La notizia, appena battuta, è d’inaudita gravità: salta la proroga del blocco dei licenziamenti fino al 28 agosto per le grandi imprese, contro la quale hanno alzato le barricate Confindustria e la Lega di Salvini. Come palliativo, viene invece confermata la possibilità per le imprese di utilizzare la cassa integrazione ordinaria, dal primo luglio, senza dover pagare le addizionali fino alla fine del 2021, con la condizionale dell’impegno a non licenziare per tutto il periodo di fruizione.
In altre parole, vince la linea di quelli per cui lavoratrici e lavoratori sono carne da macello, sacrificabile sull’altare dell’incombente dramma sociale innescato dalla pandemia. La parte dell’orco la fa la Lega, che vi si presta ben volentieri: una lezione di più per quanti hanno trascorso la fine degli anni 2010 a vaneggiare sul carattere sociale del salvinismo, a dispetto di tutte le evidenze.
Il ministro del lavoro Orlando, e dietro di lui il Partito Democratico, fanno spallucce e puntano l’indice contro l’ingombrante alleato di governo, affannandosi ad assolvere Draghi: “Lega e Confindustria hanno alzato le barricate e Draghi si è trovato a fare una sintesi. Nessun inganno ma sono amareggiato”, commenta Orlando, della cui ostentata amarezza francamente non importa nulla a nessuno.
Mentre il ministro gioca la carta dei presunti sentimenti feriti, dal Nazzareno badano al sodo e si affrettano a sottolineare di non sentirsi politicamente sconfitti: il decreto Sostegni bis, dicono, “conferma l’impostazione data dal ministro Orlando con una serie di opzioni a disposizione delle aziende, alternative ai licenziamenti”. E hanno ragione, perché un colpo inferto agli interessi più vitali di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori, su cui incombe lo spettro della disoccupazione, non preoccuperà certo più di tanto il partito del Jobs Act.
CGIL, CISL e UIL, in una nota, definiscono “inaccettabile e socialmente pericolosa la posizione della Confindustria che si ostina a rifiutare la proroga del blocco dei licenziamenti in questa fase, tanto più alla luce dei finanziamenti di carattere sia generale sia specifici, destinati alle aziende e mai selettivi”. Ma il tempo delle dichiarazioni di principio è finito e tutte le organizzazioni sindacali sono chiamate alla responsabilità nei confronti di coloro che si suppone debbano rappresentare.
Noi di Fronte Popolare abbiamo le idee chiare: fino a quando a pesare sarà solo la voce del padrone, non ci si può attendere nulla di diverso. Fino a quando le lavoratrici e i lavoratori organizzati non si riprenderanno il protagonismo che spetta di diritto a chi manda avanti il Paese, i loro bisogni e interessi non potranno che essere calpestati ancora e ancora.
Non c’è che una risposta: sciopero generale! E chi si sottrae rende fin troppo chiaro da che parte sta.