Fronte Popolare ha da poco compiuto cinque anni. Cinque anni intensi, segnati dall’attivismo e da una profonda convinzione condivisa. Abbiamo creato la nostra organizzazione come una trincea di resistenza, come testimonianza di una concezione alta della militanza, come il nostro contributo possibile a pensare, praticare e conquistare rapporti sociali nuovi e liberi. Da marxiste e marxisti, in questi cinque anni abbiamo esplorato la società italiana del nostro tempo e abbiamo fatto del nostro lavoro politico lo strumento tramite il quale acquisire elementi per far più profonda la nostra comprensione del mondo e della fase storica in cui viviamo, nella tensione costante a capire con quali strumenti e per quali vie perseguire la trasformazione socialista.
I risultati conseguiti in questi anni hanno reso giustizia al nostro impegno. Oggi Fronte Popolare è un’organizzazione solida e in crescita, riconosciuta e rispettata a livello internazionale come tra le forze della sinistra di classe italiana. Il nostro spirito unitario, mai venuto meno, ci ha permesso di essere tra i promotori del Coordinamento per l’unità d’azione delle sinistre d’opposizione, della cui importanza strategica siamo più che mai convinti. La sottoscrizione della Piattaforma 30 Luglio con il Partito Comunista Italiano, che delinea un orizzonte e una prassi unitaria dalle caratteristiche inedite, rappresenta il compimento dell’obiettivo fondamentale che ci eravamo dati in occasione del Primo Congresso: la creazione di un polo per la costruzione della soggettività rivoluzionaria, capace di dar vita a un processo dialettico vero e all’altezza dei cambiamenti profondi in atto a livello mondiale come nel nostro Paese.
Naturalmente la nostra tensione unitaria non può fermarsi ai risultati fin qui ottenuti, che per quanto impensabili potessero apparire nel 2015 non rappresentano altro se non una premessa per affrontare le questioni di fondo cui abbiamo l’obbligo di dar risposta.
Le questioni che ci accingiamo a porci sono vaste e profonde. Esse procedono dall’interpretazione della situazione internazionale, del carattere dei suoi attori e delle sue prospettive, per investire i temi largamente insoluti del rapporto tra individuo, condizioni esistenziali, comprensione di sé e partecipazione alle dinamiche collettive. In questo nostro tempo, dominato dalla dogmatica della “fine della Storia” e dalle pesanti conseguenze che la sua imposizione produce innanzitutto sul tessuto morale del nostro vivere collettivo, ma anche sullo sviluppo della personalità umana e sulla disposizione di ciascuna e ciascuno ad assumere su di sé parte del fardello di costruire il cambiamento possibile dello stato presente delle cose, torna a imporsi con prepotenza la questione gramsciana di che rapporto il movimento rivoluzionario debba avere con l’eredità delle tappe precedenti della liberazione umana, che fino alla situazione attuale ci hanno condotti. Il tema della “rivoluzione in occidente” rappresenta più che mai lo spartiacque tra la sterile enunciazione di aspirazioni, la meccanica riproposizione di soluzioni pensate per altre epoche e capaci di fornire l’illusione dell’appartenenza a dinamiche ormai esaurite, e dall’altra parte l’azione rivoluzionaria reale, che non cessa mai di prosi il dilemma del “che fare?”, elaborando e sperimentando soluzioni creative sulla base di un solido ancoraggio metodologico alla dialettica e di un’incessante elaborazione dell’esperienza e della novità.
Un punto dirimente su cui intendiamo concentrarci è certamente quella che definiamo la “rivoluzione passiva europea”. Si tratta forse del nodo politico più importante da sciogliere, per essere avanguardia nell’Italia e nell’Europa di oggi. Certamente, esso rappresenta uno dei fattori fondamentali di mutamento degli equilibri internazionali e una forma inedita di risposta alla competizione tra imperialismi. I pesanti, ripetuti rovesci sofferti dalle sinistre nel nostro continente, il progressivo scivolamento nella rassegnazione delle classi popolari, il loro essere facile preda delle pulsioni più reazionarie, sono elementi che parlano di un processo di trasformazione dall’alto, pensato e praticato dal capitale monopolistico europeo e incarnato innanzitutto dai trattati e dalle istituzioni dell’UE, cui l’intero campo della sinistra di classe non ha saputo opporre non solo una risposta adeguata, ma nemmeno un adeguato livello di comprensione della posta in gioco.
Mentre il mercato comune del lavoro, delle merci e dei capitali disgrega a livello strutturale le comunità nazionali, aizza i diversi settori delle classi lavoratrici gli uni contro gli altri in una competizione tesa al massacro, diffonde la confusione e lo sconcerto, le istituzioni politiche della “costruzione europea” si appropriano della bandiera del “progresso” e della “libertà”, deviando e pervertendo aspirazioni che non possono che essere integralmente nostre e riducendo ad arte ogni antagonismo alla paura dell’avvenire, alle mitologie antimoderne, al culto reazionario e vuoto del passato e di malintese “tradizioni”.
A un livello immediato, la rivoluzione passiva europea ci pone il problema di come costruire una solidarietà di classe da nord a sud, tra lavoratrici e lavoratori nativi e migranti, capace di agire lo spazio residuo della politica e di servire da base per dar vita a una soggettività pienamente nazionale. Il tema dell’unità di classe s’intreccia qui con quello della reinterpretazione dell’uguaglianza formale tra tutte le donne e gli uomini, dunque anche della “cittadinanza”, che è eredità delle rivoluzioni borghesi, contro gli attacchi liquidatori da parte del capitale finanziario. Come conseguire un simile risultato, che deve manifestarsi evidentemente sul piano delle relazioni sovrastrutturali, quando a livello strutturale, dei “rapporti necessari”, il “mercato di riferimento” non è più nazionale ma continentale? In altri termini, come essere politicamente “nazionali” quando le diverse aree geografiche del paese sperimentano condizioni materiali completamente diverse tra loro, in funzione della loro collocazione nelle catene europee del valore e all’interno di una divisione del lavoro che non si attua più su scala nazionale, ma entro un mercato continentale che rappresenta la base per l’edificazione della nuova superpotenza europea?
Ci pare evidente che a questi quesiti non si possa rispondere se non prendendo le mosse dall’inadeguatezza delle forme residuali dell’internazionalismo del XX secolo, la cui stanca ripetizione relega forze politiche che si vorrebbero “d’avanguardia” a un livello d’interazione tra loro, d’integrazione delle loro lotte, troppo inferiore alla qualità e all’intensità dell’integrazione messa in campo dalle classi dominanti.
Da una prospettiva italiana, questo nuovo internazionalismo deve per noi dare soluzione a due compiti immediati: delineare una risposta politica e organizzativa, indipendente in termini di classe e non burocratica, alla sfida lanciata dalla costruzione europea ultraimperialista, e collocare questa risposta nel contesto di una capacità d’interazione funzionale con tutta la sinistra di classe attiva nell’area atlantica, ossia nell’area in cui si concentrano gli imperialismi tuttora dominanti, ma che è anche segnata da una comunione storica e culturale la piena presa d’atto della quale rappresenta una condizione imprescindibile per porsi il problema della rivoluzione in occidente oggi. Il tutto nel quadro di un’attiva e concreta connessione con le lotte di liberazione del resto del mondo, cui è doveroso tornare a fornire il contributo di una lotta per il socialismo che venga declinata nelle condizioni concrete – economiche, sociali, politiche e culturali – dell’occidente e possa quindi non solo avere reali ambizioni di successo, ma nel frattempo anche alterare l’equilibrio del potere in seno alle società occidentali e indebolire la carica aggressiva con cui l’imperialismo che esse esprimono agisce nei confronti del resto del mondo. A ciò lavoriamo da tempo e speriamo ora di poter fare un salto qualitativo.
Ci apprestiamo dunque a definire in modo nuovo la nostra identità comunista, saldamente ancorata alla lezione di Marx, Lenin e Gramsci. Ciò significa anche, per noi, dotarci degli strumenti per apprendere da altre tradizioni di pensiero – ad esempio il socialismo democratico anticapitalista, l’ecosocialismo, il femminismo intersezionale – senza perdere noi stessi, ma al contrario diventando sempre più coscienti di chi siamo e di dove vogliamo andare.
Nel corso della discussione interna che stiamo intraprendendo e che si concluderà all’inizio dell’estate 2021 con un Secondo Congresso che sarà un nuovo inizio per Fronte Popolare, metteremo in discussione noi stessi in profondità. Condivideremo la nostra discussione con tutti i nostri interlocutori e speriamo di riuscire a interloquire con forze e sensibilità nuove.
Nella sinistra comunista italiana, il tema del cambiamento è spesso vissuto con giustificata diffidenza. Ciò perché sin dalla svolta della Bolognina, esso ha celato la tensione opportunistica delle esperienze storiche del movimento all’integrazione nello stato di cose presente, con i risultati ben noti. Questa diffidenza, pur giustificata, in particolare nell’ultimo decennio ha causato un inaridimento della ricerca nelle nostre organizzazioni politiche, aprendo un varco all’imporsi della mitizzazione del passato del movimento e a una mistica del “ritorno ai fondamentali” che fa integralmente parte della sconfitta con cui oggi ci tocca fare i conti.
Le compagne e i compagni di Fronte Popolare non temono equivoci, perché i nostri cinque anni di storia e di lotte non lasciano spazio ad ambiguità su chi siamo e cosa vogliamo. Intendiamo cambiare per dotarci degli strumenti indispensabili alla lotta rivoluzionaria nel nostro tempo e intendiamo mettere quel cambiamento a disposizione di tutte e tutti coloro che vorranno approfondirne le ragioni con noi.
Così come non è finita la Storia dell’umanità, non è finito nemmeno il percorso di trasformazione continua attraverso il quale il movimento di coloro che lottano per il socialismo si pone all’altezza della propria funzione storica. Di quel percorso, con rinnovata intensità e con la passione di sempre, intendiamo continuare a essere parte propositiva.
Questo è il senso del cambiamento al quale ci accingiamo.
La segreteria centrale di Fronte Popolare