Nell’analizzare l’elezione del Presidente della Repubblica, i media hanno dato soprattutto risalto ai suoi considerevoli effettisul sistema dei partiti. Questo di certo è vero. A destra, continua la crisi del primato politico della Lega e del ruolo di Salvini. Parte degli eletti leghisti è ormai stabilmente in orbita Meloni, la quale intanto dichiara morta la coalizione di centrodestra e minaccia di correre separata alle prossime elezioni politiche, costretta tuttavia a fare i conti con il rischio concreto di trovarsi isolata e tagliata fuori dalla competizione per il governo. Nel campo del centrosinistra, il Movimento 5 Stelle non potrà evitare ancora a lungo una resa dei conti interna e chiunque ne esca vincitore rischi di trovarsi tra le mani ben poco da offrire ai soci di maggioranza del PD. Proprio questi ultimi, a completare il quadro come dagli spalti di uno stadio, hanno scompostamente esultato al superamento del quorum. A quanto pare Letta vorrebbe camuffare da grande strategia una palese scelta conservativa : prenderà in giro pochi. Sullo sfondo, una strisciante operazione neo-centrista a garanzia di nuovi equilibri, che si vorrebbe costruire nel quadro della cosiddetta “unità nazionale” a sostegno del governo Draghi: un’operazione che trova i propri agenti in tutti i principali partiti (da Giorgetti a Di Maio) e rispetto alle forme e agli esiti della quale molto si deciderà nei pochi mesi che ci separano dalla fine della legislatura.
Tra le ragioni del convergere di numerosi parlamentari sul nome di Mattarella, ha certamente trovato posto anche il feroce spirito di sopravvivenza che anima molti di loro. Sabato sera, centinaia di onorevolissimi sollievi si sono alzati dagli spalti della Camera: la fine della legislatura, e quindi il vitalizio, sono ormai dietro l’angolo. (Non bisogna scordare che molti di questi opportunisti non avranno più speranze di essere eletti con i numeri ristretti del nuovo Parlamento).
Seppure con tutta la deferenza che si tributa ai fiduciari dei cosiddetti “poteri forti” , alcuni commentatori hanno fatto notare che anche Draghi andrebbe annoverato tra gli sconfitti di questa vicenda. È infatti indubbio che l’ex banchiere abbia lavorato per settimane in maniera molto attiva per traslocare in Quirinale fin da subito. Una finestra di opportunità si potrebbe riaprire entro la fine del settennato bis (soprattutto in caso di dimissioni anticipate di Mattarella), ma in questo senso bisognerà tenere in considerazione l’incerta evoluzione del quadro politico. Quello che è certo è che il duo Mattarella-Draghi lavorerà senza sosta, durante i prossimi mesi, per garantire la buona attuazione dell’enorme piano messo a bilancio dall’Europa, che continua a piè sospinto il suo cammino di integrazione egemonica. Né può sfuggire che la loro opera non potrà che essere agevolata dall’ulteriore indebolimento dei partiti e dei loro gruppi dirigenti, che offre un nuovo contributo alla sistematica delegittimazione delle forme della partecipazione delle cittadine e dei cittadini alla vita politica, da sempre tra le priorità dei gruppi dominanti della società e della casta tecnocratica al loro servizio.
Ma l’elemento più preoccupante e politicamente centrale che rileviamo, e che i media tacciono, è un altro. La rielezione di Mattarella a Presidente della Repubblica, la seconda dopo quella di Napolitano, conferma la pericolosa tendenza verso lo snaturamento dell’attuale assetto costituzionale del nostro Paese. Una qualche forma di semi-presidenzialismo, da sempre tra gli obiettivi di quei settori che si prodigano per lo svuotamento e lo snaturamento del nostro modello di democrazia parlamentare, è ormai un obiettivo concreto che le classi dirigenti possono mettere in agenda.
Mattarella già in passato ha dato prova di essere in grado di operare colpi di mano antidemocratici. Come nel caso del suo veto nei confronti di Savona, proposto come Ministro dell’economia al momento della formazione del governo M5S-Lega nel 2018 e rigettato per le sue parole di critica all’Unione Europea. In un panorama internazionale sempre più precario, Mattarella è anche colui che immagina un allargamento della Nato e dell’Unione Europea a tutti i Balcani, teatro che conosce bene per la sua entusiasta partecipazione alla guerra in Kosovo come Vicepresidente del Consiglio e Ministro della Difesa dei governi presieduti a fine anni ‘90 da Massimo D’Alema.
Insomma, la perdita di credibilità dei partiti e il futuro Parlamento ridotto di un terzo dei componenti favoriscono l’indipendenza e la capacità di manovra del Mattarella bis. La sinistra di classe, e con essa tutte le forze politiche e sociali autenticamente progressiste e democratiche, hanno il dovere di condurre una riflessione profonda e articolata sulle forme e le priorità da perseguire per una rigenerazione del tessuto democratico e della partecipazione popolare, di realizzare su quella riflessione la più ampia partecipazione e di indicare al paese una via percorribile per costruire nuove forme di antagonismo e indicare loro sbocchi di azione praticabili per una concreta e completa affermazione di sé. All’adempimento di questa vitale priorità, cui non si potrà far fronte se non con la più ampia unità, Fronte Popolare è pronto a offrire il proprio contributo.