Le fiamme di Moria bruciano anche in Italia. Unità di classe in Europa e internazionalismo sono l’unica risposta!

Documento della Segreteria Centrale di Fronte Popolare

Si trovava sull’isola di Lesbo, in Grecia, ed è stato per anni uno dei campi profughi più vasti e contestati a causa delle condizioni disumane in cui le persone erano costrette a vivere ammassate per periodi di tempo indeterminati, dopo avere già affrontato interminabili (e, ancora, disumani) viaggi per raggiungere le porte dell’Europa: il campo di Moria è andato a fuoco nella notte del 9 settembre per ragioni da chiarire, oltre 12mila persone (la capienza del campo sarebbe di circa 3000) ora si trovano in fuga senza riparo e tra loro anche numerose persone che erano risultate positive al Covid-19.

Questa gravissima situazione riaccende i riflettori, che lo si voglia o meno, su numerosi problemi: il problema di fronteggiare le vere cause per cui milioni di persone, ogni giorno, abbandonano i propri Paesi e fuggono altrove per salvarsi o semplicemente provare a sopravvivere; il problema delle vite di queste persone, ignorate, sfruttate, emarginate, strumentalizzate dalla propaganda politica dei nostri civilissimi Paesi; il problema di garantire loro quantomeno la tutela della salute; il problema del diffondersi incontrollato del coronavirus che miete vittime soprattutto tra chi vive in condizioni di precarietà economica e sociale; il problema della messa in sicurezza anche della salute dei cittadini dei Paesi ospitanti; il problema delle condizioni in cui versano i campi e i centri di accoglienza dei profughi in Europa, e dunque il problema delle strumentalizzazioni politiche dei governi; il problema delle pesantissime responsabilità che ha l’Unione Europea rispetto a questa situazione e le migliaia e migliaia di morti che di fatto pesano come un macigno che si finge di non vedere sul blasonato miraggio europeista sempre più insostenibile.

Pesa infatti enormemente quel cinismo e il freddo calcolo con cui le istituzioni europee hanno da sempre trattato il tema dell’immigrazione e dell’asilo, con particolare riguardo al regolamento di Dublino, mai modificato, e quell’accordo con la Turchia volto a impedire, a qualsiasi costo, l’arrivo indiscriminato di persone in Europa. Pesano e bruciano sulla pelle di queste persone i giochini e i ricatti tra Erdogan e l’Europa, quelle frontiere che si “minaccia” di aprire o si barricano con polizia e fili spinati, impedendo con la violenza alle persone di muoversi liberamente nel mondo e financo di vivere, e poco importa quanti individui e quanti bambini (sì, bambini) siano morti di freddo, di fame, di malattie, o uccisi tentando di raggiungere qualcuno o qualcosa che desse loro una speranza di una vita migliore. Pesa la brutalità con cui la polizia di tutta Europa ha trattato e tratta ancora questa gente, col beneplacito dei governi e degli “accordi” presi da lorsignori.

Ben 6 miliardi di euro vennero versati nel 2016 dall’UE affinché la Turchia sorvegliasse la frontiera con la Grecia e ammassasse, letteralmente, in strutture indecenti milioni di profughi provenienti dalla Siria in fiamme o da altri Paesi asiatici e africani, piagati da guerre, alluvioni, fame, terrorismo eccetera. Sei miliardi per impedire alle persone di spostarsi liberamente, di chiedere asilo, di raggiungere familiari in Europa, di lavorare…sei miliardi per consentire ai manganelli di spaccare liberamente le ossa a chiunque osasse attentare, con la sola propria esistenza, all’effimera comodità degli allori sui cui poggia l’UE.

D’altra parte in Italia dovremmo saperlo bene giacché anche qui, nelle nostre acque, nelle nostre strade, il dramma si è consumato nella sostanziale indifferenza. A onor del vero, relativamente alle condizioni di accoglienza, l’Italia può quantomeno vantare una situazione meno drammatica rispetto alle condizioni tragiche in cui versava Moria e tutti i campi di detenzione profughi esistenti alle porte orientali dell’Europa, ove si vive ammassati ed in condizioni igienico-sanitarie pessime, oltre che reclusi e sotto sorveglianza spesso violenta delle autorità. Per quanto sia comunque gravemente insufficiente e restino inquietanti ombre circa la condizione vissuta dai migranti soprattutto nei Centri per il rimpatrio, in Italia esiste da tempo un sistema di ripartizione diffuso sul territorio che dovrebbe consentire di evitare condizioni di eccessivo sovraffollamento e, di conseguenza, di sostanziale invivibilità delle persone nei centri. Con la situazione data dal coronavirus e l’inadeguatezza che ancora affligge il sistema di accoglienza italiano, chiaramente la situazione non può assolutamente dirsi esente da criticità anche perché, di fatto, non è possibile risalire ad un monitoraggio effettivo della condizione sanitaria all’interno dei centri, soprattutto in casi di sovraffollamento come accade negli hotspot.

Restano insomma insolute tutte le principali problematiche connesse alla condizione che vivono i migranti, dalle condizioni di accoglienza alle procedure previste in materia di asilo e immigrazione su cui i recenti governi, in sostanziale continuità tra loro nonostante le sbandierate differenze reciproche, non sono affatto intervenuti se non in termini sempre peggiorativi: dall’ormai remota legge Bossi-Fini, sino ai più recenti decreti di Minniti a Salvini, una parabola discendente e desolante ha relegato gli immigrati a esseri umani di serie B colpevoli di essere tali (e per questo perseguibili in quanto “clandestini”), sfruttati fino alla morte nei campi e nelle aziende piccole e grandi del Paese, fatti oggetto di propaganda politica, di violenze e di razzismo, intrappolati per giorni e giorni su navi cui si nega l’autorizzazione di attraccare, imbrigliati in un sistema di leggi che rende loro sempre più impossibile il fatto di costruirsi il diritto di restare.

Dall’attuale ministra dell’interno Lamorgese, nonostante abbia iniziato il proprio mandato da ben un anno e nonostante il proclamato “cambio di passo” rispetto al predecessore Salvini che ne hanno accompagnato la nomina, non è sopraggiunto alcunché che desse nei fatti concretezza ad un approccio politico meno brutale di quello leghista sul tema dei migranti. Il che è tanto più grave quanto più si considera che l’incedere della pandemia da coronavirus innesca una bomba ad orologeria pronta a esploderci in faccia, così come sono divampate le fiamme nel campo di Moria.

Per tutte queste ragioni, il rogo di Moria è questione che ci riguarda direttamente. Il supporto alle compagne e ai compagni greci, ai partiti, alle associazioni, ai sindacati che si sono battuti e si battono contro inferni come quello di Lesbo non è sufficiente. E non è sufficiente nemmeno concentrarsi sulla grave situazione di casa nostra. Occorre integrare le lotte, su questo come su altri fronti, e rispondere all’Europa degli sfruttatori e dei carnefici con l’unità e l’azione politica e sociale condivisa e coordinata delle classi lavoratrici d’Europa e delle loro organizzazioni, nel quadro di un internazionalismo attivo e operante che permetta un approccio globale e d’avanguardia alle atrocità che si consumano nel mondo e di cui la questione migratoria, le sue radici e conseguenze sono un elemento centrale. Su questa via siamo e saremo sempre più attivamente impegnati.

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