per una rapida quotazione sui mercati. Su questo punto, c’è qualcosa da imparare sia dalla Cina che da programmi come il DARPA negli Stati Uniti, anche se quest’agenzia era principalmente militare e ha ormai esaurito il suo periodo migliore.

Inoltre, abbiamo urgente bisogno di un concetto coerente per una svolta nella mobilità, che lo Stato e l’industria dovrebbero sviluppare insieme, perché non è solo una questione di ricerca e produzione, ma anche d’infrastrutture disponibili. Al contrario, inseguire l’ultima moda e proteggere per anni le case automobilistiche da rigorosi standard di emissione, per poi finire a sovvenzionare disperatamente la vendita di auto elettriche e allo stesso tempo portare Tesla in Germania, non solo non è una strategia coerente, ma è tutto il contrario.

È interessante il fatto che uno dei pionieri degli automezzi elettrici e ibridi, la casa automobilistica giapponese Toyota, stia ora utilizzando la tecnologia dell’idrogeno per gamme più ampie. Ma ha anche alle spalle un governo che da decenni fa politica industriale e che ha già varato una strategia nazionale per l’idrogeno nel 2017.

Non chiudere gli occhi di fronte alla crisi, prendere la Cina come modello di riferimento

Sì, è possibile che il futuro sia altrove. E c’è molto che suggerisce che i combustori a basso consumo sarebbero inizialmente un’importante soluzione provvisoria. In altre parole, l’auto da 2 litri o 1 litro, che è già stata costruita, ma non è mai stata sviluppata fino alla maturità del mercato. In ogni caso, è certo che non funzionerà senza una strategia globale, un sostegno politico e un’elevata spesa per la ricerca.

Per inciso, il fatto che la Cina sia l’unica grande economia a crescere quest’anno ha una causa centrale: una politica industriale determinata e massicci investimenti statali. Invece di continuare a chiudere un occhio sul reale dramma della crisi, il ministro dell’economia e l’intero governo federale dovrebbero rifletterci su.

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