In memoria di Carla Fracci, con gratitudine per aver vissuto l’arte come impegno, lavoro, rapporto

Carla Fracci è morta e difficilmente l’Italia, nel prossimo futuro, sarà in grado di offrire al mondo un’altra ballerina come lei. Si badi: non perché non sia pensabile avere altre ballerine così straordinariamente brave, ma per un motivo che non riguarda le danzatrici delle più giovani generazioni, o qualunque altra categoria di artiste o artisti. Per un motivo che riguarda tutte e tutti noi, la nostra società e la sua capacità di concepirsi coma qualcosa di più di una volgare sommatoria d’individui educati a bastonate a macerare in una solitudine dalle mendaci coloriture finto-aristocratiche.

Carla Fracci apparteneva a una generazione che è stata in parte e per lungo tempo emancipata dalla servitù nei confronti dell’odiosa categoria del genio, che rappresenta la vera e propria pietra tombale su ogni forma di espressione artistica.

La celebrazione del genio, del talento per il talento, della capacità tecnica, svuota l’espressione artistica di qualunque significato. Idealmente, rinchiude le artiste e gli artisti in una scatola di cristallo: il pubblico può vederli, ma essi gli rimangono astratti, irraggiungibili, incomprensibili.

C’è stato un tempo in cui tante e tanti, in Italia, pensavano e agivano le arti in modo diverso e antagonistico: come ricerca, lavoro e, soprattutto, rapporto, significante. Era il tempo in cui la nostra società maturava consapevolezza di sé come un insieme organico, dialettico. Il tempo in cui si abbracciava il conflitto come fattore essenziale della vitalità del nostro essere popolo. Il tempo in cui si cercava e si attribuiva un significato sociale, condivisibile e condiviso per tutto. Il tempo in cui, non a caso, le forze politiche del progresso perseguivano l’egemonia e influivano in modo determinante su ogni aspetto della vita nazionale.

Carla Fracci, la ballerina assoluta che rivendicava il suo volere stare anche fuori dalle “scatole dorate” dei teatri, il suo voler ballare ovunque, per tutte e per tutti. Carla Fracci, l’artista che si schierava con le lavoratrici e i lavoratori in sciopero, che rivendicava il suo essere figlia delle classi lavoratrici, che manifestava e praticava il suo antifascismo. Carla Fracci incarnava, viveva questa concezione dell’arte come rapporto, come impegno, come lavoro offerto alla crescita, al progresso di tutte e tutti, individualmente e collettivamente, da perseguire quotidianamente e con sacrificio.

Poi venivano il talento e la tecnica, certamente immensi, ma relegati alla loro giusta funzione strumentale. Mai come celebrazione di una propria, deteriormente individualistica irraggiungibilità.

Il ricordo di questa grande artista, il lutto per la sua scomparsa, devono quindi diventare occasione di riflessione su ciascuna e ciascuno di noi, sui nostri doveri verso noi stessi e gli altri, sull’urgenza di aprire in Italia una fase nuova di recuperata consapevolezza del nostro essere insieme, costruttori di un’identità culturale collettiva senza la quale si scivola nei chiaroscuri storici che generano i mostri.

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