In Polonia, seppur di misura, l’estrema destra di Andrzej Duda vince le presidenziali e mantiene il monopolio del potere. Rafał Trzaskowski, il candidato della destra europeista, perde per un soffio ma riesce a portare in luce la vera posta in gioco a Varsavia e in tutta l’Europa orientale. La sua campagna elettorale ha percorso la linea di faglia che attraversa la società polacca e che fa da demarcazione tra due opposte concezioni dell’avvenire del paese.
Già, perché la questione, nelle elezioni conclusesi ieri, era se stare dalla parte della rivoluzione passiva europea intenta a costruire una superpotenza continentale di nuovo tipo – un processo che per inciso si va sempre più consolidando nell’Europa occidentale, come dimostrato dalle amministrative francesi di due settimane fa -, oppure schierarsi con gli Stati Uniti. Questi ultimi, contrariamente a quanto molti pensano, non tentano affatto di smantellare l’Unione Europea: ovviamente non lo volevano durante la presidenza Obama, ma non lo vogliono neppure sotto quella di Donald Trump. Quello che invece vogliono è decapitarla politicamente per riaffermare la loro egemonia sull’area atlantica.
A questo punto è necessario fare chiarezza: che in novembre vinca Trump o che invece gli subentri Joe Biden, questa contraddizione tra le due sponde dell’Atlantico non varierà nella sua sostanza. Varierà invece il modo in cui verrà agita da parte di Washington. Una precisazione necessaria, questa, per sgombrare il campo da un equivoco: quello secondo cui Trump, alla testa del fronte mondiale dei sedicenti “sovranisti” dell’ultra-destra (fronte entro il quale si collocano i tirapiedi italiani dell’attuale amministrazione americana: Salvini e Meloni) sarebbe antieuropeista, mentre Biden sarebbe un sostenitore del “sogno europeo”. Una narrazione erede dei miti della globalizzazione imperanti negli anni ’90 e che impedisce completamente agli adepti dell’ideologia “liberal” di prendere atto della contraddizione profonda, strutturale e crescente che divide l’ultraimperialismo europeo dalle esigenze strategiche della sempre più debole egemonia planetaria di Washington.
Durante l’amministrazione Bush, in occasione della Seconda Guerra del Golfo che vide il manifestarsi della netta opposizione dell’asse franco-tedesco all’invasione dell’Iraq, i neoconservatori produssero una categoria utile a spiegare la posta in gioco. Parlarono di una “vecchia Europa” riottosa contrapposta a una “nuova Europa” schierata al loro fianco. La Polonia, oggi come allora, è il nerbo della “nuova Europa”. E questo innanzitutto perché l’emersione della superpotenza europea guidata dall’imperialismo tedesco implica necessariamente un rafforzamento del contraddittorio partenariato tra Berlino e la Russia, che seppellirebbe per sempre le ambizioni del nazionalismo polacco. A Varsavia, negli ambienti nazionalisti alla guida del governo è ben vivo il progetto di Piłsudski, il Międzymorze, cui pure la partecipazione di Varsavia al gruppo di Visegrád evidentemente allude: affermare l’influenza polacca tra i paesi slavi dell’Europa centrale, estenderla a Ucraina, Bielorussia e Paesi Baltici e dar forma a un imperialismo regionale proiettato a estendere la sua presa fino alle sponde del Mar Nero. Una fantasia anacronistica, ma sufficiente a motivare una parte rilevante della nuova borghesia polacca e a eccitare passioni fanatiche tra le masse popolari nelle regioni orientali e agrarie del paese, d’altra parte conquistate alla causa anche dallo stato assistenziale di tipo clientelare promosso dal governo del partito di Duda, il PiS.
Sull’altro piatto della bilancia, gli enormi vantaggi economici che l’economia polacca ricava dalla partecipazione all’UE: la Polonia è un faro di attrazione per la delocalizzazione delle produzioni e dell’erogazione di servizi dagli altri paesi dell’Unione, grazie al dumping salariale permesso dal mercato comune e alla libera circolazione dei capitali, delle persone e delle merci che è principio costitutivo dei trattati europei. Senza contare le sovvenzioni economiche di Bruxelles: tra il 2007 e il 2013 la Polonia ha ricevuto finanziamenti per 73 miliardi di euro, cresciuti a 82,4 miliardi (esclusi i fondi per l’agricoltura) nel periodo 2014-2020. Gli aiuti sono stati ripartiti in 7 Programmi Operativi: Assistenza Tecnica; Programmi Regionali; Infrastruttura e Ambiente; Sviluppo Intelligente; Sapienza, Educazione e Sviluppo; Polonia Digitale; Sviluppo della Polonia dell’Est. Insomma: una ricchissima cornucopia che ha permesso gli alti tassi di crescita registrati negli anni dall’economia polacca, offrendo peraltro spunti allo sciovinismo del PiS.
C’è tuttavia un elemento ulteriore: l’attrattiva che l’ideologia europea esercita non solo sulle élites economiche e accademiche, ma anche sulle fasce di ceto medio urbano e sulla popolazione giovane. In un panorama internazionale segnato dalla crisi di credibilità del modello statunitense e dall’assenza di una prospettiva definita di lotta per il superamento del capitalismo e per la conquista di nuovi rapporti sociali, l’Unione Europea va da tempo consolidando la propria candidatura a ereditare la funzione ideologica d’incarnazione dei “valori dell’occidente”, ormai quasi del tutto persa dagli Stati Uniti. Il tono “kennediano” della retorica della commissione von der Leyen ne è un’eloquente manifestazione: l’UE vuole assumere il ruolo di entità guida di quella che Huntigton definiva la “civiltà occidentale”. La Polonia, da sempre a cavallo tra oriente e occidente europeo, sente forte quel richiamo, e il combinato disposto delle sue seduzioni e degli interessi materiali in gioco con la partecipazione all’UE rende il futuro degli equilibri politici di Varsavia piuttosto incerto.
Con le elezioni di ieri, il nazionalismo polacco ha registrato un’affermazione di grande importanza, in particolare nel contesto del salto qualitativo che la rivoluzione passiva europea sta tentando di operare, sotto la direzione della commissione von der Leyen, per aprire ai monopoli che la ispirano la prospettiva della competizione per l’egemonia planetaria. La Polonia filo-americana alzerà la posta ed esigerà un alto prezzo per non mettersi del tutto di traverso.
La partita però non è chiusa: il fronte europeista di Trzaskowski ha consolidato le sue posizioni e la società polacca si appresta dunque a interpretare, ancor più che nel recente passato, il ruolo di uno dei campi di battaglia su cui si gioca l’avvenire degli equilibri di potere dell’area atlantica, dunque del mondo intero.