Lo sciopero del 13 novembre degli operatori sociali: una lotta di tutte e tutti, per la giustizia e l’uguaglianza!

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge[…] È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana…” Belle parole quelle della nostra Costituzione. Belle parole che trovano concretezza? No. Testimone ne è lo sciopero degli operatori sociali del 13 novembre indetto dalla Rete Intersindacale Nazionale Operatori e Operatrici Sociali e alcuni sindacati di base. Vittime di salari da fame, cottimo e una miriade di contratti precari, richiedono stabilità lavorativa ed economica e l’internalizzazione di un servizio che serve proprio a rimuovere quegli ostacoli di cui si parlava sopra.

Chi sono gli operatori sociali? Sono un esercito di persone che affianca e collabora con gli assistenti sociali (circa 44.000). Sono coloro che si impegnano attivamente a rimuovere quegli ostacoli nelle scuole, nei centri diurni, in quelli di aggregazione giovanile, le strutture per anziani, in tutte quelle realtà in cui i si trovano i cittadini che necessitano di quel servizio. In Italia solo nelle scuole si contano circa 270.000 studenti che hanno bisogno dell’insegnante di sostegno mentre in generale le persone con disabilità motoria o intellettiva sono più di 4 milioni.

Lavoratori sottoposti al cottimo dalle cooperative (se non lavorano non vengono pagati). Lavoratori sottoposti a condizioni disagevoli anche in termini di sicurezza, non solo legata al pericolo del contagio da Covid 19 ma anche agli ambienti di lavoro insicuri e alla presenza di rappresentanti per la sicurezza (RSPP) inefficaci.

Nell’ambito dell’istruzione operano gli addetti alla comunicazione. Rappresentano il caso emblematico di come la nostra Costituzione venga disattesa tramite il ricorso all’esternalizzazione e agli appalti di un servizio fondamentale. Comunicare è fondamentale per la crescita dell’essere umano: quanto può essere difficile per un bambino sordo o cieco interagire con gli altri alunni? Capire e comprendere ciò che viene detto a lezione? Ebbene loro lavorano proprio perché avvenga la comprensione e la possibilità di vivere normalmente il rapporto con gli altri soggetti della scuola. Come si legge in un rapporto del Centro Studi Erickson, punto di riferimento per gli addetti ai lavori, del settembre 2020:

“La legge 104/92 ha istituito, ai fini dell’integrazione scolastica degli alunni con disabilità, la figura dell’assistente all’autonomia e la comunicazione con la funzione di supportare l’alunno nelle aree relative all’autonomia personale e scolastica, alla mediazione comunicativa e alla socializzazione.

La gestione di questo servizio così cruciale, che si affianca a quello degli insegnanti di sostegno e curriculari nelle classi, è stata affidata agli Enti Locali (che hanno delegato al compito il privato sociale) e non al Ministero dell’istruzione, relegandola ad un ruolo «esterno» all’Istituzione scolastica di cui pure fa parte a pieno titolo.”

Tuttavia con il Covid e la didattica a distanza il servizio è stato, in molte scuole, brutalmente tagliato:

“Nel grande sconvolgimento vissuto dalla scuola italiana a seguito della disposizione sanitaria di chiusura a causa della pandemia da Covid-19, il servizio di assistenza all’autonomia e alla comunicazione è, formalmente, sparito dalla scuola. La DaD ha creato un divario significativo nell’accesso al diritto all’istruzione/educazione fra bambini «normodotati» e bambini con disabilità. A cui si aggiunge il primo dato significativo della ricerca: solo il 14,5% degli Enti Locali d’Italia non ha sospeso il servizio fin dal primo giorno. Il 21,4% l’ha riattivato dopo un mese, l’11,6% dopo due mesi, a una manciata di giorni dalla fine dell’anno scolastico; nel 52,1% dei Comuni italiani è stato, semplicemente, annullato. Di fatto, si è violato il diritto all’istruzione dei bambini con disabilità così come previsto dal Pei, in cui viene quantificata e certificata a norma di legge la quantificazione delle ore di assistenza assegnate.”

Perché questi lavoratori sono l’esempio della macelleria sociale e del disagio che comportano privatizzazioni, esternalizzazioni di servizi essenziali, fenomeno che va avanti in tutti i settori?

“Gli assistenti all’autonomia e alla comunicazione non hanno sindacati rappresentativi, non hanno associazioni che parlino di loro con una sola voce, non sono lavoratori pubblici e quindi, sostanzialmente sono dei perfetti sconosciuti agli occhi dei mass media e persino delle testate specialistiche che si occupano di scuola, in quanto, appunto «esterni».”

Perfetti sconosciuti ma essenziali.

La precarietà, l’orario di lavoro infinito (come i protagonisti del film “La classe operaia va in Paradiso”: “noi entriamo qui dentro di giorno quando è buio ed usciamo di sera quando è buio”) i salari solo per 9 mesi all’anno (per chi si occupa di scuola soprattutto), l’assenza di controllo dello Stato sull’operato delle cooperative. La follia degli appalti al ribasso che cancellano diritti e salari adeguati. Ingredienti che denigrano il ruolo dello Stato nel concretizzare le parole del suo documento fondativo annichilendo la parità di tutti i cittadini ed esseri umani e che in parte portano al fenomeno sempre più diffuso del burnout, condizionando di fatto sia la vita lavorativa che privata dei lavoratori.

Le rivendicazioni alla base dello sciopero del 13 novembre sono quindi:

  • Costruire un processo di re-internalizzazione dei Servizi socioeducativi e sociosanitari e dei lavoratori/lavoratrici per una gestione pubblica e non appaltata.
  • Superare la frammentazione contrattuale per l’unificazione in un unico contratto di categoriaa livello del pubblico impiego.
  • 100% della retribuzione anche in caso di sospensione, rimodulazione dei Servizi, didattica a distanza e utilizzo degli ammortizzatori sociali;
  • Il pieno riconoscimento come attori importanti nella costruzione di ponti e progetti di autonomia ed emancipazione, personale e sociale, a partire dai soggetti più fragili; portare avanti una reale ricomposizione di categoria e unificazione delle figure professionali a partire dal ruolo sociale e lavorativo svolto;
  • Difendere il diritto alla salute e alla sicurezza all’interno dei Servizi, per utenti e operatrici/operatori; investimenti sulla manutenzione delle strutture e delle scuole; adeguatezza degli strumenti di lavoro, dei protocolli e dispositivi di protezione.

Per vincere questa battaglia bisogna che anche le famiglie si uniscano ai lavoratori, perché anche loro sono vittime di una situazione in cui lo Stato italiano emargina ulteriormente le persone disabili impedendo di fatto il loro riconoscimento come cittadini e come persone, privatizzando e precarizzando un servizio che rimuove “gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e la uguaglianza dei cittadini, impediscano il pieno sviluppo della persona umana”.

***

FONTI:

https://frontepopolare.net/2020/03/21/cittadini-di-serie-a-e-di-serie-b-uno-sguardo-sugli-operatori-sociali-e-sui-loro-assistiti/

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