Operatori sociali: due testimonianze da un settore troppo spesso trascurato

Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un pezzo di riflessione sul mondo del lavoro cosiddetto sociale e dei lavoratori che lo popolano. L’obiettivo era quello di inquadrare gli aspetti fondamentali del problema e stimolare un approfondimento sul tema. D’altronde, forse anche un po’ per senso comune, nel sociale chiaramente si palesa la contraddizione tra utilità sociale del lavoro e profitto capitalista.

Con molto piacere, quindi, riceviamo e pubblichiamo i seguenti due interventi di due lavoratori del sociale. Il primo, quello di Dario, fornisce ulteriori elementi per orientarsi quando ci si confronta con i bisogni e i ruoli di una figura, quella di ‘educatore’, che tende a sfuggire ad una definizione chiara. Il lavoro di ‘mappatura’ che suggerisce Dario è, ovviamente, centrale. Il secondo contributo, quello di Francesco, scende nella concretezza delle rivendicazioni (una specie di ‘programma minimo’ del mondo del lavoro sociale), molte delle quali erano forse rimaste più all’oscuro nel nostro intervento, più incentrato sull’educare a scuola. Rivendicazioni che ci sembra debbano essere sostenute e fatte conoscere a chiunque lavori nel sociale.

Questo inizio dialogo ci sembra molto importante perché riflette lo spirito e l’impegno di continua ricerca e analisi che miriamo a tenere su ogni tema, a scanso di rigidità teoriche e settarismi. Questo perché, come diceva Togliatti, se l’analisi è sbagliata, lo sarà anche l’orientamento politico. Ringraziamo calorosamente Dario e Francesco per i loro contributi e invitiamo chiunque lavori nel sociale a tenere vivo questo spazio di dibattito!

Dario ci scrive:

Nel tentativo di individuare quali o quante siano le difficoltà, anche su livelli diversi, che oggi gli educatori incontrano nel proprio lavoro, si può cadere nel rischio di non riuscire ad orientarsi. Quasi come un esploratore che senza gli strumenti adatti (una mappa, una bussola, un gps…) catapultato su una isola inesplorata rischia di perdersi, così anche noi nella maggior parte delle volte ci sentiamo.
Occorrono dunque linee guida orientative, non solo per chi (come me) ha scelto un certo tipo di professione, ma anche per chi sta “fuori dal cerchio”.
Avere questo tipo di “mappatura” come base su cui orientarsi (esperimento tra l’altro già sondato in passato su categorie di lavoratori di diverso tipo) potrebbe servire per diversi aspetti. Si tratterebbe per lo più di dare risposte a domande base, giusto per sbrogliare un poco quella grande matassa che oggi appare il mondo dell’educativa. Con un semplice esempio, chiarificatore del fatto che stiamo parlando realmente di una matassa, potrei affermare che nel senso comune, se stiamo pensando ad un “elettricista” come categoria, tutti noi sappiamo in assoluto dire che cosa sia. Che poi egli lavori in ambito civile o industriale, riusciamo comunque a prefigurarcelo a livello di astrazione: il primo lavora negli alloggi, il secondo nelle fabbriche.
Ma se stessimo pensando ad un “educatore” come categoria, potremmo essere ugualmente in grado di dare una risposta sul che cosa sia? In quali ambiti lavori? Ecco allora uno dei nostri “punti cardinali” chiarificatori. Saper riconoscere ed identificare un elettricista da un educatore potrebbe apparire scontato, ma ugualmente molto utile, anche perché intanto faremmo rientrare le due categorie nel macro-gruppo dei “professionisti” o delle “professioni”. In altri termini, dei “lavoratori” o dei “lavori”. E di certo non è poco, dato che la categoria degli educatori soffre ancora molto proprio perché si è professionalizzata recentemente, e spesso viene ancora scambiata per “passione”, “volontariato”, “filantropia”. (Ed ecco individuata, grazie al nostro primo punto cardinale, una delle difficoltà della professione).
Anche gli ambiti poi, complicano enormemente la matassa: si passa dall’ambito sanitario a quello scolastico, dalla struttura (comunità o centro diurno) all’educativa territoriale, dall’ambito riabilitativo a quello terapeutico, dai minori agli adulti, dal lavoro con le abilità a quello con le disabilità, dal lavoro con i settori pubblici a quello privato. E in ognuno di questi ambiti, il contesto si specifica poi in modo diverso, di conseguenza la modalità d’intervento. E spesso anche lo stipendio.

Iniziare a cercare delle risposte, anche solo parziali rispetto a quello che è il nostro ambito lavorativo, per quanto faticoso sarebbe un importante aspetto di connessione nel tentativo di costruire questa mappa. Rispetto a quali fini? Sicuramente un riconoscimento più ampio di quello che viene dato oggi.

Francesco ci scrive:

Ho provato a buttare giù alcuni argomenti su cui sarebbe importante soffermarsi.

-Vi sono servizi che lavorano alcuni mesi l’anno, gli operatori che vi lavorano o non prendono lo stipendio per i mesi che non lavorano o, nel caso in cui la cooperativa ha altri servizi, viene dirottato li. L’esempio classico è la scuola, ma anche servizi semi residenziali come i centri diurni per minori, disabili, tossici etc. Chiaramente si chiede una continuità di lavoro, laddove non ci sia e salario per tutto l’anno per gli operatori

-Notti passive. Nelle strutture residenziali, come la mia, le notti sono considerate, per legge, passive cioè viene riconosciuta una semplice e ridicola indennità di 1,47 euro! Non in tutte le comunità è cosi, vi è una differenziazione a seconda della tipologia ma la stragrande maggioranza è così.

– Annessa vi è la questione reperibilità, cioè la chiamata notturna in caso di necessità. Per legge la reperibilità in sé non è pagata, solamente nel caso in cui scattasse. Puoi immaginare l’ansia di metterti a dormire con il cellulare acceso nell’attesa di una possibile chiamata.

-Educare non significa sorvegliare ma progettare con e per l’utente attraverso verifiche, riunioni di equipe, formazione che solitamente non sono retribuite.

– Banca ore. Le ore in più che facciamo non vengono pagate ma vanno in banca ore e poi chissà quando recuperate.

– L’utilizzo della propria auto spesso non viene riconosciuta, e laddove lo sia viene riconosciuto solo il rimborso benzina senza tenere conto dell’usura della macchina

-Legge Iori, in vigore dall’1/1/2018 scarica sugli operatori il costo della riqualifica professionale senza garantire alcun reale riconoscimento. Qui si collega il discorso dell’albo Professionale a cui gli Educatori Professionali sono stati obbligati ad iscriversi al costo di 350 euro più il rinnovo annuale che varia dai 75 ai 150 euro a seconda del dipartimento in cui sei iscritto. A questi costi si aggiungono quelli della formazione. Per legge l’iscrizione all’albo obbliga al conseguimento di 150 crediti in un lasso di tempo triennale. Oltre ad essere tanti sono anche costosi. L’albo ai lavoratori non ha portato nessun aumento economico nello stipendio. Per farci ingoiare la pillola ci hanno dato una tantum lo scorso anno di 300 euro

– d.d.l. Lorenzin frammenta ulteriormente il percorso formativo, negli ultimi 20 anni vi è stata un’esplosione di corsi di laurea diversi ma volti tutti a lavorare nel sociale per cui adesso non si capisce chi può fare cosa. Questo ddl ha cercato di dare un ordine cercando di restringere tutto in 2 tronconi, 1 educatore professionale, il mio, che può lavorare in ambito sanitario e uno psico-pedagogico che può lavorare in ambito sociale.

Ovviamente tutti i lavoratori più anziani hanno dovuto pagare di tasca propria per mettersi in regola

– Come puoi immaginare è un lavoro usurante, lavorare con soggetti fragili è stancante e stressante. Una recente ricerca fa emergere come gli operatori sociali siano la categoria più soggetta ad essere colpita da infarti. Essendo però ancora una professione “giovane” tale ricerca non è “degna” di attendibilità.

Per cui vorremmo essere considerati lavoro usurante e poter andare prima in pensione!!!!

Vi è infine una questione più larga, a livello di società in cui viviamo. Il disagio sta aumentando tantissimo, i numeri che snocciolate nel comunicato sono alti ma sarebbe interessante sottolineare l’aumento enorme che c’è stato negli ultimi 15 anni, specialmente per quanto riguarda i minori. A quest’ondata non siamo pronti, le risorse messe in campo dallo Stato sono esigue (lo dite anche voi), la scuola, così com’è, è antiquata e quindi non è pronta e manca totalmente una progettazione facendo gravare tutto sulle spalle degli educatori rimasti gli unici baluardi.

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