Didattica a distanza, lezioni online, esami online, abbandono scolastico. Costretti dal Covid-19, 3.700.000 studenti delle scuole superiori vivono quotidianamente queste parole anche nel 2021. Sembra infatti non intravedersi uno spiraglio per la riapertura degli istituti scolastici, con tutte le conseguenze nefaste sulla dispersione degli alunni, sull’apprendimento e sul non vivere la socialità, come sottolineato in un recentissimo report di Ipsos ripreso da Save The Children.
34.000 alunni delle superiori che rischiano di non finire l’anno ma potrebbero essere molti di più dato che il 28% degli intervistati in quell’indagine dichiara che almeno uno dei loro compagni non frequenta più le lezioni online. La Dad ha ripercussioni negative anche sulla qualità della vita scolastica. Come si legge nell’articolo dell’Huffington Post: “quattro studenti su dieci bocciano la didattica a distanza, il 78% degli intervistati considera più difficile concentrarsi davanti a uno schermo che in aula e il 50% pensa che con questa modalità sia più difficile rispettare il programma.” Non solo: “Quasi quattro studenti su dieci dichiarano di avere avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare (37%). Gli adolescenti dicono di sentirsi stanchi (31%), incerti (17%), preoccupati (17%), irritabili (16%), ansiosi (15%), disorientati (14%), nervosi (14%), apatici (13%), scoraggiati (13%)”. Una generazione che rischia di finire dallo psicologo.
Nel caso specifico i dati sulla dispersione scolastica, cioè quel fenomeno per il quale non si finisce il percorso formativo obbligatorio, sono già elevati: nell’anno 2016-2017, 120.000 ragazzi non hanno proseguito gli studi in prevalenza al Sud Italia. Percentuali pessime mettono il nostro Paese dietro la lavagna europea (immagine tratta da lenius.it, dati riferiti al 2018) :

La Dad ha anche evidenziato sempre più il classismo tecnologico, con mancanza di dotazioni informatiche tra famiglie. Risulta infatti che il 12,3% tra i 6 e i 17 anni, circa 850 mila giovanissimi, non ha né pc né tablet. Il 45,4% ha comunque difficoltà con la didattica a distanza, in quanto magari sono presenti più utenti della Dad contemporaneamente ma vi è solo un computer.
Nell’agosto del 2020 è stato firmato un protocollo tra il Ministero dell’Istruzione e le Associazioni dei Pedagogisti in cui si legge chiaramente come tra i compiti ci sia anche la “lo studio la ricerca e l’applicazione di metodologie e buone pratiche per sostenere i processi di apprendimento, ridurre e prevenire i fenomeni della dispersione scolastica, del bullismo e del cyber-bullismo, della violenza, del disagio giovanile, delle difficoltà specifiche nell’apprendimento e delle problematiche comportamentali”. Può essere sufficiente? No.
In termini pratici si dovrebbe agire con interventi educativi ideati in collaborazione tra insegnanti ed altri soggetti presenti nella scuola, volti a coinvolgere e integrare gli studenti più a rischio di abbandono. A tal fine può essere utile la stabilizzazione e l’internalizzazione della figura dell’educatore professionale che a tutt’oggi è vittima di precarietà e insicurezza lavorativa.
Qualcuno tempo fa disse che con la cultura non ci si mangia. In un mondo globalizzato e in cui la competizione non è più solo con la regione vicina ma con Nazioni lontane migliaia di chilometri, la cultura e la formazione sono al contrario fondamentali. Le competenze derivate dall’insegnamento sono necessarie per trovare lavoro e vivere. Colpire l’istruzione, che genera soft skills e hard skills, per salvare oggi i saldi, domani gli investimenti nelle armi, dopodomani ancora chi lo sa, cosa comporta? Rovinare una generazione che conseguenze ha? Forse quella di ritrovarsi non cittadini pensanti ma poveri sudditi?
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