Coronavirus nelle carceri: il decreto “Cura Italia” segna un piccolo passo nella giusta direzione

Nelle scorse settimane, in molti istituti carcerari si sono registrate sommosse causate dal diffondersi della paura del contagio da coronavirus nelle condizioni di sovraffollamento in cui essi versano. L’eccessivo ricorso a pene detentive per reati lievi e a scarso grado di pericolosità sociale che ha caratterizzato gli ultimi decenni, nella situazione di emergenza prodotta dalla diffusione dell’epidemia ha trasformato i penitenziari italiani in potenziali bombe a orologeria la cui esplosione sarebbe disastrosa per l’intera società.

Sulla base di queste valutazioni, nella dichiarazione congiunta con il PCI e “La Città Futura” dello scorso 12 marzo abbiamo preso sulla questione una posizione chiara in favore di provvedimenti che destinassero a pene alternative alla carcerazione “le detenute e i detenuti con condanne lievi e un basso livello di pericolosità sociale”. Lo abbiamo fatto con convinzione, in difesa della salute non solo delle detenute e dei detenuti, ma di tutte e tutti noi.

Con il decreto “Cura Italia”, il governo ha assunto misure che vanno nella giusta direzione. In una nota diffusa dall’agenzia di stampa Adnkronos, il Ministero della Giustizia dichiara: “Le nuove norme prevedono che fino al 30 giugno 2020, potrà essere ottenuta la detenzione domiciliare dai detenuti che devono scontare una pena, o residuo di pena, fino a 18 mesi, come già previsto dalla normativa vigente, ma con una procedura semplificata”. Per i detenuti cui resta da scontare una pena residua dai 7 ai 18 mesi si farà ricorso al braccialetto elettronico e ad altre strumentazioni per il monitoraggio degli arresti domiciliari.

Il provvedimento del governo offre una prima risposta, seppure non sufficiente, a un problema sociale che, ad emergenza finita, andrà affrontato in modo strutturale, con la serietà indispensabile quando a essere in gioco è certamente la sicurezza delle nostre strade, ma anche la libertà e la dignità di decine di migliaia di uomini e donne, molti dei quali condannati per reati a basso o bassissimo grado di pericolosità sociale.

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