Nell’ambito della nostra campagna “25 Aprile 2020 – Mai così uniti“, pubblichiamo il messaggio di auguri per il 75° della Liberazione inviatoci dal compagno Aymeric Monville a nome del Polo di Rinascita Comunista in Francia.
Fino al 25 Aprile pubblicheremo ogni giorno messaggi da ogni parte del mondo.
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Per l’Italia di cui abbiamo bisogno
Il 25 Aprile segna la vittoria delle forze antifasciste e l’avvio del secondo Rinascimento dell’Italia, quel periodo compreso tra il dopoguerra e l’entrata nella cosiddetta globalizzazione che ha significato l’avvio della distruzione del vostro tessuto economico nell’ambito dell’Unione Europea.
Non è possibile pensare a quel periodo senza evocare il ruolo importantissimo del Partito comunista italiano nel quadro della definizione di una democrazia nazionale capace di sviluppare tutte le potenzialità di una cultura e una civiltà straordinarie. Quel partito, quando era forte – lo vediamo bene oggi – assumeva il ruolo di un vero baluardo a difesa del popolo italiano, fatto ben avvertito allora da Pasolini quando parlava di un paese pulito in un paese sporco. È pensando a ciò che rivolgo i miei fraterni saluti e auguri alle italiane, agli italiani e alla loro avanguardia militante.
Tutti in Francia abbiamo visto, nel momento più duro della crisi sanitaria, la gente d’Italia cantare insieme da balcone a balcone. Questa volontà di vivere, espressa dal grande paese dell’arte lirica, rinnovata con naturalezza, con l’arte della « sprezzatura », di una grazia di maniera, ci ha dato veramente forza. Ci ricorda che sempre, nelle grandi catastrofi, il popolo italiano sa trovare in sé la forza di resistere al peso delle forze oscurantiste, la Controriforma, la mafia, il fascismo. E che resisterà, ne sono sicuro, anche alle minacce di oggi, minacce non lievi ma che intervengono in un contesto di opportunità e contraddizioni del sistema.
Perché tutti abbiamo capito che solo il socialismo può dare una risposta adeguata alla crisi di oggi.
La fine di questa forma di globalizzazione, il ritorno molto probabile delle nazioni in quanto forma legittima, quadro dell’esercizio della democrazia, è l’occasione di sviluppare un inter-nazionalismo correttamente inteso, di ritrovarci, italiani e francesi, di lavorare insieme più strettamente. Per fare un esempio, dal momento in cui siamo stati costretti a imparare una parodia d’inglese, è sembrato che non valesse più la pena di ascoltare la lingua degli altri e, al di là di essa, la « forma mentis » degli altri. Basti paragonare la situazione attuale a quella di quando i film francesi, fino agli anni ottanta o novanta, venivano girati partendo dal presupposto che un francese potesse capire un italiano e viceversa, perché c’è tra di noi almeno quello che i linguisti chiamano una competenza. La cultura italiana, qui da noi, era molto più rappresentata allora, prima della famigerata globalizzazione liberista.
Oggi, questa globalizzazione dei potenti offre veramente uno spettacolo pietoso. Il governo ceco ruba le mascherine destinate all’Italia. Alcuni tedeschi sputano addosso ai francesi che in questi giorni si avventurano al di là della frontiera per lavorare. Un aereo cinese pieno di mascherine atterra sulla pista dell’aeroporto di Marsiglia e il carico viene subito comprato a due volte il suo prezzo dagli statunitensi, che sono, a quanto dicono, nostri alleati. Davvero non mi sento molto a mio agio sotto l’ombrello della NATO, come sotto quello di questa dis-unione europea. È forse venuto il tempo di sviluppare nuovi legami con altri paesi (Cuba, Venezuela, Cina, Russia). E non parlo di adottarne i modelli (non esistono modelli, solo vie diverse e democratiche al socialismo: è il retaggio del pensiero di Togliatti e di Thorez che abbiamo in comune), ma di cogliere l’occasione di scoprire nuovi modi di vivere.
Certo, le misure di “distanziamento sociale” dal sapore medioevale sono purtroppo necessarie in questo contesto sciagurato di tagli drastici dei fondi per la sanità perché, senza di esse, gli ospedali sarebbero collassati. Ma esse non rappresentano una soluzione definitiva.
La soluzione sono i tamponi di massa, le mascherine per tutti, la presa in carico dell’insieme dell’apparato sanitario da parte del popolo italiano e il ritorno alla nazionalizzazione dei settori vitali dell’economia, nel pieno rispetto alla vostra costituzione «fondata sul lavoro», o per dirla con le parole del programma del nostro Consiglio nazionale della resistenza, l’impostazione «del mondo del lavoro al centro della vita politica».
Il fatto che l’Italia sia stata per un certo periodo il paese più colpito dal virus, obbligato a confinarsi, a farsi dimenticare, ci ha addolorati.
Perché si tratta di un paese in cui è forte il senso della politica, della vita civile vissuta pienamente nel «foro», al centro della città, dell’arte di vivere.
Questo fa parte della nostra cultura anche in Francia, fa parte di noi e fa parte anche di ciò che per noi è difficile capire, toccare, ma che forse intuiamo quando proviamo a comprendere la cultura italiana.
Mi riferisco a quel senso della fugace bellezza, della differenza, da voi ben percepita a partire dal Rinascimento, tra la bellezza formale e la vaghezza, «una certa venustà, dolcezza e leggiadria» come si diceva del Parmigiano, questo senso di una certa sensualità, «discioltura», che sarà più tardi ripreso in mano dalla chiesa col concetto religioso di «grazia», concetto imperfetto che non traduce il fatto che si tratta invece di qualcosa di umano, che è attinto a un modello umanistico, uno spazio creato dall’uomo, dall’uomo solo, a partire dalla natura ma per la forza della cultura, per vivere una vita decente.
Ritrovare questo spazio di respiro e di azione, alla fine del periodo di quarantena, ritrovare lo spazio politico, ritrovare la «virtù» machiavelliana dell’uomo intero, necessaria per salvare una nazione: ecco quello che l’Italia saprà senz’altro fare. Ed è l’Italia di cui abbiamo bisogno.
Dunque viva il 25 Aprile, viva l’Italia che amiamo!